Si conferma assai difficile ravvisare lo storno di dipendenti

La slealtà concorenziale tramite storno (art. 2598 cc n. 3)   è tanto frequente quanto difficile da far acccertare. Si v. no i passaggi di Trib. Venezia 08.10.20’24, RG 7391 2018, Sent. 4529/2024, in giurisruenzadelleimprese.it,  ALTEVIE TECHNOLOGIES S.R.L. (preteso stornato e danneggiato) c. CCELERA srl (preteso stornante), interessanti perchè con un certo grado di dettaglio fattuale (senza il quale non può essere valutato il giudizio reso):

<<Tutti i lavoratori passati a Ccelera svolgevano, quindi, mansioni tecnico operative, legate allo sviluppo e alla implementazione dei progetti nelle diverse aree di business e non ricoprivano, invece, alcun ruolo commerciale, poiché la “responsabilità dell’area commerciale e dei rapporti con i clienti” erano solo in capo a Valentino Girardi e Giovanni Marta, i quali “conoscevano e intrattenevano rapporti con quasi tutti i clienti” (teste Regini) .
Dall’istruttoria è inoltre emerso che “Le persone cambiavano progetto abbastanza spesso, nel senso che i progetti possono avere anche una breve durata” e che l’articolazione interna del lavoro prevedesse l’allocazione di ciascuna risorsa su diversi progetti. Come affermato, infatti, dal teste Regini “le persone in funzione della mole di lavoro di ciascun progetto possono essere allocate su più progetti contemporaneamente al fine di ottimizzare il lavoro” e la circostanza risulta anche dal doc. 64 prodotto da parte attrice, da cui si evince che al momento delle dimissioni i lavoratori, fossero essi inquadrati come Project Manager o come Consultant, erano contemporaneamente presenti presso diversi progetti, facendo parte di più team di lavoro.
Il contenuto tecnico delle mansioni e la strutturazione interna del lavoro, caratterizzata dal frequente passaggio delle risorse da un team di lavoro ad un altro, nonché l’impiego di lavoratori contemporaneamente presso più progetti, sono elementi che depongono nel senso della trasversalità delle risorse all’interno dell’azienda e quindi della idoneità dei lavoratori ad essere impiegati in modo fungibile nei team di lavoro, in ragione delle competenze tecniche in loro possesso nella rispettiva area SAP di elezione. Ciò che rileva ai fini dell’organizzazione dei team di lavoro non è tanto la specifica individualità della singola risorsa, quanto la competenza della risorsa rispetto ad una data linea di prodotto (oggetto di sviluppo presso il cliente), e quanto la competenza è comune a tutti i lavoratori formati nello specifico ambito (HCM; CRM o CeC), dal che se ne deduce che essi siano tra loro intercambiabili, e così anche facilmente sostituibili.
Ciò posto, parte attrice non ha prodotto l’organigramma aziendale da cui potersi evincere quanti lavoratori fossero inquadrati nelle varie mansioni, con riferimento ai singoli prodotti SAP, al momento della fuoriuscita dei dipendenti passati a Ccelera, laddove invece sarebbe stato onere di Altevie dimostrare, a fronte delle specifiche contestazioni mosse da controparte, l’infungibilità dei dipendenti asseritamente stornati , avuto riguardo all’ organizzazione interna del lavoro. Inoltre sarebbe stato onere di parte attrice dimostrare altresì, tenuto conto dei dati della forza lavoro alle proprie dipendenze nel 2016 (costituita da una media di 155 dipendenti come si evince dalla Relazione sulla gestione al 31/12/2016 doc. 1 di parte attrice), l’assenza nel proprio organico di figure professionali che potessero ricoprire, a vari livelli e in relazione alle differenti linee SAP, i medesimi incarichi dei dipendenti passati a Ccelera ovvero l’impossibilità di allocare le risorse interne di Altevie ai progetti seguiti dai dipendenti migrati.
Non risulta, invece, dimostrato né che i detti dipendenti fossero dotati di una professionalità infungibile, né l’assenza in Altevie di figure analoghe per specializzazione e competenza, nonostante il dato oggettivo dell’elevato numero di forza lavoro della società attrice e contrasta, peraltro, con gli assunti attorei il fatto che – come si vedrà nel prosieguo – i progetti seguiti dai soggetti passati a Ccelera siano stati, nella maggior parte dei casi, portati a termine.
Spetta, infatti, a chi denuncia un c.d. «storno di dipendenti» sotto il profilo dell’illecito ex art. 2598, n. 3, c.c. fornire la prova degli elementi destrutturanti della propria organizzazione imprenditoriale causati dall’acquisizione di suoi dipendenti da parte di un concorrente, fornendo in giudizio, quantomeno, concreti elementi per conoscere l’organigramma complessivo dell’azienda, il ruolo ricoperto dai dimissionari, le difficoltà incontrate per sostituire i fuoriusciti in relazione alle mansioni dagli stessi svolte ed alla reperibilità di analoghe professionalità al proprio interno o comunque sul mercato del lavoro (Trib. Milano 19/03/2012).
Va, poi, osservato che il numero di dipendenti passati da Altevie a Ccelera non è di per sé sintomatico di uno storno, ove si consideri non solo che esso rappresenta circa il 10% della forza lavoro dell’attrice, ma anche il contesto di tensione aziendali in cui è avvenuto. Risulta, infatti, dalla visura in atti (e il dato non è contestato da Altevie) che contestualmente alla fuoriuscita dei 16 dipendenti passati a Ccelera si siano dimessi altri 23 dipendenti. Rispetto ai 23 nominativi indicati a pagina 27 e nelle note 23 e 24 della comparsa di costituzione e risposta, relativi a dipendenti che sarebbero fuoriusciti da Altevie in aggiunta e contestualmente alle dimissioni dei dipendenti passati a Ccelera, parte attrice si è, limitata a contestare specificatamente che solo Erica Benincà non si sarebbe dimessa e nulla ha argomentato rispetto ai rimanenti. Non vi è, dubbio, quindi che nel primo semestre del 2017 si siano dimessi da Altevie, in aggiunta ai dipendenti passati alla convenuta, ulteriori 22 lavoratori, di cui tre dei quali (Cesolan, Bellan, Di Girolamo) risultano assunti da concorrenti di Altevie, come si evince dai profili Linkedin depositati da parte convenuta sub doc. 9. Tale circostanza è idonea a configurare un contesto nel quale le proposte di assunzione di Ccelera rappresentavano per il personale una occasione per soddisfare proprie aspirazioni già esistenti, e non già indebite lusinghe rivolte a personale che altrimenti non avrebbe neppure considerato di lasciare tale organizzazione
Quanto poi alla mancata osservanza del periodo di preavviso (solo Prudenzano e Baradel risultano aver dato un preavviso di due settimane, Garbellotto di 7 giorni e Bertolin di quattro, mentre gli altri lavoratori di uno / due giorni ovvero risultano essersi dimessi senza preavviso) si tratta di fatto che, oltre a non essere dimostrato, non avendo parte attrice dimesso in atti i contratti individuali di lavoro da cui potersi desumere quale fosse per ciascun lavoratore il relativo preavviso, rileva eventualmente solo quale comportamento scorretto nei rapporti interni tra dipendente e datore di lavoro e che non concorre pertanto a dimostrare la sussistenza dell’animus nocendi di Ccelera, posto che, come precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità, l’imprenditore che recluti il lavoratore dimissionario non è vincolato al rispetto degli accordi che inerivano al precedente rapporto, di talché l’assunzione di un lavoratore che non abbia osservato il preavviso non implica necessariamente una condotta disgregatrice dell’altrui impresa, salvo dimostrare la sussistenza di detta precipua intenzionalità (Cass. 14944/2024). Inoltre si ritiene che l’inosservanza del preavviso (come del resto i tempi e modi complessivi della fuoriuscita del personale da Altevie) possa, nella fattispecie, trovare una valida spiegazione alternativa nel contestuale cambio di vertice di Altevie, per effetto della fuoriuscita dei due amministratori Giovanni Marta e Valentino Girardi, circostanza che, come dichiarato dal teste Regini, aveva creato un po’ di preoccupazione tra i dipendenti, trattandosi delle “due persone storiche dell’azienda”.
Ai fini del dedotto storno non possono, poi, essere considerati i lavoratori interinali, poiché è da escludere che questi potessero considerarsi stabilmente inseriti nella struttura imprenditoriale di Altevie, trattandosi di forza lavoro destinata – per definizione – a far fronte ad esigenze meramente temporanee dell’azienda, di talché alcuna volontà disgregativa dell’altrui organizzazione aziendale può essere ravvisata nella loro assunzione da parte di Ccelera.
Parte attrice lamenta, infine, che parte convenuta avrebbe tentato di sottrarre ulteriori dipendenti e collaboratori ad Altevie, anche con comportamenti denigratori e diffamatori.
Sotto tale profilo si ritiene l’irrilevanza, ai fini degli illeciti ascritti a Ccelera, dei contatti da parte di Garbellotto ed Arposio degli allievi dell’Academy, tali Giorgio Aluffi, Jennifer Sforza e Chiara Pinton.
Come emerso dall’istruttoria, gli Academy erano dei corsi di formazione organizzati da Altevie “in collaborazione con Modis e Umana”, “finalizzati a insegnare le basi dei moduli SAP a coloro che, selezionati delle ridette agenzie di lavoro interinale a seguito di presentazione dei curricula, intendono lavorare per Altevie” (teste Zapparoli). Il teste Regini ha precisato che detti “corsi di formazione erano fatti per formare giovani talenti, di concerto con le agenzie interinali che facevano lo scouting iniziale delle persone e ci mettevano a disposizione le aule per la formazione”. Il referente della formazione era Garbellotto ed i corsi erano tenuti o da personale di Altevie o da formatori forniti dalle agenzie interinali (il teste Regini ha precisato che “Le competenze le portavamo noi, perché a seconda delle circostanze potevano essere gli stessi dipendenti di Altevie a fare la docenza, oppure i docenti potevano essere messi a disposizione dalle agenzie interinali”).
Ora, come emerge da queste testimonianze, va escluso che gli Academy fossero corsi di formazione interni ad Altevie, trattandosi invece di momenti di formazione nascenti dalla collaborazione tra Altevie e le agenzie di lavoro interinale, al termine dei quali gli allievi potevano essere o meno assunti in Altevie, senza che per effetto della partecipazione al corso sorgesse alcun obbligo in tal senso, potendo dunque gli allievi essere contattati da imprese terze e concludere contratti di lavoro con soggetti diversi da Altevie.
In ragione di ciò alcun rilievo può assumere il fatto che i predetti lavoratori, dopo la frequenza degli Academy, ma prima dell’assunzione in Altevie, fossero stati contattati dagli ex dipendenti dell’attrice (cfr. doc 14 testimonianza di Aluffi che ha dichiarato di essere stato contattato dall’Arposio l’8 maggio 2017 e che “In quel momento non lavoravo ancora per Altevie ed ero in attesa del contratto di assunzione post Academy”; negli stessi termini Sforza Jennifer e Chiara Pinton).
Né, infine, può desumersi l’animus nocendi di Ccelera dalla circostanza per cui il dipendente fuoriuscito Maggetto ebbe a contattare il collega Ambrosin di Altevie dicendogli che si erano dimessi pressoché tutti i dipendenti che si occupavano del modulo HCM in Altevie, dal momento che non vi sono elementi che possano far ritenere che la condotta del Maggetto, singolarmente considerata, fosse riferibile a Ccelera.

Concorrenza sleale per storno dei dipendenti

Sul sempre difficile (teoricmente e praticamente) tema in oggetto, v. Trib. Bologna  n° 1033/2023 del 16 maggio 2023, RG 12327/2018, rel,. Erede:

<<Al riguardo, si rileva in linea teorica che, affinché possano ravvisarsi gli estremi della fattispecie dello storno di dipendenti di un’azienda da parte di un imprenditore concorrente – comportamento vietato in quanto atto di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 n. 3 c.c. – non è sufficiente il mero trasferimento di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né la contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore altrui.
In questi casi, ricorre un’attività di per sé legittima, in quanto espressione del principio della libera circolazione del lavoro, ove non attuata con lo specifico scopo di danneggiare l’altrui azienda, in quanto la mobilità dei dipendenti corrisponde sia al diritto del lavoratore di migliorare la propria posizione professionale, sia al diritto dell’imprenditore di organizzare al meglio la propria azienda, in modo efficiente e produttivo, attingendo alle migliori professionalità presenti sul mercato.
La giurisprudenza di legittimità ha in proposito affermato, in più occasioni, che lo storno deve essere caratterizzato dall’ “animus nocendi”, che va desunto dall’obiettivo che l’imprenditore concorrente si proponga – attraverso il trasferimento dei dipendenti – di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando nel mercato l’effetto confusorio, o discreditante, o parassitario capace di attribuire ingiustamente, a chi lo cagiona, il frutto dell’investimento (ossia, l’avviamento) di chi lo subisce. Il giudizio di difformità dello storno dai principi della correttezza professionale non va condotto sulla base di un’indagine di tipo soggettivo, ma secondo un criterio puramente oggettivo dovendosi valutare se lo spostamento dei dipendenti si sia realizzato con modalità tali, da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di arrecare pregiudizio all’organizzazione e alla struttura produttiva dell’imprenditore concorrente, svuotandola delle sue specifiche possibilità operative (tra tante, Cass. civ. n. 3865 del 17.02.2020; Cass. civ. n. 31203 del 29.12.2017; Cass. civ. n. 20228 del 4.09.2013; Cass. civ. n. 13424 del 23.05.2008).
In base a questi principi, nella concreta esperienza giurisprudenziale, al fine di verificare la sussistenza del requisito dell’animus nocendi, si valuta non solo se lo storno sia stato realizzato in violazione delle regole della correttezza professionale (come nei casi di impiego di mezzi contrastanti con i principi della libera circolazione del lavoro, di denigrazione del datore di lavoro, o avvalendosi di dipendenti dell’impresa che subisce lo storno, o quando il trasferimento del collaboratore sia finalizzato all’acquisizione dei segreti del concorrente), ma principalmente se le caratteristiche e le modalità del trasferimento evidenzino la finalità di danneggiare l’altrui azienda, in misura eccedente il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro trasferiti ad altra impresa, non essendo sufficiente che l’atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente (App. Milano 1.08.2019, n. 3393; Trib. Bologna 16.03.2016, n. 683).

Per potersi configurare un’attività di storno di dipendenti, alla luce del requisito dell’animus nocendi, assumono rilievo i seguenti elementi: a) la quantità e la qualità dei dipendenti stornati; b) il loro grado di fungibilità; c) la posizione che i dipendenti rivestivano all’interno dell’azienda concorrente; d) la tempistica dello sviamento; d) la portata dell’organizzazione complessiva dell’impresa concorrente.
Si è anche affermato che “lo storno illecito normalmente afferisce allo spostamento di più soggetti da un imprenditore ad un altro, mentre la sottrazione di un solo dipendente è considerato elemento per lo più inidoneo a predicare la contrarietà alla legge” (Trib. Milano 19.09.2014, n. 11082).
Nel caso di specie, non si ravvisano nelle condotte dei convenuti modalità tali da indurre a riconoscere la volontà degli stessi di danneggiare l’organizzazione dell’impresa concorrente. In disparte la carenza di un rapporto diretto di concorrenzialità tra i convenuti dipendenti persone fisiche e COROB, si osserva che parte attrice non ha allegato e provato alcuna circostanza utile a far ritenere la sussistenza del rapporto di solidarietà dei convenuti ex dipendenti con ALFA in punto di responsabilità nei confronti di COROB, limitandosi a generiche allegazione rimaste sfornite di adeguata prova. Inoltre non può non rilevarsi come nella vicenda in esame alcuna concreta allegazione e prova parte attrice abbia fornito in ordine alla sussistenza di un intento di ALFA di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva della concorrente COROB, quale elemento soggettivo dell’illecito concorrenziale. Si richiama sul punto quel consolidato orientamento giurisprudenziale della S.C. che anche di recente ha affermato che “Per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori, è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale dell’imprenditore sia stata posta in essere dal concorrente con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente, disgregando in modo traumatico l’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore e procurandosi un vantaggio competitivo indebito; a tal fine assumono rilievo innanzitutto le modalità del passaggio dei dipendenti e collaboratori dall’una all’altra impresa, che non può che essere diretto, ancorché eventualmente dissimulato, per potersi configurare un’attività di storno, la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione nell’ambito dell’organigramma dell’impresa concorrente, le difficoltà ricollegabili alla sua sostituzione e i metodi adottati per indurre i dipendenti e/o collaboratori a passare all’impresa concorrente.”( così Cass. n. 3865/2020; conf. più di recente Cass. n. 22625/2022).
In disparte il dato che la contestazione dell’illecito concorrenziale per “storno dei
dipendenti” mossa da COROB non possa riguardare singole persone fisiche, quali ABELLI LUNGHINI, SOLERA e VERONESI e MAZZALVERI -legati a COROB da rapporto di dipendenza e/o collaborazione- non sono essi stessi imprenditori concorrenti e quindi non possono essere soggetti attivi dell’illecito stesso, deve rilevarsi che, con riguardo al MAZZALVERI, lo stesso all’atto della cessazione del suo rapporto di lavoro subordinato con COROB, a seguito di accordo risolutorio (v. doc. 24 allegato alla citazione), ha sottoscritto contestuale contratto di collaborazione con la stessa società ( v. doc. 25 allegato alla citazione), con esclusione di qualsiasi risvolto negativo per COROB.

Peraltro, va pure evidenziato come l’esiguo numero dei dipendenti stornati, in rapporto al numero complessivo dei dipendenti di COROB (119 dipendenti al 31.12.2017, come da visura prodotta dall’attrice sub doc. 1) per quanto specializzati possano essere, certamente non può determinare quella disgregazione traumatica dell’efficienza dell’organizzazione aziendale del competitore COROB, cosi come richiesto dalla giurisprudenza di legittimità richiamata per la configurabilità di atti di concorrenza sleale contrari ai principi della correttezza professionale, commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori.
Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, alcuna tutela inibitoria e risarcitoria può accordarsi in questa sede a COROB, così come vanno disattese le pretese sanzionatorie della stessa attrice>>.

Nell’incertezza sul tema, certo è che l’animus nocendi non può provarsi che in temini oggettivi, giammai psicologico/soggettivi.

Inoltre ricorda la figura dell’abuso del diritto: che ricorre quando un vantaggio per il preteso violatore non c’è per nulla (da tutti ammesso) o c’è ma in misura minima (controverso; da vedere poi come rendere il relativo giudizio e cioè quale ne sarebbe il parametro: ha senso paragonare il vantaggio al danno provocato?).

Va segnalata pure  un’applicazone (con rigetto) della disciplina dei segreti commerciali, art.- 98 cpi

La Cassazione sullo storno di dipendenti (art. 2598 n. 3 c.c.)

Con sentenza di un anno fa circa , la SC si è pronunciata sul tema dello storno di dipendenti.

Si tratta di Cass. 17.02.2020 n. 3865, rel. Scotti, Asahi Kasei Fibers Italia s.r.I. contro F.D.G. s.p.a. in liquidazione e amministrazione straordinaria

Questa la ricostruione dei fatti in sentenza: <<L’attrice ha sostenuto di aver prodotto da decenni il filo di cupro Bemberg con il marchio Bemberg Cupro; che la multinazionale giapponese Asai Kasei Corporation negli anni ’30 aveva acquistato il brevetto per produrre la fibra artificiale in Giappone e aveva assunto la qualità di socio occulto o azionista fiduciante di F.D.G.; che l’Asai Kasei Corporation aveva quindi messo in atto, tramite la società convenuta, da essa controllata, una tattica diretta a distruggere la società attrice; che in questo contesto erano stati stornati i signori Fabris, Rovetta, Coda Zabetta e Piotti, dipendenti preposti all’area commerciale ed era stata realizzata una campagna di sviamento di clientela mediante attività pubblicitarie e snnembramento dell’organizzazione aziendale; che la convenuta aveva utilizzato la scritta Bemberg sul suo sito; che si era determinato un calo del fatturato contestuale all’aumento del fatturato della società giapponese.>>.

Tema che rimane delicato poichè, nonostante molte pronunce nel corso degli anni (anzi, dei decenni),  in un regime di economia di mercato il diritto ad una condotta leale da parte dei concorrenti si scontra sia con il loro diritto di organizzare liberamente l’azienda (in primis scegliendosi i lavoratori) sia col diritto di questi ultimi di scegliersi liberamente il datore di lavoro.

Ebbene, dapprima la SC offre una summa delle regole tralaticie osservate (o solo declamate,  è da vedere …) dai giudici: <<E’ ben nota la particolare delicatezza del tema della concorrenza sleale per storno di dipendenti perchè in questo caso i profili della correttezza del rapporto di concorrenza commerciale tra imprenditori vengono a interferire pesantemente con diritti costituzionalmente tutelati, e non solo con il diritto alla libera iniziativa imprenditoriale (art. 41 Cost.) ma anche e soprattutto con il diritto al lavoro e alla sua adeguata remunerazione in capo ai collaboratori dell’imprenditore (artt. 4 e 36 Cost.).

La mera assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente non può infatti essere considerata di per sè illecita, essendo espressione del principio di libera circolazione del lavoro e della libertà d’iniziativa economica.

In sintesi, secondo la giurisprudenza, non può essere negato il diritto di ogni imprenditore di sottrarre dipendenti al concorrente, purchè ciò avvenga con mezzi leciti, quale ad esempio la promessa di un trattamento retributivo migliore o di una sistemazione professionale più soddisfacente; è indiscutibile il diritto di ogni lavoratore di cambiare il proprio datore di lavoro, senza che il bagaglio di conoscenze ed esperienze maturato nell’ambito della precedente esperienza lavorativa, lungi dal permettergli il reperimento di migliori e più remunerative possibilità di lavoro, si trasformi in un vincolo oppressivo e preclusivo della libera ricerca sul mercato di nuovi sbocchi professionali.

Per la configurazione della fattispecie residuale di illecito per “violazione del criterio della correttezza professionale” (ex art. 2598 c.c., n. 3), non è sufficiente, quanto all’elemento soggettivo, la mera consapevolezza in capo all’impresa concorrente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altra impresa, ma è necessaria l’intenzione di conseguire tale risultato (animus nocendi); inoltre la condotta deve risultare inequivocabilmente idonea a cagionare danno all’azienda nei confronti della quale l’atto di concorrenza asseritamente sleale viene rivolto.

La concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa a un’altra concorrente, nè dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente (attività in quanto tali legittime); è necessario invece che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso l’acquisizione di risorse del competitore, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando effetti distorsivi nel mercato; in siffatta prospettiva, assumono rilievo la quantità e la qualità del personale stornato, la sua posizione all’interno dell’impresa concorrente, la difficoltà ricollegabile alla sua sostituzione e i metodi eventualmente adottati per convincere i dipendenti a passare a un’impresa concorrente>>, § 5.5.

Poi segue la loro applicazione al caso di specie, in particolare alla sentenza di appello, energicamente cassata (profilo interessante per capire i presunti errori):  <<La sentenza impugnata ha ravvisato l’attività di storno di dipendenti (in realtà, in due casi su quattro, di collaboratori autonomi) di F.D.G., omettendo completamente di valutare il profilo – in linea oggettiva – del danno competitivo e dello choc disgregativo che esprime in questa figura sintomatica la necessaria idoneità a danneggiare l’impresa concorrente richiesta dall’art. 2598 c.c., n. 3.

Tantomeno è stata accertata la sussistenza dell’animus nocendi, necessariamente nella sua concretizzazione oggettiva, dimostrando che lo storno era stato posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare, in rapporto ai principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva del concorrente.

La Corte territoriale ha omesso completamente di considerare il fatto, risultante anche dalla sentenza di primo grado, che non si era verificato un passaggio diretto dei quattro dipendenti/collaboratori da una società all’altra; che almeno tre dei quattro ex dipendenti/collaboratori di F.D.G. avevano iniziato a collaborare con Asahi quando il loro rapporto con F.D.G. era da tempo interrotto; che due di loro erano stati collocati in pensione; che per due di loro (e in particolare quello con il ruolo di maggior rilievo, ossia il dirigente R.) non solo non vi era stato passaggio diretto, ma era trascorso un rilevante intervallo di tempo di attività lavorativa prestata alle dipendenze di altre imprese (20 e 14 mesi); tantomeno erano state considerate le modalità di interruzione del rapporto dei collaboratori, verificando se l’interruzione era stata determinata dal recesso della stessa F.D.G. – Bemberg.

E’ del tutto evidente che lo storno di collaboratori non è neppur concepibile allorchè l’impresa concorrente approfitti – a maggior ragione a distanza di tempo – della disponibilità sul mercato del lavoro di risorse di personale, precedentemente dismesse dall’azienda concorrente, in difetto tanto del danno quanto dell’intenzione e della possibilità di arrecarlo.

Anche ammessa la posizione “apicale” (per vero del tutto apoditticamente attribuita anche a soggetti indicati come meri addetti alle vendite e procacciatori d’affari), o anche solo strategica, dei quattro collaboratori nell’organigramma aziendale di F.D.G. per il fatto di operare nella sua area commerciale marketing, nel sussumere la fattispecie nella figura dello storno concorrenziale illecito la Corte territoriale non avrebbe potuto prescindere nè dall’ostacolo dell’assunzione dei collaboratori stornati dopo un cospicuo intervallo di tempo dall’interruzione dei rapporti con F.D.G. e dopo rilevanti periodi di collaborazione con altre imprese, anche all’estero, nè dalla valutazione delle modalità e delle cause dell’interruzione dei rapporti predetti con l’azienda che si assume danneggiata.

5.7. La sentenza impugnata non accerta – o anche solo non prospetta – la sussistenza di manovre elusive poste in essere da Asahi con la complicità dei collaboratori per mascherare il passaggio diretto attraverso uno schermo artefatto, per mezzo di triangolazioni o simulazioni di rapporti contrattuali con terzi.

In effetti, al contrario, la sentenza impugnata ha escluso la prova della sussistenza di rapporti occulti o di natura concorrenziale fra Asahi Italia e i quattro collaboratori, assumendo esplicitamente (pag. 13) che dal complesso delle testimonianze assunte non emergeva la prova di contatti risalenti al 2002 (ossia all’epoca della cessazione del rapporto di lavoro e collaborazione) tra i dipendenti e collaboratori e la Asahi Italia; la Corte subalpina, anzi, pur dandone atto, ha giustamente affermato di dover prescindere dalle mere supposizioni, basate solo su convincimenti personali, privi di ancoraggio a fatti precisi, del teste B., ex Presidente e amministratore delegato e direttore generale di F.D.G..

5.8. La Corte di appello ha poi ignorato, nel valutare la configurabilità dello storno illecito, il grave stato di dissesto in cui si era venuta a trovare F.D.G., dipeso da una inadeguata gestione della precedente compagine societaria, in via del tutto indipendente dalla trasmigrazione di collaboratori contestata, accertato dal Tribunale di Novara e pur da essa stessa riconosciuto a pagina 18 della sentenza impugnata, allorchè ha riconosciuto che l’azienda dell’attrice “navigava già in cattive acque” e ha poi negato, rigettando la domanda risarcitoria, che il passivo accertato in sede di procedura di amministrazione straordinaria fosse riconducibile causalmente ai fatti di causa, sia pur con l’ipotetica riserva “tuttalpiù solo in parte” posta ad obiettivo del ricorso incidentale di F.D.G..>>, §§ 5.6 – 5.8.

Resta sempre aperta la questione dell’elemento soggettivo (animus nocendi), non richiesto dalla legge, che pare costituire solo un escamotage per superare la difficoltà, sopra accennata, del dover  conciliare interessi confliggenti.

Si tratta in effetti del profilo più problematico della fattispecie.

V. nota (parzialmente critica dell’orientamento seguito) di M. Lascialfari in Corr. giur., 2021/2, 209 ss.