Tra recesso e risoluzione, in relazione alla qualificabilità come cvlausola vessatoria ex art. 1341. c.2 cc

Cass. 5 agosto 2022, n. 24.318 , sez. 2, rel. Trapuzzano, sulla qualifica di una clausola di preliminare per immobile da costruire, purtroppo non riportata testualmente ma così riassunta dalla SC sub § 7.2 , qualifica oscillante tra patto risolutorio e condizione risolutiva:

<<la clausola di cui all’art. 10 del preliminare di vendita di immobile sulla carta, concluso tra le parti in data 23 maggio 2004, testualmente ha stabilito che il contratto doveva ritenersi nullo – rectius inefficace – nel caso che la promittente venditrice non avesse ottenuto il permesso a costruire e le ulteriori autorizzazioni entro il mese di settembre 2004, con la contestuale previsione della rinuncia del promissario acquirente ad agire, nei confronti del promittente alienante, a titolo di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata vendita dell’immobile>>.

Pertanto la dichiarzine dell’ipresa di sciogliersi dal contratto per mancato ottenimetno delle cocnessioni pujbliche costuisce esercizio del dirtto risolutoorio e non di ercesso: << 7.3.- Ora, l’opzione ermeneutica cui ha aderito il Giudice di merito non è confortata dai termini letterali contemplati dalla clausola in questione. E ciò atteso che il riconoscimento, in favore di una delle parti, dello ius poenitendi, ai sensi dell’art. 1373 c.c., inserisce nel contratto un diritto potestativo di sciogliersi ad nutum dal negozio, attraverso una semplice manifestazione di volontà da comunicare alla controparte. Tale evenienza e’, per definizione, ontologicamente diversa dalla previsione secondo cui l’efficacia del negozio è subordinata (in via sospensiva o in via risolutiva) alla verificazione di un avvenimento futuro e incerto.

Sicché è intrinsecamente contraddittoria la qualificazione in termini di recesso di una previsione contrattuale che subordini lo scioglimento del negozio alla mancata verificazione di un determinato evento ad una certa data.

In proposito, si osserva che la pattuizione, inserita in un preliminare di vendita immobiliare, che preveda la risoluzione ipso iure qualora – con riferimento al bene, che ne costituisce l’oggetto (nella fattispecie in una vendita di appartamenti facenti parte di un fabbricato da costruire) – non vengano rilasciati i permessi a costruire entro una determinata data, per fatto non dipendente dalla volontà delle parti, deve qualificarsi come condizione risolutiva propria, determinando l’effetto risolutivo di quel contratto, evidentemente consistente nella sua sopravvenuta inefficacia, in conseguenza dell’avverarsi di un evento estraneo alla volontà dei contraenti (sebbene specificamente dedotto pattiziamente) nonché dello spirare del termine, pure ritenuto nel loro interesse comune (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21215 del 27/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 22310 del 30/09/2013; Sez. 2, Sentenza n. 17181 del 24/06/2008).

Ne discende che dal tenore testuale della clausola emerge che la statuizione sull’efficacia del negozio contemplata dall’art. 10 del preliminare dovesse essere ancorata, non già ad una facoltà del predisponente di sciogliersi unilateralmente dal contratto con efficacia ex nunc, bensì ad un avvenimento futuro e incerto con efficacia ex tunc (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26365 del 16/12/2014; Sez. 2, Sentenza n. 3626 del 07/08/1989; Sez. 3, Sentenza n. 2504 del 18/09/1974).

Difettando qualsiasi riferimento ad una potestà di sciogliersi dal contratto ove ricorra una determinata condizione – ed essendo, per converso, previsto che il preliminare non abbia efficacia qualora la condizione stabilita non si verifichi entro la data indicata -, neanche può ritenersi che si tratti dell’attribuzione ad una delle parti della facoltà di recesso subordinata ad un avvenimento futuro ed incerto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2873 del 19/05/1979).>>

Recesso pretesamente abusivo da contratto di distribuzione automobilistica e uso dei segni distintivi

App. Milano n. 1326/2021 del 28.04.2021, RG 73/2020, Pulvirenti srl in liq. c. Hyyndai , decide una lite sull’oggetto.

Quin interesa solo rifeire che la caduta del termine minimo di 24 mesi nel passaggio dal reg. 1400/2002 al reg. 461/2010 non signica “validazione” del medesimo, ma -all’opposto- sua caducazione.

Interpretazione condibisibile anche se semplice. Quindi un recesso con preavviso di 12 mesi (come nel caso) è corretto.

Meno semplice è il punto dell’esecuzione non secondo buona fede: H. avrebbe indotto il concessionario a spese , pur avendo già deciso di togliergli la concessione.

La Corte come giudice del fatto entra nel merito e speiga perchè il recesso è giustificato (sintetizzando così : << le circostanze oggettive nell’ambito delle quali il recesso è stato esercitato e il comportamento tenuto da Hyundai nell’esercizio del proprio diritto non presentano profili di illogicità e soprattutto non dimostrano la volontà di perseguire un fine diverso da quello per cui il diritto di recesso è stato previsto>>).

Pertanto <<alla luce di tali rilievi, la decisione di Hyundai di operare una riduzione dei concessionari presenti nell’area di Catania appare coerente con il quadro economico  generale del settore automobilistico e la procedura di selezione seguita, pur risoltasi sfavorevolmente per l’odierna appellante, non risulta viziata da alcun intento abusivo.>>

La Corte però riforma la determinazione di danni per violazione di marchio, dato che si trattò di episodi modestissimi. La riforma escludendola, non solo riducendola.