Sul tema in oggetto (art. 2495 c.3 c.c) v. Cass. n. 31.109 del 8 novembre 20232, rel. Caponi:
<<La questione di diritto che essi sollevano si innesta sulla seguente situazione di fatto così come accertata nei giudizi di merito. Il bilancio di liquidazione della società a responsabilità limitata ha ripartito pro quota ai due soci una partecipazione in un’altra società della quale era titolare la s.r.l. poi estinta ed ha quantificato il controvalore in denaro delle due quote ripartite. La tesi dei due soci ricorrenti è che essi non sono tenuti a rispondere del debito sociale (la restituzione della caparra nella misura del doppio), poiché ai sensi dell’art. 2495 c.c., comma 3, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.
Vi è in effetti qualche precedente, come Cass. 15474/2017 citato dal P.M. nelle sue osservazioni, che sembra rimanere ancorato al tenore letterale dell’art. 2495 c.c. (allora) comma 2, per cui tra “la società cancellata dal registro delle imprese e i suoi soci può configurarsi una vicenda successoria, giacché, come è stato osservato, il successore intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore (Cass. SU 6070/2013, in motivazione); ma è altrettanto vero che la successione ha luogo solo se ricorra la condizione posta dall’art. 2495 c.c., comma 2, e, quindi, se vi siano state somme riscosse dai soci in base al bilancio finale di liquidazione” (così Cass. 15474/2017, cit., p. 6 s.).
Tuttavia, “beni” (e non solo “somme”) è la parola con cui il sistema normativo, nelle sue disposizioni di portata più generale (a partire dall’art. 2740 c.c.), contrassegna l’oggetto della responsabilità patrimoniale del debitore. Se è vero, come è vero, che si ha a che fare con un fenomeno di responsabilità patrimoniale (dei soci, pur limitata da quanto da loro ricevuto) per adempimento di obbligazioni (contratte dalla società estinta), l’onere di addurre ragioni giustificative ricade sulle spalle di chi intende sostenere un’interpretazione che restringe, in questa ipotesi, alle somme di denaro riscosse l’oggetto della responsabilità patrimoniale, piuttosto che sulle spalle di chi argomenta che il tenore letterale dell’art. 2495 c.c. (oggi) comma 3, non può frapporre ostacoli ad un’applicazione, anche in questa ipotesi, della nozione di beni come oggetto generale della responsabilità patrimoniale.
La conferma si ritrae proprio da una rilettura della parte di Cass. SU 6070/2013, relativa all’interpretazione dell’art. 2495 c.c. (allora) comma 2 (p. 8 s.) da cui si cita nel proseguimento, con una scrittura in corsivo di alcune parole che è appunto vivificata dalla prospettiva interpretativa qui accolta: “Il dissolversi della struttura organizzativa su cui riposa la soggettività giuridica dell’ente collettivo fa naturalmente emergere il sostrato personale che, in qualche misura, ne è comunque alla base e rende perciò del tutto plausibile la ricostruzione del fenomeno in termini successori (…) Persuade di ciò anche il fatto che il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse la propria origine dalla liquidazione sociale, ma s’identifica col medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica. (…) Nessun ingiustificato pregiudizio viene arrecato alle ragioni dei creditori, del resto, per il fatto che i soci di società di capitali rispondono solo nei limiti dell’attivo loro distribuito all’esito della liquidazione. Cass. SU 6070/2013 prosegue poi (p. 10 ss.) con la parte più ardua, tesa a recuperare i “residui attivi non liquidati” e le “sopravvenienze attive” alla responsabilità patrimoniale per l’adempimento dei debiti della società estinta, attraverso il subingresso dei soci, entro il limite menzionato dei beni e/o utilità da loro ricevuti. In definitiva, è la stessa Cass. SU 6070/2013 che muove da una nozione di oggetto della responsabilità patrimoniale in termini di elementi “attivi”, cioè di beni, in coerenza con la disciplina generale della responsabilità patrimoniale. Tali sono ovviamente anche le partecipazioni societarie di cui era titolare la società estinta. Talché s’impone il rigetto di una interpretazione dell’art. 2495 c.c. (oggi) comma 3, rigidamente ancorata alla lettera di “somme… riscosse”, incompatibile con tale cornice generale.
Gli argomenti addotti dai ricorrenti non sono in grado di minare queste osservazioni, che confermano la correttezza dell’interpretazione adottata dalla Corte di appello, dal momento che ha chiamato a rispondere i due soci della società estinta dell’adempimento dell’obbligo di restituzione della caparra nella misura del doppio, il cui ammontare non esorbita dal controvalore quantificato né in relazione all’una, né in relazione all’altra delle quote dell’originaria partecipazione sociale, ripartite tra i due soci>>.
La soluzione è probabilmente esatta. La ratio dovrebbe tuttavia piuttosto appoggiarsi al pregiudizio che subirebbero i creditori ogni volta che la debitrice in via di cancellazione assegnasse ai soci beni divesi dal denaro: lasciare a tale assegnazione la tutela o meno dei creditori genera disparità ingiustficate di trattamento.
Non è poi chiaro , se ben capisco, come mai i soci assegnatari siano personalmente responsabili e non la socieà partecipata.