Sulla postergazione del rimborso dei finanziamenti erogati dal socio di SRL alla soceità: precisazioni utili dalla Cassazione

La S.C. (sez. I civ., 15.05.2019, n. 12994, rel. Nazzicone) interviene sulla postergazione del rimborso dei finanziamenti concessi dal socio di SRL alla società (art. 2467 c.c.).

E’ chiamata a rispondere a due quesiti:

1)  se la postergazione operi automaticamente e quindi sempre oppure solo in occasione di procedura concorsuale;

2) se nel corso del giudizio di recupero del credito, promosso dal socio, l’eccezione di postergazione costituisca eccezione in senso stretto  oppure lato.

Circa il quesito sub 1), la SC risponde in senso affermativo : la postergazione opera automaticamente (concezione “sostanziale”). La ratio legis dell’art. 2467 cc <<consiste (..) nell’intento di contrastare la non infrequente sottocapitalizzazione delle società, quale tecnica di traslazione sui creditori e sui terzi del rischio da continuazione dell’attività in regime di crisi, con eventuale profitto dei soci ed aggravamento del dissesto a scapito dei creditori: fenomeno determinato dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, apportando nuove risorse a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento, anzichè in quella appropriata del conferimento (cfr. Cass. 20 maggio 2016, n. 10509; Cass. 7 luglio 2015, n. 14056)>> (§ 3.3).

Ne segue che il credito del socio, <<in presenza di un finanziamento concesso nelle condizioni di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto o laddove sarebbe stato ragionevole un conferimento, subisce una postergazione legale, la quale non opera una riqualificazione del prestito da finanziamento a conferimento con esclusione del diritto al rimborso, ma incide sull’ordine di soddisfazione dei crediti. Il legislatore, tra le tecniche disponibili al riguardo, ha escluso invero la riqualificazione del prestito ed optato per la postergazione: non muta ex lege la causa della dazione, che resta quella del mutuo (art. 1813 c.c.) e non diventa causa di conferimento (art. 2343 c.c.). I finanziamenti de quo, pertanto, costituiscono prestiti e non apporti di capitale, alla cui disciplina – rimborsabilità solo all’esito della liquidazione e, quindi, dopo la restituzione anche dei prestiti anomali – non sono soggetti>> (§ 3.4).

Dato tale contesto, <<l’effetto della postergazione è automatico, non dipendendo da una conoscenza effettiva dello stato della società o dall’intenzione delle parti, ed impone al giudice, richiesto del rimborso, di accertare, sulla base delle risultanze processuali in atti, se la situazione sociale ricada in una delle fattispecie ex art. 2467 c.c., comma 2.  Ne deriva che l’integrazione delle fattispecie indicate nel comma 2 dell’art. 2467 c.c., produce effetti negoziali sul diritto del socio alla restituzione della somma finanziata: il credito restitutorio, sebbene eventualmente sia anche scaduto il termine previsto per l’adempimento ex art. 1813 c.c., non è esigibile. La postergazione prevista dalla norma finisce, così, per operare come una condizione legale integrativa del regolamento negoziale circa il rimborso, la quale statuisce l’inesigibilità del credito in presenza di una delle situazioni previste dall’art. 2467 c.c., comma 2, con un impedimento (solo temporaneo) alla restituzione della somma mutuata.>> (§ 3.4).

Ne segue ancora <<l’ulteriore conseguenza che la società e, per essa, l’organo amministrativo può, ed anzi deve rifiutare il rimborso del prestito, sino a quando non siano venute meno le predette condizioni: evento, quest’ultimo, che rende nuovamente la società immediatamente tenuta al pagamento al socio di quanto dovutogli in restituzione. Quando, invero, sia stato superato lo squilibrio patrimoniale e, quindi, la situazione di rischio per i creditori sociali che ne discende e che la norma pone a fondamento della regola di postergazione – il credito del socio ritorna ordinariamente esigibile, sebbene non fossero stati a quel momento adempiuti tutti gli altri debiti sociali: potendosi allora ritenere realizzata una situazione di soddisfazione, sia pure “astratta”, dei creditori esterni e dunque esistente uno status di regolare esigibilità. Se, pertanto, la situazione di squilibrio sia venuta meno al momento in cui alla società sia richiesto il rimborso da parte del socio (ovvero al momento in cui il giudice del merito sia chiamato a decidere, come si dirà), essa è tenuta a provvedervi, non attenendo la postergazione all’esistenza in sè del credito, ma alle condizioni per l’esazione, onde il venir meno di detta situazione, dapprima esistente e quindi atta a rendere il credito non esigibile, comporta il superamento dello stato di inesigibilità>> (§ 3.5).

La risposta dovrebbe ragionevolmente essere uguale per la fase di liquidazione: non è necessario attenderla perchè l’art. 2467 diventi  applicabile.

Utile infine la precisazione processuale: <<Occorre aggiungere come, nel giudizio avente ad oggetto la condanna della società renitente alla restituzione del prestito in favore del socio, il giudice dovrà accertare se sussista, in concreto, una delle situazioni ex art. 2467 c.c., comma 2: non solo al momento del prestito (dies storico statico), ma anche al momento della richiesta di rimborso e sino alla pronuncia, trattandosi di una condizione di inesigibilità del credito.>> In altre parole l’esigibilità, come condizione dell’azione, <<può maturare in corso di causa e fino al momento della sentenza, chiamata ad accertare se si sia ripristinata, sia pure solo in pendenza del giudizio, la condizione di piena esigibilità del credito azionato in giudizio per l’inattualità della situazione di crisi>> (§ 3.7) (ciò entro i c.d. limiti cronologici del giudicato).

Circa il quesito sub 2), la Corte risponde che si tratta di eccezione in senso lato, rilevabile pure dal giudice.

Ricorda infatti che <<secondo principio consolidato, costituiscono eccezioni in senso stretto, rilevabili ad istanza di parte, quelle che possono essere sollevate soltanto dalle parti per espressa disposizione di legge, ovvero quelle il cui fatto integratore corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare e, quindi, presupponga una manifestazione di volontà di quest’ultimo>> (§ 4).

E dunque <<l’eccessivo squilibrio nell’indebitamento o la situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento, quali situazioni previste dal comma 2, della norma in esame – da verificare sia al momento del prestito, sia della richiesta di rimborso e, quindi, in caso di controversia, della decisione giudiziale costituiscono fatto impeditivo del diritto al rimborso oggetto di eccezione in senso lato, non risultando, con riguardo ad esse, nessuna delle fattispecie, che possano fondarne la qualificazione come eccezione in senso proprio. La qualificazione di “credito postergato” discende dalla sussistenza di oggettive circostanze previste dalla legge e non dall’esercizio di un diritto potestativo della società finanziata, con la conseguenza che si deve escludere la sussistenza di un’eccezione in senso proprio.>> (§ 4, p. 12).

Infine si noti il passaggio sull’onere della prova: tocca alla società, richiesta del rimborso, eccepire (fatto impeditivo) l’esistenza delle condizioni giustificanti la postergazione.