Ripasso sulla differenza tra termine essenziale e clausola risolutiva espressa

Ripasso in Cass. sez. II  del 21/11/2023 n. 32.277, rel. Oliva:

<<sul punto, va data continuità al principio secondo cui “Le fattispecie previste rispettivamente dall’art. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) e art. 1457 (termine essenziale per una delle parti), ancorché riguardanti entrambe la risoluzione del contratto con prestazioni corrispettive, hanno propri e differenti presupposti di fatto, tra cui il diverso atteggiarsi della volontà della parte interessata al momento dell’inadempimento dell’altra verificandosi l’effetto risolutivo nella prima, con la dichiarazione dell’intenzione di avvalersi della facoltà potestativa attribuita dalla legge e nella seconda, con lo spirare di tre giorni a partire dalla scadenza dei termini senza che essa abbia dichiarato all’altra di volere l’esecuzione” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10102 del 26/11/1994, Rv. 488847; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8881 del 03/07/2000, Rv. 538187).

Le due fattispecie, dunque, pur producendo il medesimo effetto finale, rappresentato dal venir meno del vincolo contrattuale, operano su piani distinti e con meccanismi di funzionamento diversi. Il termine essenziale, infatti, comporta la cessazione del contratto e delle obbligazioni da esso derivanti per il solo fatto del suo superamento, salvo che la parte che voglia comunque darvi esecuzione, non lo dichiari all’altra parte entro tre giorni previsto dall’art. 1457 c.c., comma 1. La clausola risolutiva espressa, invece, comporta la caducazione del vincolo negoziale, ai sensi dell’art. 1456 c.c., comma 2, soltanto qualora la parte interessata, al verificarsi dell’evento, dichiari all’altra parte di volersi avvalere della clausola. Nel primo caso, dunque, l’effetto caducatorio dell’impegno contrattuale è automatico, salvo che la parte nel cui interesse il termine è stato fissato non dichiari, entro tre giorni, di voler comunque esigere la prestazione, ancorché fuori termine; nel secondo caso, invece, l’effetto non è automatico, ma rimesso ad una manifestazione di volontà del soggetto nel cui interesse è stata prevista la clausola risolutiva.

Il comportamento delle parti è dunque diverso, nei due istituti in esame, e la loro volontà opera in modo diametralmente opposto, poiché la sua manifestazione al momento dell’inadempimento consente, nel caso del termine essenziale, la prosecuzione dell’efficacia del vincolo negoziale, mentre conduce, nel caso della clausola risolutiva espressa, al contrario risultato del venir meno della validità del detto vincolo. Di conseguenza, una volta invocata in giudizio l’applicabilità di un termine essenziale relativamente alla mancata stipulazione di un contratto definitivo entro una determinata data, non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità la configurabilità, nella medesima pattuizione, di una clausola risolutiva espressa (sul punto, cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5640 del 23/09/1983, Rv. 430588 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2762 del 11/07/1975, Rv. 376768).

Poiché nel caso di specie l’odierna parte ricorrente aveva dedotto, con il proprio appello incidentale, proprio la configurabilità della clausola negoziale in esame, alternativamente [nds: importante precisazione processuale],  come termine essenziale ovvero sub specie di clausola risolutiva espressa, riproponendo per intero la questione prospettata in prime cure, la Corte di Appello avrebbe dovuto esaminare ambedue i profili, non sussistendo in concreto alcun ostacolo, né di natura sostanziale, né di ordine processuale, all’esame della questione complessivamente proposta dalla difesa delle F..

Ne’, per altro verso, si configura alcun profilo di incompatibilità tra i due diversi istituti, dovendosi ribadire, al riguardo, che “La previsione di un termine essenziale in un contratto ad effetti obbligatori non è incompatibile con l’inserimento nel medesimo contratto di una clausola risolutiva espressa, né la scadenza del termine essenziale paralizza per contraddizione gli effetti della clausola, con la conseguenza che il creditore può tanto avvalersi di detta clausola, ai fini della dichiarazione della risoluzione di diritto del contratto, quanto rinunciare all’effetto risolutivo ed esigere l’adempimento” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5766 del 22/11/1985, Rv. 442951). Una volta escluso, quindi, che una determinata pattuizione contenga l’indicazione di un termine essenziale, nulla osta acché la stessa sia configurabile sub specie di clausola risolutiva espressa. [nds: utile pro memoria, pur se ovvia]

Ne’ rileva il fatto che l’evento dedotto nella clausola si risolva in una semplice scadenza temporale, poiché in tal caso il giudice di merito è chiamato a valutare se il dato cronologico assuma rilievo decisivo in sé, e dunque rivesta natura essenziale per la conclusione dell’accordo, ovvero se esso rilevi, piuttosto, in relazione ad una finalità pratica sottesa all’affare, ed adeguatamente esplicitata dai paciscenti.

Da tutto quanto precede discende che, in presenza della deduzione, da parte di uno dei contraenti, della configurabilità di una determinata clausola negoziale sub specie di termine essenziale o di clausola risolutiva espressa, l’indagine del giudice di merito non può limitarsi alla semplice esclusione del requisito dell’essenzialità del termine, ma deve estendersi anche alla seconda ipotesi interpretativa. Il riconoscimento della natura non essenziale del termine, infatti, non consente di escludere a priori la possibilità che esso possa valere quale evento dedotto in una clausola risolutiva espressa. Anzi, proprio l’assenza del requisito dell’essenzialità del dato cronologico indicato dalle parti “apre”, per così dire, la possibilità che esso possa valere non come determinazione del tempo necessario dell’adempimento, ma come momento entro il quale si debba verificare un evento condizionante l’efficacia del contratto, come ad esempio, nel caso del contratto preliminare, l’adempimento dell’obbligo di stipulare il rogito definitivo.

Ulteriore riprova della peculiarità della clausola risolutiva espressa va individuata nel fatto che essa “… attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l’inadempimento di controparte senza doverne provare l’importanza e la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato, come in genere la risoluzione per inadempimento, non può dunque essere pronunciata d’ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiari di volersene avvalere. Differentemente, la risoluzione consensuale, o la sopravvenuta impossibilità della prestazione, che determinano automaticamente il venir meno del contratto, rappresentando fatti oggettivamente estintivi dei diritti nascenti da esso, possono essere accertati d’ufficio dal giudice” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10935 del 11/07/2003, Rv. 564990; nello stesso senso, cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16993 del 01/08/2007, Rv. 600281; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10201 del 20/06/2012, Rv. 623126, secondo la quale “La risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio, essendo lo scioglimento per mutuo consenso un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale, desumibile dalla volontà in tal senso manifestata, anche tacitamente, dalle parti, che può essere accertato d’ufficio dal giudice pure in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto”; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6125 del 17/03/2014, Rv. 630517 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 23586 del 28/09/2018, Rv. 650542). In altri termini, mentre la verificazione di un qualsiasi evento idoneo ad incidere sul sinallagma fissato dalle parti (come la scadenza del termine essenziale, ove previsto, o la risoluzione per mutuo dissenso, o l’impossibilità sopravvenuta della prestazione dedotta in contratto), può costituire oggetto di esame anche ufficioso da parte del giudice, ed implica una disamina complessiva del comportamento dei paciscenti, al fine di ricostruire la loro effettiva volontà negoziale e di apprezzare l’incidenza dell’evento di cui sopra sul complessivo regolamento di interessi previsto nel contratto, la clausola risolutiva espressa, al contrario, attribuisce sic et simpliciter ad una delle parti, al verificarsi dell’evento in essa dedotto, il diritto potestativo di procurare la cessazione degli effetti del rapporto negoziale, a prescindere da qualsiasi indagine in relazione all’importanza dell’inadempimento o dell’incidenza del fatto storico verificatosi, o non verificatosi, sull’equilibrio sinallagmatico, sempre che sussista inadempimento alla stregua del criterio della buona fede nell’esecuzione del contratto (su detto principio, cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 8282 del 23/03/2023, Rv. 667427 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23868 del 23/11/2015, Rv. 637690). Proprio in ragione di tale suo peculiare meccanismo di funzionamento, l’art. 1456 c.c., comma 2, prevede la necessità della manifestazione della volontà di avvalersene della parte nel cui interesse essa è posta.

Poiché nel caso di specie l’indagine sulla possibilità di configurare, nella pattuizione in esame, una clausola risolutiva espressa è mancata del tutto, non riscontrandosene traccia nella decisione impugnata, le censure sollevate con il secondo e terzo motivo di ricorso meritano di essere accolte.

Il giudice del rinvio dovrà procedere ad un nuovo apprezzamento della fattispecie concreta, al fine di verificare se, una volta escluso che la clausola negoziale in esame contenga la fissazione di un termine essenziale, sia possibile, o meno, ipotizzare la coesistenza, nell’ambito del medesimo regolamento negoziale, tra la previsione di un termine, evidentemente di natura non essenziale, e di una clausola risolutiva espressa, con riferimento ad un unico dato cronologico>>.

Tra donazione modale, contratto a prestazioni corrispettive e condizione risolutiva espressa

Cass. 17.12.2020 n. 28.993, rel. Gorjan, decide una lite su contratto di donazione modale, il cui modus sarebbe rimasto inadempiuto.

Si trattava di donazione di nude proprietà immobilari con modus consistente nell’obbligo di assistenza.

La ricorrente contesta la qualificazione giuridica di donazione modale, ritnenedolo un normale contratto corrispettivo (cessione di diritto su immobili vs. dovere assistenziale).

La SC ricorda che l’onere modale di assistenza , per le donazioni, è ammesso nel ns. ordinamento.

Conferma poi l’accertamento di merito per cui era stata la donante a rifiutare la prestazione assistenziale offerta: il che è dirimente, dice la SC, a prescindere dalla qualificaizone giuridica del contratto.

Infine conferma  l’orientamento per cui la clausola risolutiva espressa è incompatibile con la donazione modale. Nel caso vi fosse, va allora intesa come sì assoggettabilità a risoluzione, ma secondo la disciplina ad hoc per le donazioni e sempre su richiesta del donante o degli eredi [art. 793 u.c.].