Lesione della capacità lavorativa generica e specifica: la prima può generare anche dannno patrimoniale

Summa sull’oggetto in Cass. sez. 3 del 15.09.2023 n. 26.641, rel. Rossello:

<<Sotto altro profilo, con riferimento alla riduzione della capacità lavorativa generica, si è da questa Corte posto in rilievo che essa non attiene alla produzione del reddito ma si sostanzia in un danno alla persona, in quanto lesione di un’attitudine o di un modo d’essere del soggetto in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico (v. Cass., 25/8/2014, n. 18161; Cass., 6/8/2004, n. 15187).

Il danno da riduzione della capacità lavorativa specifica è viceversa generalmente ricondotto nell’ambito non già del danno biologico bensì del danno patrimoniale (cfr. in particolare Cass., 9/8/2007, n. 17464 e Cass., 27/1/2011, n. 1879), precisandosi peraltro al riguardo che l’accertamento dell’esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica non comporta l’automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un’attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso (v. Cass., 25/8/2006, n. 18489, Cass., 8/8/2007, n. 17397, e Cass., 21/4/2010, n. 9444).

Recentemente si è da questa Corte peraltro precisato come la circostanza che i postumi permanenti di lieve entità rientrino nel danno biologico come menomazione della salute psicofisica della persona non significa lo stesso “assorba” anche la menomazione della generale attitudine al lavoro, giacché al danno alla salute resta pur sempre estranea la considerazione di esiti pregiudizievoli sotto il profilo dell’attitudine a produrre guadagni attraverso l’impiego di attività lavorativa, sicché gli effetti pregiudizievoli della lesione della salute del soggetto leso possono pertanto consistere in un danno patrimoniale da lucro cessante laddove vengano ad eliminare o a ridurre la capacità di produrre reddito (cfr. Cass., 24/2/2011, n. 4493).

A tale stregua, vanno al danneggiato risarciti non solo i danni patrimoniali subiti in ragione della derivata incapacità di continuare ad esercitare l’attività lavorativa prestata all’epoca del verificarsi del medesimo (danni da incapacità lavorativa specifica) ma anche i danni gli eventuali danni patrimoniali ulteriori, derivanti dalla perdita o dalla riduzione della capacità lavorativa generica, allorquando il grado di invalidità, affettante il danneggiato non consenta al medesimo la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori, confacenti alle attitudini e condizioni personali ed ambientali dell’infortunato, idonei alla produzione di fonti di reddito.

In tale ipotesi l’invalidità subita dal danneggiato in conseguenza del danno evento lesivo si riflette infatti comunque in una riduzione o perdita della sua capacità di guadagno, da risarcirsi sotto il profilo del lucro cessante.

Va pertanto escluso che il danno da incapacità lavorativa generica non attenga mai alla produzione del reddito e si sostanzi sempre e comunque in una menomazione dell’integrità psicofisica risarcibile quale danno biologico, costituendo una lesione di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto (cfr. Cass., 16/1/2013, n. 908).

La lesione della capacità lavorativa generica, consistente nella idoneità a svolgere un lavoro anche diverso dal proprio ma confacente alle proprie attitudini, può invero costituire anche un danno patrimoniale, non ricompreso nel danno biologico, la cui sussistenza va accertata caso per caso dal giudice di merito, il quale non può escluderlo per il solo fatto che le lesioni patite dalla vittima abbiano inciso o meno sulla sua capacità lavorativa specifica (cfr. Cass., 16/1/2013, n. 908).

Il grado di invalidità personale determinato dai postumi permanenti di una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette infatti automaticamente sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno, spettando al giudice del merito valutarne in concreto l’incidenza.

A tale stregua, nel caso in cui la persona che abbia subito una lesione dell’integrità fisica già eserciti un’attività lavorativa e il grado d’invalidità permanente sia tuttavia di scarsa entità (c.d. “micropermanenti”), un danno da lucro cessante derivante dalla riduzione della capacità lavorativa in tanto è configurabile in quanto sussistano elementi per ritenere che, a causa dei postumi, il soggetto effettivamente ricaverà minori guadagni dal proprio lavoro, essendo ogni ulteriore o diverso pregiudizio risarcibile a titolo di danno non patrimoniale (v. Cass., 18/9/2007, n. 19357; Cass., 7/8/2001, n. 10905).

Si è altresì precisato che l’invalidità di gravità tale da non consentire alla vittima la possibilità di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non già lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (v. Cass., 12/6/2015, n. 12211).

Tale danno deve allora se del caso riconoscersi non solo in favore di soggetto già percettore di reddito da lavoro, ma anche a chi non lo sia mai stato (es., casalinga: cfr. Cass., 12/9/2005, n. 18092) o non sia ancora in età non lavorativa (v., con riferimento al minore, Cass., 17/1/2003, n. 608), ovvero versi in concreto in una condizione lavorativa caratterizzata da carattere saltuario (v. Cass., 25/8/2020, n. 17690) o al momento del sinistro sia disoccupato e perciò senza reddito (v. Cass., 7/8/2001, 8n. 10905), potendo in tal caso escludersi il danno da invalidità temporanea ma non anche il danno collegato all’invalidità permanente che proiettandosi nel futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima.

A tale stregua, un danno anche patrimoniale risarcibile può essere legittimamente riconosciuto anche a favore di persona che, subita una lesione, si trovi al momento del sinistro senza un’occupazione lavorativa e, perciò, senza reddito, in quanto tale condizione può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato all’invalidità permanente che proiettandosi appunto per il futuro verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima al momento in cui questa inizierà a svolgere un’attività remunerata, in ragione della riduzione della capacità lavorativa conseguente alla grave menomazione cagionata dalla lesione patita, da liquidarsi in via equitativa, tenuto conto dell’età della vittima stessa, del suo ambiente sociale e della sua vita di relazione (v. Cass., 30/11/2005, n. 26081; Cass., 18/5/1999, n. 4801. E, da ultimo, Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 4/11/2020, n. 24481).

Mentre la liquidazione del danno patrimoniale da incapacità lavorativa patito in conseguenza di un sinistro stradale da un soggetto percettore di reddito da lavoro deve avvenire ponendo a base del calcolo il reddito effettivamente perduto dalla vittima (v., da ultimo, Cass., 12/10/2018, n. 25370), in difetto di prova rigorosa del reddito effettivamente perduto o non ancora goduto dalla vittima può applicarsi il criterio del triplo della pensione sociale, oggi assegno sociale (v. Cass., 25/8/2020, n. 17690; Cass., 12/10/2018, n. 25370, ove si fa richiamo all’art. 137 cod. ass.; Cass., 27/11/2015, n. 24210; Cass., 17/1/2003, n. 608).

Emerge pertanto evidente che trattandosi di invalidità generica come nella specie integrante ipotesi di c.d. macropermanente (dell’80%) rimane invero integrata la lesione non solo di un’attitudine o di un modo di essere del soggetto danneggiato rientrante nell’aspetto (o voce) del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, sicché la relativa liquidazione non può essere pertanto in questo ricompreso (v. Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 12/6/2015, n. 12211) ma anche sotto il (differente) profilo dell’eventuale ulteriore danno patrimoniale derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica, in quanto per la sua entità l’invalidità non consente al danneggiato la possibilità di attendere (anche) ad altri lavori confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali ed idonei alla produzione di fonti di reddito, oltre a quello specificamente prestato al momento del sinistro.

Si tratta, in quest’ultima ipotesi, di un aspetto del danno da lucro cessante (cfr. Cass., 13/7/2011, n. 15385) di cui si compendia la categoria generale del danno patrimoniale, concernente la capacità di produzione di reddito futuro, o, più precisamente, della perdita di chance, da questa Corte intesa quale entità patrimoniale giuridicamente ed economicamente valutabile, la cui perdita produce un risarcibile danno da considerarsi non già futuro (nel qual senso v. peraltro, da ultimo, Cass., 12/2/2015, n. 2737; Cass., 17/4/2008, n. 10111) bensì danno certo ed attuale in proiezione futura (nella specie, ad esempio la perdita di un’occasione favorevole di prestare altro e diverso lavoro confacente alle attitudini e condizioni personali ed ambientali del danneggiato idoneo alla produzione di fonte di reddito).

Danno che, ove dal giudice di merito individuato ed accertato, con adeguata verifica dell’assolvimento del relativo onere probatorio incombente sul danneggiato il quale può al riguardo avvalersi anche della prova presuntiva (v. Cass., 13/7/2011, n. 15385; Cass., 11/5/2010, n. 11353; Cass., 19/2/2009, n. 4052; Cass., 30/1/2003, n. 1443), va stimato con valutazione necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass., 17/4/2008, n. 10111, e, da ultimo, Cass., 12/2/2015, n. 2737).

La sua attribuzione, se dal giudice del merito riconosciuta come dovuta non realizza invero duplicazione alcuna nemmeno in presenza del riconoscimento e liquidazione del danno da incapacità lavorativa specifica, il quale attiene invero a1risarcimento del diverso pregiudizio che al danneggiato consegua in relazione al differente aspetto dell’impossibilità di attendere alla specifica attività lavorativa in essere al momento del sinistro (v. Cass., 12/6/2015, n. 12211).

Quanto al danno patrimoniale subito dai congiunti di persona deceduta o lesa a causa dell’altrui fatto illecito va sotto altro profilo ribadito che il diritto al relativo risarcimento ai medesimi iure proprio spettante ex art. 2043 c.c. richiede l’accertamento che risultino in conseguenza dello stesso in effetti privati di utilità economiche di cui già beneficiavano e di cui avrebbero presumibilmente continuato a fruire o goduto in futuro (v. Cass., 20/3/2017, n. 7054; Cass. civ. Sez. III, 06/02/2007, n. 2546).

Tale danno deve essere liquidato sulla base di una valutazione equitativa circostanziata, rimessa al giudice di merito, che tenga conto della rilevanza del legame di solidarietà familiare e delle prospettive di reddito (v. Cass. civ. Sez. III, 13/03/2012, n. 3966).

Si è al riguardo precisato che il danno patrimoniale da mancato guadagno derivante al congiunto dalla perdita della fonte di reddito collegata all’attività lavorativa della vittima configura un danno futuro, da valutarsi con criteri probabilistici in via presuntiva e con equo apprezzamento del caso concreto, e da liquidarsi in via necessariamente equitativa (v. Cass., 20/11/2018, n. 29830).

Ai fini della prova presuntiva, ben può la prova del fatto base essere desunta da elementi obiettivi acquisiti al compendio probatorio (cfr. Cass., 11/5/2010, n. 11353), essendo al riguardo invero sufficiente addirittura la relativa mera allegazione, in presenza di non contestazione della controparte (cfr. Cass., 24/11/2010, n. 23816; Cass., 2/11/2009, n. 23142; Cass., 1/8/2001, n. 10482. E già Cass., 13/11/1976, n. 4200).

Atteso che la presunzione solleva la parte ex art. 2697 c.c. onerata di provare il fatto previsto (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546), allorquando ammessa essa -in assenza di prova contraria- impone infatti al giudice di ritenere il medesimo provato (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546).

Provato presuntivamente (a fortiori in mancanza come nella specie di elementi anche solo indiziari di segno contrario dedotti dalla parte a cui svantaggio opera la presunzione) l’an del danno patrimoniale da lucro cessante (cfr. Cass., 16/5/2013, n. 11968; Cass., 11/11/1996, n. 9835), il quantum va quindi liquidato in via necessariamente equitativa ex art. 1226 c.c. (cfr. Cass., 17/4/2008, n. 10111, e, più recentemente, Cass.,12/2/2015, n. 2737; Cass., 12/6/2015, n. 12211)>>.