Presupposti e onere della prova della petitio hereditatis (e differenza dall’azione di rivendica)

Utili precisazini in Cass. sez. II, 07/04/2025 n. 9.153, rel. Pirari:

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È ben noto, invero, che il recupero, da parte dell’erede, dei beni ereditari di cui sia nel possesso un terzo, sia in qualità di erede, sia senza titolo, avviene con l’esercizio dell’azione di petizione ereditaria ex art. 533 cod. civ., la quale, oltre ad avere natura reale e non contrattuale, è fondata sull’allegazione della qualità di erede con la finalità di conseguire il rilascio dei beni compresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione da chi li possiede senza titolo o in base a titolo successorio che non gli compete, ma non quelli che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari (in tal senso, Cass., Sez. 2, 17/10/2024, n. 26951; Cass., Sez. 2, 4/4/2024, n. 8942).

Questa azione consente, peraltro, di chiedere sia la quota dell’asse ereditario, sia il suo valore, potendo così assumere tanto natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria (Cass., Sez. 6-2, 24/9/2020, n. 20024), quanto di condanna al rilascio dei beni ereditari posseduti dal convenuto a titolo di erede (Cass., Sez. 2, 19/1/1980, n. 461).

In sostanza, la petitio hereditatis, la cui legittimazione spetta dal lato attivo e passivo soltanto, rispettivamente, a colui che adduce la sua qualità di erede e a colui che sia in possesso dei beni di cui il primo chiede la restituzione (nei sensi suddetti, tra le tante, Cass., Sez. 2, 1/4/2008 n. 8440; Cass., Sez. 2, 22/07/2004, n. 13785; Cass., Sez. 2, 15/3/2004 n. 5252; Cass., Sez. 2, 02/08/2001, n. 10557), si fonda pur sempre sull’allegazione di uno status, l’universum jus ereditario, ed ha per oggetto beni che vengono riguardati come elementi costitutivi dello universum jus o quota parte di esso (Cass., Sez. 2, 19/4/1979, n. 2211), presupponendo, perciò, l’accertamento della sola qualità ereditaria dell’attore o di diritti che a costui spettano iure hereditatis, qualora siano contestati dalla controparte, differenziandosi così dalla rei vindicatio, malgrado l’affinità del petitum. Da ciò consegue, quanto all’onere probatorio, che, mentre l’attore in rei vindicatio deve dimostrare la proprietà dei beni attraverso una serie di regolari passaggi durante tutto il periodo di tempo necessario all’usucapione, nella hereditatis petitio può invece limitarsi a provare la propria qualità di erede (anche mediante atto notorio o certificazione rilasciata dall’Ufficiale dello Stato civile, cfr. Cass., Sez. 2, 15/03/2004, n. 5252; Cass., Sez. U, 22/03/1969, n. 921) ed il fatto che i beni, al tempo dell’apertura della successione, fossero compresi nell’asse ereditario (Cass., Sez. 2, 19/3/2021, n. 7871; Cass., Sez. 2, 16/01/2009, n. 1074; Cass., Sez. 2, 22/07/2004, n. 13785; Cass., Sez. 2, 15/03/2004, n. 5252; Cass., Sez. 2, 02/08/2001, n. 10557; Cass., Sez. 2, Sez. 2, 19/04/1979, n. 2211), se contestato.

Né vale a immutare la qualificazione dell’azione in azione di rivendicazione il fatto che il convenuto non contesti la qualità di erede dell’attore, come preteso dal ricorrente, sia in quanto, ai fini della configurabilità di detta azione, è sufficiente che sia contestato anche uno solo dei suoi necessari presupposti, ossia la qualità di erede dell’attore o la sussistenza di diritti che a lui spettano jure hereditario (Cass., Sez. 2, 19/04/1979, n. 2211), sia in quanto la mancata contestazione della qualità di erede non fa venire meno le finalità recuperatorie della petizione ereditaria (Cass., Sez. 2, 16/1/2009, n. 1074).

Da ciò consegue che, qualora il convenuto non contesti la qualità di erede dell’attore, ma si limiti a negare l’appartenenza del bene all’asse ereditario (come appunto nella fattispecie in esame), l’azione di petizione ereditaria non si trasforma in azione di rivendicazione, in quanto tale situazione non fa venire meno le finalità recuperatorie della petizione ereditaria, ma produce effetti solo sul piano probatorio, esonerando l’attore dalla prova della sua qualità, fermo restando l’onere – nei limiti relativi alla difesa della controparte – dell’appartenenza del bene all’asse ereditario al momento dell’apertura della successione (Cass., Sez. 2, 18/7/2012, n. 14732; Cass., 20/10/1984, n. 5304).

Proprio in considerazione della natura recuperatoria dell’azione di petizione ereditaria e della sua differenza rispetto all’azione di rivendicazione, l’appartenenza del bene all’asse relitto, ove contestata, non è soggetta al rigoroso onere della c.d. probatio diabolica, come per la rivendicazione, e non impone, dunque, di dimostrare i vari trasferimenti della proprietà, in capo al de cuius, sino alla copertura del tempo sufficiente ad usucapire, essendo sufficiente, all’uopo, dimostrare l’inclusione del bene nell’asse relitto, anche attraverso prove presuntive, come la dichiarazione di successione e le intestazioni catastali>>.

Applicando al caso sub iudice:

<<Alla stregua di tali principi, deve allora ritenersi corretta la qualificazione dell’azione proposta da An.Vi. in termini di petizione ereditaria, come operata in entrambi i gradi del giudizio, atteso che quest’ultimo, proponendosi come erede testamentario della madre, aveva chiesto la condanna del convenuto al rilascio dell’appartamento oggetto del lascito, restando indifferente il fatto che il suo status fosse rimasto pacifico in causa, così come altrettanto correttamente è stata ritenuta provata l’appartenenza del bene al relictum, siccome arguita in fatto dai giudici di merito sulla base del testamento, della dichiarazione di successione e degli accertamenti compiuti dal c.t.u., che aveva verificato l’intestazione fin dall’origine dello stesso alla testatrice>>.

L’azione di petizione ereditaria (art. 533 ss. c.c.) non può riguardare beni già usciti dal patrimonio del de cuius prima del suo decesso

Esatto giudizio reso da Cass. sez. II, 21/03/2025 n. 7.577, rel. Giannaccari:

<< 5.1. Gli attori avevano, invero, chiesto dichiararsi “la nullità di due assegni bancari” emessi dalla de cuius in vita in favore del nipote Fa.Ra. perché frutto del reato di circonvenzione di incapace e, per l’effetto, avevano invocato la restituzione della somma incassata dal beneficiario e la sua devoluzione alla massa ereditaria.

Si tratta di un’azione di restituzione di somme che avrebbe potuto compiere lo stesso defunto – e per questo trasmissibile agli eredi – a titolo extracontrattuale, per circonvenzione di incapace>>.

Ecco perchè:

<<Trattandosi di un atto che la de cuius aveva posto mentre era in vita, è errata la qualificazione giuridica della domanda come petizione di eredità da parte della Corte d’Appello.

5.2. L’azione di petizione ereditaria richiede, infatti, tre presupposti di diritto: l’attore deve dimostrare la propria qualità di erede legittimo o testamentario, il possesso da parte del convenuto dei beni reclamati e l’appartenenza di tali beni all’asse ereditario.

Presupposto dell’azione è l’impossessamento da parte dei terzi o dell’erede dei beni ereditari sicché essa può avere ad oggetto beni riconducibili al momento dell’apertura della successione all’asse ereditario.

Con l’azione di petizione ereditaria, invero, l’erede può reclamare soltanto i beni nei quali egli è succeduto mortis causa al defunto mentre tale azione non può essere esperita per far ricadere in successione somme di denaro che il de cuius abbia, prima della sua morte, rimesso a mezzo di assegni bancari, senza un’apparente causa di giustificazione, al futuro erede e che questi abbia o abbia avuto in disponibilità in forza di un titolo giuridico preesistente e indipendente rispetto alla morte del de cuius (Cass. 4 aprile 2024, n. 8942; Cass. 9 febbraio 2011, n. 3181; Cass. 19 marzo 2001, n. 3939; Cass. 23 ottobre 1974, n. 3067).

La petitio hereditatis, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, è un’azione nella quale l’erede non subentra al de cuius ma che a lui viene attribuita ex novo al momento dell’apertura della successione (cfr. Cass. 2 agosto 2001, n. 10557; Cass. 16 gennaio 2009, n. 1074).

Nell’azione di petizione dell’eredità – che è un’azione reale, fondata sull’allegazione della qualità di erede e volta a conseguire il rilascio dei beni compresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione da chi li possiede senza titolo o in base a titolo successorio che non gli compete – legittimati attivamente e passivamente sono soltanto, rispettivamente, colui che adduce la sua qualità di erede e colui che sia in possesso dei beni di cui il primo chiede la restituzione (Cass. 9 febbraio 2001, n. 3181, cit.; Cass. 1 aprile 2008, n. 8440).

La petizione di eredità, quindi, non può essere esperita al fine di recuperare beni che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari.

5.3. Nel caso di specie, i due assegni, secondo la prospettazione condivisa dalle parti e l’accertamento svolto dalla Corte d’Appello, erano fuoriusciti dal patrimonio della de cuius quando era ancora in vita e le somme di denaro che costituivano il controvalore di detti assegni non facevano, quindi, parte dell’asse ereditario.

L’azione proposta, come risulta dalla sentenza del giudice di appello e dall’atto di citazione – che questa Corte ha il potere-dovere di esaminare in ragione del vizio dedotto, avente carattere processuale – era di natura extracontrattuale in quanto gli attori avevano lamentato che la de cuius aveva compiuto in favore di Fa.Ra. due atti di disposizione attraverso l’emissione di assegni per l’importo di Euro 433.300,00, approfittando delle precarie condizioni fisiche della medesima.

5.4. È, quindi, errata la qualificazione giuridica della domanda come petitio hereditatis, sulla quale la Corte d’Appello ha fondato la motivazione, pervenendo alla conferma della sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda degli attori (fatto salvo che per il profilo relativo agli interessi), riconducendola, per l’appunto, ad un’azione di petitio hereditatis.>>

La petizione ereditaria è implicita nella domanda di scioglimento della comunione

Cass. sez. II, Sent. 17/10/2024, n. 26.951, rel. Pirari:

<<Orbene, la questione proposta attiene, nella specie, agli effetti che conseguono alla proposizione di una domanda di scioglimento della comunione ereditaria e alla configurabilità dell’efficacia recuperatoria della stessa in assenza di relativa domanda, posto che, secondo il ricorrente, i giudici di merito non avrebbero potuto includere nella massa dividenda una somma di denaro in assenza di domanda di condanna e, correlatamente, di pronuncia in tal senso. A ben vedere, però, questa ricostruzione degli istituti non convince, poiché si pone in contrasto con il significato stesso del giudizio di divisione ereditaria e gli effetti da esso scaturenti. E’ ben noto, invero, che il recupero, da parte dell’erede, dei beni ereditari di cui sia nel possesso un terzo, sia in qualità di erede, sia senza titolo, avviene con l’esercizio dell’azione di petizione ereditaria ex art. 533 cod. civ., la quale, oltre ad avere natura reale e non contrattuale, è fondata sull’allegazione della qualità di erede con la finalità, giustappunto, di conseguire il rilascio dei beni compresi nell’asse ereditario al momento dell’apertura della successione da chi li possiede senza titolo o in base a titolo successorio che non gli compete, ma non quelli che, al momento dell’apertura della successione del de cuius, erano già fuoriusciti dal suo patrimonio e che, in ragione di ciò, non possono essere considerati quali beni ereditari (in tal senso, Cass., Sez. 2, 4/4/2024, n. 8942).

Orbene, la petizione dell’eredità, che consente, ai sensi dell’art. 533 cod. civ., di chiedere sia la quota dell’asse ereditario sia il suo valore, potendo così assumere tanto natura di azione di accertamento o funzione recuperatoria (Cass., Sez. 6-2, 24/9/2020, n. 20024 ), quanto di condanna al rilascio dei beni ereditari posseduti dal convenuto a titolo di erede (Cass., Sez. 2, 19/1/1980, n. 461), si configura anche quando sia proposta domanda di divisione dell’asse ereditario, in quanto quest’ultima, al pari della prima, postula l’accertamento dell’esistenza, nell’attivo ereditario, del credito di cui il de cuius era titolare nei confronti di altro coerede per le somme da questi illegittimamente prelevate dal conto cointestato prima della sua morte (Cass., Sez. 6-2, 24/9/2020, n. 20024; Cass., Sez. 2, 2004, n. 24034). Ciò comporta che nell’azione di scioglimento della comunione ereditaria può dirsi insita l’azione di petizione ereditaria allorché si chieda la ricostruzione dell’asse relitto e l’inclusione, in esso, di beni sottratti da altro erede o da un terzo, ivi compresi, dunque, i crediti vantati dal de cuius o le somme di denaro illecitamente prelevate da altro erede, come nella specie, tanto più che la sentenza contenente l’assegnazione dei beni ai condividenti costituisce titolo esecutivo, idoneo a consentire a ciascuno di costoro di acquistare non soltanto la piena proprietà dei beni facenti parte della quota toccatagli, ma anche la potestà di esercitare tutte le azioni inerenti al godimento del relativo dominio, ivi compresa quella diretta ad ottenere, in via esecutiva, il rilascio dei beni in essa inclusi, rispetto ai quali gli altri condividenti non hanno più alcun titolo giustificativo per protrarre ulteriormente la detenzione proprio per effetto della compiuta divisione (sull’efficacia di titolo esecutivo dello scioglimento della comunione vedi Cass., Sez. 2, 22/8/2018, n. 20961; Cass., Sez. 2, 27/12/2013, n. 28697).

E’ allora evidente come nessuna ultrapetizione possa dirsi verificata nella specie, derivando dall’accertamento dell’esatta consistenza del patrimonio relitto prima e dall’attribuzione delle quote poi, presupponente evidentemente l’accertamento della qualità di erede, gli stessi effetti sostanziali che derivano dalla petizione ereditaria, che, in ragione di ciò, può dirsi insita nella domanda di scioglimento della comunione>>.

Azione di petizione ereditaria e buona fede: precisazioni (poco convincenti) della Cassazione sull’art. 535 cc

Cass. sez. II, ord. 05/03/2024  n. 5.876, rel. Picaro, in una petizione promossa contro eredi, che avevano alienato beni ereditari sapendo della pendenza di una lite per riconscimento di figlio naturale.

Ed allora la domanda è: erano in buona fede o no, ai sensi dell’art. 535 cc?

La SC cit. risponde di si e quindi il debito restitutorio è  limitato al prezzo incassato (ex c.2).

<<In realtà, l’impugnata sentenza non ha mancato di esaminare tale circostanza, ma riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha ritenuto che – anche in materia di possesso dei beni ereditari -dovesse valere il principio di ordine generale dell’art. 1147, comma 3°, cod. civ., secondo il quale la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto dei beni, e quindi nel caso degli eredi convenuti nella vicenda de qua, al momento dell’apertura della successione di Ch.Ar. (omissis), discendendo da ciò il diritto della Ca.Em. alla restituzione dei frutti dei beni ereditari venduti solo a far tempo dalla data in cui la stessa, esercitando l’azione di petizione ereditaria, con la richiesta della restituzione del controvalore (rectius del prezzo di vendita a terzi dei beni) ex art. 535, comma 2°, cod. civ., e non valendo l’esercizio sopravvenuto all’apertura della successione di Ch.Ar. delle azioni della Ca.Em. volte ad ottenere il riconoscimento giudiziale del suo status di figlia del de cuius, non accompagnate da specifiche domande di restituzione dei beni ereditari, a modificare lo status soggettivo degli altri eredi di Ch.Ar. da buona fede a mala fede>>.

Poi:

<<L’impugnata sentenza, infatti, si è conformata alla sentenza n. 14917/2012 di questa Corte, che – in una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, in cui egualmente l’apertura della successione si era verificata prima dell’esercizio dell’azione per il riconoscimento giudiziale di paternità – ha affermato che il principio della presunzione di buona fede di cui all’art. 1147 cod. civ. ha portata generale e non limitata all’istituto del possesso in relazione al quale è enunciato, e il possessore di buona fede è tenuto alla restituzione dei frutti a far tempo dalla domanda giudiziale con la quale il titolare del diritto ha chiesto la restituzione della cosa, con la conseguenza che – se come nella specie non è contestato che gli originari convenuti fossero in buona fede al momento di apertura della successione – il mutamento della loro condizione soggettiva da buona fede a malafede non può essere riferito ad un’evenienza esterna alla sfera soggettiva dei convenuti, richiedendosi invece una manifestazione di volontà del titolare del diritto volta ad ottenere la restituzione dei beni, manifestazione che si verifica solo con la proposizione dell’azione di petizione ereditaria.   (…)

Tale indirizzo giurisprudenziale, oltre a tener conto dell’espressa disposizione di richiamo alla disciplina possessoria dell’art. 535, comma 1°, cod. civ. e della specificazione contenuta nel terzo comma di tale articolo – per la quale si considera possessore di buona fede colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari in buona fede, ritenendo per errore di essere erede (o unico erede insieme agli altri chiamati al momento dell’apertura della successione), salvo che l’errore dipenda da colpa grave, e del secondo comma di tale articolo, per il quale l’obbligo restitutorio dell’erede in caso di alienazione a terzi del bene ereditario si limita al prezzo, o al corrispettivo ricevuto, se la buona fede esistente all’apertura della successione permane anche al momento dell’alienazione, avendo altrimenti ad oggetto il valore del bene stesso (come previsto dalla disciplina generale dell’art. 2038, comma 2°, cod. civ.) -, considera che il diritto del figlio naturale riconosciuto di accettare l’eredità deriva solo dal passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento di tale status, che è una sentenza di accertamento per la quale non è ipotizzabile una provvisoria esecutività, e che a sua volta è il presupposto per l’esercizio dell’azione di petizione ereditaria volta alla restituzione dei beni ereditari>>.

Che serva il giudicato per lo status , è ovvio.  Qui però si tratta d’altro e cioè dello stato soggettivo: che difficilmente è qualificabile “di buona fede” se si conosce la pendenza della lite.

Quanto meno andrebbe argomentato  meglio: si può dire che ignori di ledere l’altrui diritto l’erede, che vende sapendo della lite pendente di riconoscimento di figlio naturale e quindi della possibile sopravvenienza di altro erede? Direi di no,