Azione di petizione ereditaria e buona fede: precisazioni (poco convincenti) della Cassazione sull’art. 535 cc

Cass. sez. II, ord. 05/03/2024  n. 5.876, rel. Picaro, in una petizione promossa contro eredi, che avevano alienato beni ereditari sapendo della pendenza di una lite per riconscimento di figlio naturale.

Ed allora la domanda è: erano in buona fede o no, ai sensi dell’art. 535 cc?

La SC cit. risponde di si e quindi il debito restitutorio è  limitato al prezzo incassato (ex c.2).

<<In realtà, l’impugnata sentenza non ha mancato di esaminare tale circostanza, ma riformando sul punto la sentenza di primo grado, ha ritenuto che – anche in materia di possesso dei beni ereditari -dovesse valere il principio di ordine generale dell’art. 1147, comma 3°, cod. civ., secondo il quale la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto dei beni, e quindi nel caso degli eredi convenuti nella vicenda de qua, al momento dell’apertura della successione di Ch.Ar. (omissis), discendendo da ciò il diritto della Ca.Em. alla restituzione dei frutti dei beni ereditari venduti solo a far tempo dalla data in cui la stessa, esercitando l’azione di petizione ereditaria, con la richiesta della restituzione del controvalore (rectius del prezzo di vendita a terzi dei beni) ex art. 535, comma 2°, cod. civ., e non valendo l’esercizio sopravvenuto all’apertura della successione di Ch.Ar. delle azioni della Ca.Em. volte ad ottenere il riconoscimento giudiziale del suo status di figlia del de cuius, non accompagnate da specifiche domande di restituzione dei beni ereditari, a modificare lo status soggettivo degli altri eredi di Ch.Ar. da buona fede a mala fede>>.

Poi:

<<L’impugnata sentenza, infatti, si è conformata alla sentenza n. 14917/2012 di questa Corte, che – in una fattispecie del tutto analoga a quella in esame, in cui egualmente l’apertura della successione si era verificata prima dell’esercizio dell’azione per il riconoscimento giudiziale di paternità – ha affermato che il principio della presunzione di buona fede di cui all’art. 1147 cod. civ. ha portata generale e non limitata all’istituto del possesso in relazione al quale è enunciato, e il possessore di buona fede è tenuto alla restituzione dei frutti a far tempo dalla domanda giudiziale con la quale il titolare del diritto ha chiesto la restituzione della cosa, con la conseguenza che – se come nella specie non è contestato che gli originari convenuti fossero in buona fede al momento di apertura della successione – il mutamento della loro condizione soggettiva da buona fede a malafede non può essere riferito ad un’evenienza esterna alla sfera soggettiva dei convenuti, richiedendosi invece una manifestazione di volontà del titolare del diritto volta ad ottenere la restituzione dei beni, manifestazione che si verifica solo con la proposizione dell’azione di petizione ereditaria.   (…)

Tale indirizzo giurisprudenziale, oltre a tener conto dell’espressa disposizione di richiamo alla disciplina possessoria dell’art. 535, comma 1°, cod. civ. e della specificazione contenuta nel terzo comma di tale articolo – per la quale si considera possessore di buona fede colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari in buona fede, ritenendo per errore di essere erede (o unico erede insieme agli altri chiamati al momento dell’apertura della successione), salvo che l’errore dipenda da colpa grave, e del secondo comma di tale articolo, per il quale l’obbligo restitutorio dell’erede in caso di alienazione a terzi del bene ereditario si limita al prezzo, o al corrispettivo ricevuto, se la buona fede esistente all’apertura della successione permane anche al momento dell’alienazione, avendo altrimenti ad oggetto il valore del bene stesso (come previsto dalla disciplina generale dell’art. 2038, comma 2°, cod. civ.) -, considera che il diritto del figlio naturale riconosciuto di accettare l’eredità deriva solo dal passaggio in giudicato della sentenza di riconoscimento di tale status, che è una sentenza di accertamento per la quale non è ipotizzabile una provvisoria esecutività, e che a sua volta è il presupposto per l’esercizio dell’azione di petizione ereditaria volta alla restituzione dei beni ereditari>>.

Che serva il giudicato per lo status , è ovvio.  Qui però si tratta d’altro e cioè dello stato soggettivo: che difficilmente è qualificabile “di buona fede” se si conosce la pendenza della lite.

Quanto meno andrebbe argomentato  meglio: si può dire che ignori di ledere l’altrui diritto l’erede, che vende sapendo della lite pendente di riconoscimento di figlio naturale e quindi della possibile sopravvenienza di altro erede? Direi di no,