Versamenti in conto futuro aumento di capitale e termine per deliberare l’aumento medesimo: quando ricorre la bancarotta da distrazione?

Considerazioni di interesse anche per il giuscommercialista in Cass. pen., Sez. V, Sent., (data ud. 23/06/2023) 26/09/2023, n. 39139, rel. Belmonte, circa i versamenti eseguiti senza (previa, direi) determinazione del termine entro cui l’aumento va deliberato.

Riporto i passaggi finali:

<<1.7. Tirando le fila del ragionamento e alla luce dei richiamati approdi giurisprudenziali, quel che emerge con chiarezza è che, in caso di crisi aziendale, il salvataggio attuato dai soci attraverso integrazioni del patrimonio, che possono avere diverse gradazioni, non può prescindere dalla garanzia di una informazione simmetrica tra soci e terzi sulle condizioni finanziarie della società. La ragione per la quale il conferimento destinato a coprire futuri aumenti di capitali deve essere assoggettato a un termine finale conoscibile anche dal ceto creditorio sta nella considerazione che i creditori confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Diversamente ragionando, si trasferirebbe il rischio di impresa dalla società sui creditori, oltre a consentirsi la restituzione sine causa di somme conferite per altra ragione. 1.8. Il principio che deve essere affermato è quello che, in caso di un conferimento in conto di aumento futuro di capitale, esigenza di garanzie del ceto creditorio impongono l’individuazione di un termine finale a cui è correlato, in caso di mancata deliberazione dell’aumento, l’insorgenza del diritto di restituzione del conferimento; laddove la restituzione avvenga prima del termine (pattuito o fissato dal giudice), si realizza una distrazione da bancarotta societaria; nel caso in cui non sia stato concordato un termine a garanzia dei creditori, nè esso venga sollecitato al giudice, le somme non potranno essere restituite, in quanto destinate a coprire l’aumento di capitale (c.d. riserva targata). Diversamente, si avrebbe un rimborso sine causa, essendo correlata la relativa obbligazione alla mancata adozione della delibera entro un determinato termine.

E’ corretto, dunque, affermare che il socio conferente ha diritto alla restituzione, ove non segua la delibera dell’aumento di capitale, anche durante la vita della società, in quanto si tratta in questi casi di apporti destinati alla copertura anticipata di un determinato aumento di capitale non ancora deliberato, così da sostanziarsi in un’anticipazione della sottoscrizione del capitale destinata a perfezionarsi solo con la deliberazione societaria successiva (Cass. civ. Sez. 1 n. 31186 del 03/12/2018, Rv. 652065 – 01), ma il principio deve essere inteso nel senso che la somma anticipata resta vincolata fin quando non si verifica la condizione, sospensiva o risolutiva, della mancata delibera entro un termine che deve essere necessariamente determinato>>.

Applicato al caso de quo: <<1.9. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi: i giudici di merito hanno plausibilmente argomentato che nessun termine era stato stabilito; che neppure risulta sollecitata la fissazione giudiziaria di un termine per la restituzione; che non erano venuti meni i programmi legati all’aumento di capitale. Correttamente la Corte territoriale ha ritenuto integrata la bancarotta fraudolenta patrimoniale, contestualmente escludendo la configurabilità della bancarotta preferenziale, in coerenza con il principio affermato già dalla sentenza ‘Vesprinì, secondo cui “in tema di reati fallimentari, il prelievo di somme a titolo di restituzione di versamenti operati dai soci in conto capitale (o indicati con analoga dizione) integra la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione, non dando luogo tali versamenti ad un credito esigibile nel corso della vita della società; al contrario, il prelievo di somme quale restituzione di versamenti operati dai soci a titolo di mutuo integra la fattispecie di bancarotta preferenziale.”(Sez. 5 n. 8431/2019).

Postergazione ex art. 2467 c.c. dei finanziamenti del socio anche per le s.p.a. chiuse? Pare di si.

La postergazione dei finanziamenti dei soci alla società, prevista per le srl dall’art. 2467 cc, è applicabile anche alle s.p.a. (se assomiglianti alle prime e dunque se s.p.a. chiuse): così pensa Cass. 20.06.2018 n. 16291

La Corte infatti si era già  posta in “tale ultimo solco interpretativo, previa sottolineatura che la ratio del principio di postergazione del rimborso del finanziamento dei soci, dettato dall’art. 2467 c.c. per le società a responsabilità limitata, consiste nel contrastare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società “chiuse”, determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l’esposizione al rischio d’impresa, ponendo i capitali a disposizione dell’ente collettivo nella forma del finanziamento anzichè in quella del conferimento; e tale ratio – si è detto – è compatibile anche con altre forme societarie, come desumibile proprio dall’art. 2497-quinquies c.c., visto che siffatta norma ne estende l’applicabilità ai finanziamenti effettuati in favore di qualsiasi società da parte di chi vi eserciti attività di direzione e coordinamento. Sicchè in tal guisa è stato affermato il principio per cui l’art. 2467 è estensibile alle società azionarie a valle di una valutazione in concreto, dovendosi segnatamente valutare se la società, per modeste dimensioni o per assetto dei rapporti sociali (compagine familiare o, comunque, ristretta), sia idonea di volta in volta a giustificare l’applicazione della disposizione citata (v. Cass. n. 14056-15)“.

La Corte dunque conferma l’orientamento: “Simile approdo deve essere ulteriormente confermato, poichè è vero che la regola di postergazione tende a sanzionare la cosiddetta “sottocapitalizzazione nominale” delle società, nella quale l’impresa che necessita di mezzi propri viene invece finanziata dai soci attraverso l’erogazione di strumenti di debito, con conseguente artificiosa precostituzione – in situazione di squilibrio patrimoniale della società – di posizioni omogenee a quella dei creditori.

Essendo l’art. 2467 c.c. espressamente richiamato dall’art. 2497-quinquies rispetto ai rapporti di finanziamento infragruppo tra società controllanti e controllate, qualunque ne sia il tipo, non se ne può sostenere un’esegesi legata al mero specifico ambito del tipo della s.r.l., come in pratica assume il tribunale di Udine.

Alla medesima conclusione porta d’altronde anche l’art. 182-quater, comma 3, L. Fall., che, quanto alla prededucibilità dei crediti nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione in deroga alle citate norme, non procede per distinzioni a seconda del tipo societario.

Nè il principio appare contraddetto dall’ulteriore arresto col quale questa sezione ha escluso la postergazione a proposito dei crediti dei soci finanziatori di società cooperative, alle quali in generale si applica la disciplina delle s.p.a. (Cass. n. 10509-16). Simile conclusione è difatti ancorata essenzialmente all’ambito applicativo della L. 27 febbraio 1985, n. 49, art. 17 (cd. legge Marcora), come novellata dalla L. 5 marzo 2001, n. 57, art. 12 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati), che ha previsto l’erogazione di denaro pubblico in favore delle cooperative, e che, in quanto norma eccezionale, assume prevalenza, ai sensi dell’art. 14 prel., sulla previsione dettata dall’art. 2467 c.c.. Non può farsi a meno di sottolineare d’altronde che l’eccezionalità delle previsioni dettate per le società cooperative trova oggi definitiva conferma nella L. 27 dicembre 2017, n. 205 (recante il bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), nella quale è specificato (art. 1, comma 239) che l’art. 2467 c.c. non si applica alle somme versate dai soci alle cooperative a titolo di prestito sociale.”

Interessante è il ragionamento sulla eadem ratio: “6 – Vale la pena di puntualizzare in qual senso l’interpretazione estensiva (o anche analogica) della disposizione postuli la verifica di somiglianza della condizione concreta afferente. Tale condizione, che certo può esser dedotta su base presuntiva in ragione delle ridotte dimensioni della società, si sostanzia in ultima analisi nell’essere i soci finanziatori della s.p.a. in posizione concreta simile a quelle dei soci finanziatori della s.r.l.

L’identità di posizione può pacificamente affermarsi tutte le volte che l’organizzazione della società finanziata consenta al socio di ottenere informazioni paragonabili a quelle di cui potrebbe disporre il socio di una s.r.l. ai sensi dell’art. 2476 cod. civ.; e dunque di informazioni idonee a far apprezzare l’esistenza (art. 2467, comma 2) dell’eccessivo squilibrio dell’indebitamento della società rispetto al patrimonio netto ovvero la situazione finanziaria tale da rendere ragionevole il ricorso al conferimento, in ragione delle quali è posta, per i finanziamenti dei soci, la regola di postergazione.

In questa prospettiva la condizione del socio che sia anche amministratore della società finanziata può essere considerata alla stregua di elemento fondante una presunzione assoluta di conoscenza della situazione finanziaria appena detta“.

Nel caso specifico si trattava di sottoscrizione di prestito obbligazionario non convertibile per € 200.000,00, garantito da ipoteca, da parte di chi era socio di maggioranza  e presidente del consiglio di amministrazione.