Coerede escluso dalla gestione dei beni comuni: gli spettano i frutti della gestione medesima?

Dice di si Cass. sez. 2 del 8 giugno 2022 n. 18.548, rel. Scarpa, che offre spunti interessanti sul tema dell’art. 1102 cc e in particolare del godimento prevalente o esclusivo da parte di un condomino ai danni di un altro.

<<6.5.1. In tema di comunione, l’art. 1102 c.c., consente al comproprietario l’utilizzazione ed il godimento della cosa comune anche in modo particolare e più intenso, ovvero nella sua interezza (in solidum), ponendo il divieto, piuttosto, di alterare la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, così da negare che l’utilizzo del singolo possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale o potenziale, di tutti i comproprietari. Diverso regime rispetto all’uso della cosa comune vale per i frutti naturali (che entrano a far parte della comunione e quindi si ripartiscono tra i partecipanti pro quota) e per i frutti civili (soggetti alla regola della divisione ipso iure, e però nella comunione ereditaria disciplinati ulteriormente dal principio della dichiaratività della divisione, di cui all’art. 757 c.c.).

Perché sia ravvisabile un atto illecito e perciò un danno risarcibile, dunque, occorre che siano verificate le condizioni di cui all’art. 2043 c.c. (danno prodotto non iure e contra ius), e cioè la sussistenza di una compromissione da parte di un comproprietario dell’uso consentito agli altri. Quando, a norma dell’art. 1102 c.c., si ha un abuso della cosa comune, per l’alterazione della sua destinazione ovvero per l’impedimento del pari uso di essa da parte degli altri partecipanti alla comunione, ciascuno dei partecipanti è legittimato ad esercitare lo ius prohibendi per ottenere la cessazione della condotta illegittima, oltre che a promuovere un’azione di risarcimento del danno, inteso come effetto della diminuzione della quota o della perdita materiale del bene oggetto della comproprietà (arg. da Cass. Sez. 2, 12/09/2003, n. 13424; Cass. Sez. 2, 10/01/1981, n. 243; Cass. Sez. 2, 12/09/1970, n. 1388).>>

Viceversa, è stato precisato in giurisprudenza come <<l’utilizzazione esclusiva del bene comune da parte di uno dei comproprietari, ove mantenuta nei limiti di cui all’art. 1102 c.c., non è di per sé idonea a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l’occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l’intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli sia stato concesso, e sempre che risulti provato che il comproprietario, il quale abbia avuto l’uso esclusivo del bene, ne abbia tratto anche un vantaggio patrimoniale (Cass. Sez. 2, 09/02/2015, n. 2423; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24647; Cass. Sez. 2, 04/12/1991, n. 13036).

In particolare, un coerede, il quale, dopo la morte del de cuius, trattenga il possesso di un bene ereditario, rimane nell’ambito dell’esercizio legittimo dei poteri spettanti al comproprietario pur ove utilizzi ed amministri individualmente lo stesso, a meno che il rapporto materiale instaurato con la res non si svolga in maniera tale da escludere gli altri coeredi, con palese manifestazione del volere, dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il medesimo bene (Cass. Sez. 2, 04/05/2018, n. 10734)>>.

Ove, viceversa, risulti dimostrata <<una sottrazione o un impedimento assoluto, da parte di un comproprietario, delle facoltà dominicali di godimento e disposizione del bene comune spettanti agli altri contitolari, ovvero una violazione dei criteri stabiliti dall’art. 1102 c.c., per l’occupazione dell’intero immobile ad opera del comunista e la sua destinazione ad utilizzazione personale esclusiva, con privazione pro quota della disponibilità dei residui partecipanti, può dirsi risarcibile, sotto l’aspetto del lucro cessante, non solo il lucro interrotto, ma anche quello impedito nel suo potenziale esplicarsi, essendo perciò il danno da quantificare in base ai frutti civili che l’autore della violazione abbia tratto dall’uso esclusivo del bene. Non vi è luogo, altrimenti, di riconoscere una “indennità” per il sol fatto dell’occupazione dell’intero bene ad opera del comproprietario, ove la stessa non si connoti altresì di illiceità per superamento dei limiti ex art. 1102 c.c. (dal che genera un “danno”), in quanto tale occupazione trova comunque titolo giustificativo nella comproprietà che investe tutta la cosa comune, e la sorte dei frutti naturali e civili tratti dal bene goduto individualmente ha attuazione in sede di divisione e di resa del conto (insieme alle spese necessarie od utili per la conservazione o il miglioramento del bene comune anticipate dal comunista), né altrimenti la legge prevede espressamente in tale evenienza un indennizzo da attività lecita ma dannosa (si vedano, indicativamente, Cass. Sez. 2, 12/03/2019, n. 7019, non massimata; Cass. Sez. 2, 07/08/2012, n. 14213; Cass. Sez. 2, 30/03/2012, n. 5156; Cass. Sez. 2, 06/04/2011, n. 7881; Cass. Sez. 2, 05/09/2013, n. 20394).

<<6.5.2. La Corte d’appello di Lecce, avendo ritenuto accertato che S.A. e S.N. avevano goduto per intero del fabbricato, ha quindi deciso che le stesse dovessero corrispondere alla comproprietaria S.M.C., quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione “pro quota” del bene comune, il valore del corrispettivo del godimento dell’immobile secondo i correnti prezzi di mercato, considerando, tuttavia, che lo stesso fino al 1995 era stato in condizioni che ne impedivano l’abitabilità. Tale valutazione, operata ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., spettava ai giudici del merito, e non è qui sindacabile contrapponendo soluzioni logico-deduttive alternative rispetto a quella adottata nella sentenza impugnata.>