In claris non fit interpretatio: talora è regola corretta

Interessante pronuncia su una success fee pattuita dall’avvocato con il convenuto: quindi parametrata non al quantum ottenuto ma al quantum ridotto rispetto alla domanda attorea.

Si tratta di Cass. sez. II, ord. 22/11/2024 n. 30.156, rel. OLiva:

fatto:

<<Il Tribunale ha dato atto che le parti avevano pattuito il compenso in parte in misura fissa, e precisamente in Euro 14.000, ed in parte in misura variabile, mediante una “success fee” pari allo 0,7% del minor importo che fosse stato ritenuto dovuto rispetto alla pretesa iniziale proposta dal Fallimento Antenna Tre Nord Est Spa nei confronti del Ba.. Ha però argomentato, il giudice di merito, che la predetta “success fee” non fosse dovuta, in quanto la pattuizione avrebbe avuto ad oggetto la sola ipotesi di accoglimento parziale della domanda, e non anche quella del suo totale rigetto, ed ha quindi limitato la pretesa degli odierni ricorrenti alla sola somma determinata in misura fissa, dalla quale ha poi detratto gli acconti, giungendo all’importo finale determinato in ordinanza.

I ricorrenti contestano tale statuizione, osservando che la clausola si riferisse ad ogni ipotesi in cui la pretesa della procedura concorsuale fosse stata ridotta, e dunque anche all’eventualità del suo totale rigetto. In effetti, la formulazione letterale della clausola non lascia dubbi, posto che essa prevede la spettanza della “success fee” nella misura dello “.. 0,7% del minor importo stabilito dal Giudice rispetto alla somma di Euro 3.333.460,15 oggetto della domanda” (cfr. pag. 3 del ricorso) e dunque in qualsiasi ipotesi di riduzione della pretesa di cui anzidetto>>.

La SC:

<<Ad avviso del Collegio, il giudice di merito ha operato un’interpretazione controletterale della clausola, in violazione dell’art. 1362 c.c., il quale, allorché nel primo comma prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10967 del 26/04/2023, Rv. 667678, ed ivi richiami ai precedenti conformi, tra cui Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21576 del 22/08/2019, Rv. 654900 e Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10290 del 27/07/2001, Rv. 548566).

Nel caso in esame, lettera e spirito della clausola, così come accertati nella loro oggettività dal Tribunale, mirano a parametrare il compenso professionale al valore differenziale tra disputatum e decisum, nel senso di far proprio (anche) nel rapporto interno tra il professionista e il suo cliente un criterio che normalmente rileva (solo) nel rapporto esterno tra le parti, ai limitati fini della liquidazione delle spese che il giudice opera in danno del soccombente.

Ciò posto, poiché il Tribunale ha accertato l’integrale rigetto della domanda proposta dalla procedura fallimentare, l’esito interpretativo della clausola in oggetto non può essere – ostandovi lo spirito della stessa – quello paradossale di azzerare un compenso aggiuntivo che, diversamente, ove cioè la domanda fosse stata accolta in qualsivoglia misura, vi sarebbe comunque stato a favore degli odierni ricorrenti>>.

Sull’annoso problema interpretativo dell’estensione della licenza esclusiva: anche verso il licenziante o solo verso eventuali altri licenziatari?

La cattiva tecnica redazionale di contratti di licenza può portare anche a liti quale quella decisa da Trib. Milano 09.03.2021 sent. n° 1993/2021, Rg 69/2018, rel. Macchi, S§R Farmaceutici spa c. Ekuberg Pharma srl.

Questione ampiamente trattata in passato , per cui è strano che ancora si ponga nelle aule giudiziarie.

E’ il caso in cui il licenziante pattuisce l’esclusiva a favore del licenziatario: non si chiarisce però se <esclusiva> sia riferito solo ad eventuali altri licenziatari (in tale caso il licenziante può vendere in concorrenza al licenzitario) o sia riferita a chiunque, erga omnes (in tale caso il licenziante deve astenersene).

Non chiarire (per sciatteria redazionale o magari per silenzio strategico) il punto può costare chiaro e porta a liti quale quella de qua

Il Tribunale è per la prima interpretazioneà: il licenziante può continuare a vendere per conto proprio, non potendosi dedurre dal contratto un’esclusiva pure a carico suo: <<L’esame del testo del contratto deve essere condotta alla luce di un elemento di fatto che appare rivestire cruciale rilevanza. Ekuberg era già presente da tempo con quei tre propri prodotti in alcuni segmenti territoriali del mercato italiano, e in una serie di Paesi esteri. La circostanza era evidentemente ben nota sin da prima della stipulazione (come emerge con chiarezza anche dal
comportamento delle parti successivo alla stipulazione, su cui si tornerà  iffusamente più avanti), e non affatto “scoperta” in corso di rapporto. Osserva il Collegio che non può ragionevolmente ritenersi che Ekuberg intendesse obbligarsi ad autoescludere i propri prodotti dai mercati in cui essi erano affermati, ancor prima che la licenziataria si organizzasse per entrarvi con il proprio marchio, o a prescindere dall’idoneità delle iniziative della licenziataria a ciò finalizzate. Sullo sfondo di tale scenario fattuale, è da ritenersi che la previsione di un’esclusiva rigidamente imposta anche a Ekuberg dovrebbe trovare nel contratto forti indici testuali; il fatto che le parti, invece, non abbiano ritenuto di regolare  espressamente, e con puntualità di disciplina, un obbligo per Ekuberg di cessare l’attività di vendita diretta con propri marchi in favore di una licenziataria che ancora doveva organizzare le sue strategie, depone significativamente per l’insussistenza di un obbligo di esclusiva rivolto verso la stessa Ekuberg nei termini prospettati da parte attrice.
Se, come detto, nessuna specifica clausola contrattuale prevede espressamente un divieto per Ekuberg di vendere i propri prodotti, si deve rilevare che detta conclusione nemmeno può raggiungersi all’esito della ricerca della comune intenzione delle parti, attuata interpretando le clausole le une per mezzo delle altre come previsto dall’art. 1363 c.c.>>.

La motivazione è interessante perchè dettaglia sulle circosatnze fattuali anche post stipula , ragionando sui criteri legali di interpretazione del contratto ex art. 1362 segg. c.c.

Non è chiarissimpo il tipo contrattuale sub iudice , chiamato “contratto di produzione e fornitura in full service e licenza di formulato”: forse licenza di know how? E’ infatti il TITOLARE della c.d. formula produttiva (distribuita dal livenziatario , attore in causa, con proprio marchio) ad essere convenuto per asserita violazione del contratto.