Prova del credito bancario: successione di conti correnti con produzione di estratto conto solo dell’ultimo ma non dei precedenti estinti, il cui saldo costituisce la prima voce di quello prodotto

Interessante fattispecie (non so dire quanto frequente) e soluzione ragionevole (abbastanza scontata, non potendosene immaginare una diversa; v. però la perplessità in parentesi quadra) fornita da Cass. 15.601 del 16 maggio 2022, sez. 1, rel. Scotti .

In breve, per la SC tocca al correntista contestare alla Banca la prima voce (di apertura) di un estratto di conto corrente, quando sia costituita dal saldo di precedente conto ormai estinto , a sua volta preceduto da altri conti correnti estintisi (il  saldo di ciascuno dei quali era confluito come voce di apertura nel conto seguente).

 <<5.5. Inoltre il motivo asseritamente ignorato deduceva l’incompletezza degli estratti conto forniti dalla Banca solo perché non sarebbero stati parimenti forniti gli estratti conto completi di altri conti correnti precedentemente intrattenuti dalle societàgarantite e successivamente estinti e azzerati, senza dimostrareche anche tali altri conti fossero oggetto di causa.

Né può ritenersi incompleto un estratto conto solo perché laprima posta passiva registrata si riferisce ad un debito del correntista riveniente dalla chiusura di un altro rapporto bancario. [errore!!! Invece è incompleto, dato che la posta non si riferisce ad una operazione spefica ma è una sintesi di tutte quelle dell’estratto ultimo del conto chiuso]

5.6. Beninteso, ciò non significa che una banca possainserire nell’estratto conto il saldo negativo di precedenti contichiusi senza che il cliente possa al riguardo articolare alcuna difesa al riguardo.Certamente l’estratto conto che inizi con il saldo negativo diun precedente conto non può dirsi incompleto. La completezza,però, non significa necessariamente veridicità.

È anche vero, cioè, che detta posta, come tutte le poste di unconto, può essere oggetto di contestazione da parte del correntista (il quale ha appunto l’onere di contestare le varie poste del contonell’ambito della dialettica fra le parti voluta dal legislatore pergiungere all’accertamento del saldo) e, se una contestazione vi sia,scatta l’obbligo della banca di fornire la prova della correttezzadella posta di cui trattasi: prova che in un caso come quellooggetto del giudizio consisterebbe appunto, di regola, nella produzione degli estratti conto da cui risulti quel saldo negativo.

I ricorrenti sostengono appunto di aver contestato, nel giudizio di merito le poste iniziali di quei conti in quanto costituitedal saldo negativo di altri conti nei quali era stati applicati interessianatocistici e addebitate spese non dovute.Se una tale contestazione fosse stata effettivamentesollevata, i giudici di merito avrebbero dovuto pretendere dallabanca la produzione anche degli estratti conto per così dire«secondari». Sennonché la deduzione dei ricorrenti di avercontestato nel merito, per la ragione appena detta, la correttezzadei saldi negativi dei conti secondari, è oltremodo generica, vistoche essi non indicano quando e come l’avrebbero sollevata nelgiudizio di merito, e dunque inammissibile, dato che anche lasentenza impugnata non vi fa alcun cenno>>.

La SC non indica alcuna disposizione di legge per sorreggere il suo giudizio.

Si v. ad es l’art. 50 TUB per l’ingiunzione e l’art. 119 TUB sulle comunicazioni periodiche alla clientela.

Usura nella compravendita immobiliare, giustizia contrattuale e nell’impugnazione di lodo arbitrale ex art. 829.3 cpc

App. Milano n. 1978/2022, del 08 giugno 2022, RG 1978/2021, RCS c. Kryalos, giudice Raineri, decide l’impuignazione del noto lodo arbitrale RCS v. Blackrock sugli immobili sede del Corriere.

Alcuni passaggio significativi:

– l’usura non si applica alla compravendita di beni e cioè ad operazioni che non siano finanziarie, § 7 p. 23 ss, nè la sua nuova disciplina ex L. 108 del 1996 fa venir meno l’applicaiblitò della rescissione per lesione, p. 27:

<<8. Le considerazioni sin qui esposte depongono nel senso di escludere la nullità dei contratti intercorsi
fra le parti, vuoi per la ritenuta inapplicabilità del concetto di usura declinato dall’art. 644 c.p., pur nella
attuale formulazione, al caso di specie, vuoi per la inapplicabilità del rimedio della nullità derivata.
Nessuna violazione dell’ordine pubblico può, conclusivamente, rintracciarsi nel Lodo parziale che ha
deciso in conformità.
>>

– circa l’usura reale (rigettata), si v. il passaggio sulla giustizia contrattuale e cioè sulla sindacabilità economica dei contratti da parte di in giudice in applicaizone di un fantomatico principio di proporzionalità nelle prestazioni:

<< Quanto alla iniquità dello scambio, seppure l’esperto chiamato ad esprimersi sul valore di
mercato del compendio immobiliare abbia rilevato un indubbio scostamento fra il (presunto)
valore di mercato ed il prezzo di cessione – non senza avere più e più volte sottolineato
l’intrinseca opinabilità delle sue valutazioni – non può omettersi di evidenziare che, prima di
definire la compravendita con Blackstone, RCS aveva condotto di propria iniziativa, con
l’assistenza di un
advisor finanziario di primario standing (Banca IMI) e sotto il costante
monitoraggio del Collegio sindacale, un’attività di sollecitazione del mercato, rivolgendosi ad
oltre trenta investitori, scelti in ragione della loro rappresentatività di tutte le tipologie di
potenziali acquirenti, nessuno dei quali aveva proposto condizioni economiche migliori. E il
confronto del prezzo pattuito nell’APA con le offerte ricevute da RCS durante il procedimento
competitivo dimostrava, altresì, che tutte le alternative di mercato si assestavano, in modo
totalmente autonomo e genuino, su valori sostanzialmente omogenei.
La difesa di Kryalos non ha omesso di citare, in proposito, le dichiarazioni rese dalla stessa
RCS, le quali depongono inequivocabilmente nel senso del pieno compiacimento del Gruppo
per la conclusione dell’operazione di cessione alle condizioni convenute, ritenute del tutto
soddisfacenti ed in linea con i riferimenti forniti dal perito indipendente, nonché con gli
obiettivi contenuti nel Piano industriale della società
22. >>

– buona fede e correttezza non servono come base per permettere tale controllo del giudice alla luce di un principio di proprizionalità tra le prestazioni, p. 34

– infine il punto più interessante è quello sul cocnetto di <<ordine pubblico>> violato dal lodo, unico motivo impugnatorio se le parti non hanno espressamente previsto la sua impugnabilità per vioolazione di legge (art. 829.c cpc).

Per la sua importanza , lo riporto tutto:

<< L’importanza della individuazione del significato della nozione di ordine pubblico nel giudizio di
impugnazione risulta, peraltro, ancor più cruciale ove si tenga conto del fatto che sono state ritenute
compromettibili anche le controversie aventi ad oggetto rapporti giuridici regolati da norme imperative.
Questa Corte ritiene di aderire alla tesi, peraltro maggioritaria in dottrina ed in giurisprudenza, della
non coincidenza fra “norme imperative” e “ordine pubblico”. Non solo perché, se vi fosse coincidenza,
l’art. 829 co. 4 c.p.c. sarebbe privo di portata precettiva in quanto l’annullabilità del Lodo per
violazione dell’ordine pubblico garantirebbe già quella censura, ma soprattutto perché, come già
in
limine
osservato, in ambito civilistico, le norme imperative, benché inderogabili perché poste a presidio
di interessi generali, non sempre implicano, ove violate, la nullità del contratto; la quale può essere
esclusa dalla legge, allorché essa preveda diversi esiti con salvezza degli effetti negoziali.
E sarebbe, all’evidenza, contraddittorio sostenere che la violazione delle medesime norme imperative
non determini la nullità di un contratto ed implichi, al contrario, la nullità di un Lodo (sul presupposto
che tutte le norme imperative apparterrebbero all’ordine pubblico).
Per contro, non è neppure corretto affermare che un Lodo che violi norme imperative sia, per ciò solo,
contrario all’ordine pubblico. Affinché si configuri tale contrasto, occorre avere riguardo al “contenuto
concreto” della decisione, nel senso che il Lodo, frutto di una errata applicazione della norma
inderogabile, sarà contrario all’ordine pubblico solo nel caso in cui produca effetti che l’ordinamento
non può recepire.
A titolo di esempio, sarà certamente contrario all’ordine pubblico un Lodo che accerti, crei o modifichi
rapporti giuridici che, se regolati da un contratto, sarebbero illeciti (si pensi al Lodo che accerti il diritto
di schiavitù; la validità di atti dispositivi di beni sottratti al commercio; che condanni a prestazioni
vietate, quali la vendita di organi).
Ma il complesso delle norme imperative – la cui violazione può, ai sensi dell’art. 1418 comma 1 c.c.,
comportare la nullità di un contratto – non ricade necessariamente nella nozione di “ordine pubblico”
nell’accezione declinata dall’art. 829, comma 3, c.p.c.
Del resto è lo stesso legislatore ad aver fornito nella Legge Delega n. 80/2005 – cui è seguita la riforma
dell’arbitrato – una chiave di lettura inequivocabile, subordinando l’impugnabilità del lodo per
violazione di regole di diritto all’esplicita previsione delle parti, salvo diversa previsione di legge e
salvo il contrasto con i principi fondamentali dell’ordine giuridico“.
Orbene, come condivisibilmente argomentato dalla difesa di Kryalos, RCS compie l’errore di
considerare qualunque norma di natura inderogabile suscettibile ad ergersi a norma di ordine pubblico
rilevante ai sensi dell’art. 829, comma 3, c.p.c., laddove sia accompagnata da un richiamo alla tutela di
interessi generali. Il che la spinge a teorizzare una sorta di
nullità riflessa delle pronunce arbitrali quale
conseguenza dalla (pretesa) nullità dell’operazione di compravendita degli immobili per violazione di
norma imperativa o illiceità della causa. Ma l’ordine pubblico
ex art. 829, comma 3, c.p.c. non può
essere confuso con l’interesse collettivo o pubblico, dovendosi esso ricondurre ad un insieme selettivo e
circoscritto di principi essenziali – assai più ristretto di quello assegnato in altri ambiti dell’ordinamento
– cosicché non può ritenersi integrato da mere violazioni di norme imperative, censurabili solo entro i
limiti sanciti dal primo periodo della disposizione (vale a dire per espressa pattuizione delle parti o
previsione di legge).
In altri termini, i principi di ordine pubblico vanno individuati nei principi fondamentali della nostra
Costituzione, o in quelle altre regole che, pur non trovando in essa collocazione, rispondono
all’esigenza, di carattere universale, di tutelare quei diritti fondamentali dell’uomo la cui lesione si
traduce in uno stravolgimento dei valori fondanti l’intero assetto ordinamentale
25. Allorché, invece, si
controverta di norme che, ancorché́ non derogabili dalle parti, sono poste a presidio di interessi
economici disponibili – o dettate a tutela di interessi generali o pubblici che governano, purtuttavia,
rapporti tra privati – la loro eventuale violazione non può ergersi a violazione dell’ordine pubblico nel
senso inteso dall’art. 829, comma 3, c.p.c
>>

Cui va aggiunto il (leggermente criptico) passaggio seguente: << Non solo. Proprio in ragione della impossibilità di dedurre errores in iudicando nelle impugnative post
Riforma, deve coerentemente desumersi che solo il “contenuto concreto” del Lodo possa determinare la
contrarietà dello stesso all’ordine pubblico, non già la violazione dei principi di diritto applicati dagli
arbitri al rapporto controverso, ove questa non si sia trasfusa in un dispositivo
ex se lesivo di tale
superiore principio. Poiché, diversamente opinando, si assisterebbe ad una surrettizia introduzione di
errores in iudicando, in palese contrasto con la disciplina di legge >> (forse spiegabile con l’immediatamene seguente prosieguo della motivaizone)

La piattaforma social perde il safe harbour ex § 230 CDA per negligent design (prodotto difettoso) se permette l’uso anonimo

Il distretto dell’Oregon , Portland division, con sentenza 13 luglio 2022, Case 3:21-cv-01674-MO , A.M. v. Omegle.com llc+1, pone un interessante insegnamento.

La piattaforma social perde il safe harbour se il danno ad un utente è causato non solo dal fatto di altro utente , ma anche dal fatto proprio omissivo (anzi, forse è commissivo),  consistente nel design difettoso della propria architettura informatica . Difetto consistente ad es. nel permettere l’anonimato e il non dichiarere/accertare l’età (nel caso, aveva abbinato casualmente maggiorennne e minorenne, risultata poi adescata dal primo).

Astutamente (o acutamente) per bypassare la barriera del § 230 CDA l’avvocato dell’attore aveva azionato la responsabilità del produttore (social) per prodotto difettoso (negligent design della piattaforma).

Quindi non può dirsi sia stato azionata responsabilità per fatto solo del terzo utente.

<< Here, Plaintiff’s complaint adequately pleads a product liability lawsuit as to claims one
through four.
2 Omegle could have satisfied its alleged obligation to Plaintiff by designing its
product differently—for example, by designing a product so that it did not match minors and
adults. Plaintiff is not claiming that Omegle needed to review, edit, or withdraw any third-party
content to meet this obligation. As I will discuss in more detail below, the content sent between
Plaintiff and Fordyce does not negate this finding or require that I find Omegle act as a publisher.
The Ninth Circuit held in
Lemmon that a defendant “allow[ing] its users to transmit usergenerated content to one another does not detract from the fact that [a plaintiff] seek[s] to hold
[the defendant] liable for its role in violating its distinct duty to design a reasonably safe
product.” 995 F.3d at 1092. “The duty to design a reasonably safe product is fully independent of
[a defendant’s] role in monitoring or publishing third party content.”
Id. In Lemmon it was
immaterial that one of the decedents had sent a SnapChat with the speed filter on it. Instead,
what mattered is that the claim treated defendant as a product manufacturer by accusing it of
negligently designing a product (SnapChat) with a defect (the interplay between the speed filter
and the reward system).
In this case, it similarly does not matter that there were ultimately chats, videos, or
pictures sent from A.M. to Fordyce. As I stated at oral argument, it is clear that content was
created; however, claims one through four do not implicate the publication of content. Tr. [ECF
32] at 10:6–11:8. What matters for purposes of those claims is that the warnings or design of the
product at issue led to the interaction between an eleven-year-old girl and a sexual predator in his
late thirties
>>

Collegamento negoziale tra contratto di vendita di pannelli solari e contratto di finanziamento bancario

Trib. Torino 25.03.2022 n. 1315, RG 31491/2019, g.u. Di Capua, affronta il tema in oggetto e accoglie la domanda di annullamento della fornitura per dolo e conseguemente anche del contratto di finanziamemnto (offerto da nota banca).

Decisione interessante per più profili.

Premessa generale:  << 3.5.3. Il collegamento negoziale può, peraltro, attuarsi in due differenti forme: si può avere
collegamento bilaterale (o plurilaterale), nel qual caso si avrà condizionamento reciproco delle vicende
che coinvolgono i contratti, o collegamento unilaterale, nel qual caso le vicende che coinvolgono uno
dei contratti saranno in grado di ripercuotersi sull’uno o più altri contratti, senza che, però, possa
accadere il contrario (cfr. Cass. civ., sez. I, 5 giugno 2007, n. 13164; Cass. civ., sez. I, 8 luglio 2004, n.
12567; Cass. civ., sez. II, 6 settembre 1991, n. 9388).
Si è detto che, nel caso concreto oggetto di causa, i contratti sono collegati, e che il collegamento
postula la volontà di realizzare un obiettivo economico unitario per il raggiungimento del quale le parti
stipulano più di un negozio. Il contratto di fornitura e il contratto di finanziamento posti in essere dalle
parti in causa hanno ad oggetto il compimento di un’operazione unitaria, ossia l’acquisto da parte della
sig.ra DONATINI – e quindi la vendita da parte di GREEN STYLE – di un impianto fotovoltaico.
Il contratto di finanziamento interviene per permettere al consumatore, parte attrice, di effettuare
l’acquisto in questione.
Il contratto di compravendita e il contratto di finanziamento non si pongono, perciò, sullo stesso piano:
il primo costituisce il contratto principale, mentre il secondo è contratto accessorio, dipendente dal
contratto di fornitura, in quanto non avrebbe ragion d’essere in mancanza di esso. Si aggiunga che la
stessa intestazione del contratto reca “Prestito Finalizzato Deutsche Bank Easy”, e che l’individuazione
del bene al cui acquisto è finalizzato il prestito, come detto, è indicato a pagina due del medesimo
contratto.
Ciò chiarito, la fattispecie si inserisce nella figura di collegamento negoziale unilaterale e,
conseguentemente, le vicende che coinvolgono il contratto di fornitura si ripercuotono sul contratto di
finanziamento, mentre non avviene il contrario
>>

Poi: <<3.6.1. La parte attrice chiede l’annullamento del contratto di fornitura per dolo ex articolo 1439
c.c.. Dato il collegamento tra i contratti, l’annullamento dev’essere eventualmente valutato con
riguardo alla condotta tenuta da parte convenuta GREEN STYLE, e non con riguardo al
comportamento di DEUTSCHE BANK – Easy (nel qual caso si dovrebbero riscontrare i presupposti di
cui all’articolo 1439, comma 2, c.c.), poiché rilevante è, come osservato, unicamente il contratto
principale.
Affinché possa essere chiesto e ottenuto l’annullamento del contratto occorre valutare se uno dei
contraenti è ricorso all’utilizzo di raggiri al fine di determinare nell’altra parte la volontà di contrattare,
e i raggiri devono essere tali che, senza di essi, il contraente che chiede l’annullamento non avrebbe
contrattato>>

Importante pure la precisazione sulla corretteza nelle trattative:  << GREEN STYLE, nella persona del suo agente, avrebbe dovuto assicurarsi che la sig.ra DONATINI
avesse realmente capito l’entità dell’intera operazione e il suo costo, nonché le implicazioni che la
stipula del contratto avrebbe comportato. Oltre a ciò si aggiunge che la pagina iniziale del contratto
reca “Proposta di adesione per casa efficiente”, denominazione che può trarre in inganno il
consumatore che, convinto di sottoscrivere un atto preliminare alla conclusione del contratto, effettua
in realtà una proposta contrattuale, restando quindi ad essa vincolato, mentre il professionista rimane
libero da ogni obbligazione non avendo ancora accettato la proposta; il termine per il recesso, inoltre, è
fatto decorrere dalla sottoscrizione del consumatore (cfr. doc. 1 e doc. 10, punto 32, pagine 8 e 9 e
pagine 27 ss., prodotti dalla parte attrice).
Il principio di buona fede e correttezza è principio generale che regola i rapporti contrattuali cui tutte le
parti devono ispirarsi e attenersi, ed è principio codificato all’articolo 2, comma 2, lett. c-
bis), e) ed
all’articolo 5, comma 3 del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, nonché, in ogni caso, all’articolo 1337
c.c..
L’agente sig. NICETTO Manuel e, quindi, la società GREEN STYLE avrebbe dovuto accertarsi che le
condizioni del contratto fossero state ben comprese dalla sig.ra DONATINI, anche avuto riguardo alla
condizione economica e all’esperienza di quest’ultima, ricordando, nuovamente, che si trattava di
contraente-consumatrice
>>

Inoltre, è pratica commerciale sleale, P. 22-23, anche se non ne son tratte conseguenze guridiche.

Sull’estensione dell’annullamento al rapporto di finanziameno (forse il punto più imporante): << 3.7. Dovendosi annullare il contratto di compravendita dell’impianto fotovoltaico stipulato da parte
attrice sig.ra DONATINI e parte convenuta GREEN STYLE, data la sussistenza del collegamento
negoziale, dev’essere altresì annullato il contratto di finanziamento stipulato dalla sig.ra DONATINI e
DEUTSCHE BANK – Easy.
L’interdipendenza dei contratti considerati certamente sussiste nel caso di specie, sebbene in modo
unilaterale, con la conseguenza che è il solo contratto di finanziamento ad essere dipendente dal
contratto principale di fornitura, e fa sì che vi debba essere regolamentazione unitaria delle vicende
relative alla permanenza del vincolo contrattuale, che si risolve nell’applicazione del principio per cui
simul stabunt, simul cadent (cfr. giurisprudenza di legittimità Cass. civ., sez. II, 9 settembre 2021, n.
24389; in senso conforme Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2019, n. 27406; Cass. civ., sez. III, 10 ottobre
2014, n. 21417; Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2013, n. 7255; Cass civ., sez. III, 12 luglio 2005, n.
14611, ripresa dalla giurisprudenza di merito: Corte d’Appello di Napoli, sez. VII, 13 maggio 2020, n.
1706; Trib. Rimini, sez. I, 23 febbraio 2021, n. 192; Trib. Napoli, sez. II, 15 settembre 2017, n. 9262;
Trib. Milano, sez. I, 3 dicembre 2014, n. 14378).
>>

Nè ce’ stata volontaria esecuzione copnsapebole: << La parte convenuta GREEN STYLE ha eccepito che la parte attrice avrebbe dato volontaria
esecuzione al contratto di fornitura pur conoscendone il motivo di annullabilità, convalidando il
contratto stesso ai sensi dell’articolo 1444 c.c. e rinunciando, così, all’azione di annullamento.
La predetta parte convenuta menziona dapprima la lettera di risposta di GREEN STYLE indirizzata a
parte attrice DONATINI facente seguito alla richiesta alla convenuta di interfacciarsi con il GSE per il
caricamento della pratica al fine di conservare il diritto alla percezione degli incentivi legati al
fotovoltaico e, in secondo luogo, la lettera inviata dalla parte attrice per mezzo dell’Associazione
Consumatori Piemonte, in data 10 dicembre 2018, avente ad oggetto la manifestazione della volontà di
recedere dal contratto stipulato in data 9 novembre 2016 con GREEN STYLE (cfr. doc. 4 di parte
attrice DONATINI).

Peraltro, in nessuna delle due lettere sopra citate si può, invero, ravvisare una convalida tacita del
contratto di compravendita.

La richiesta della sig.ra DONATINI a GREEN STYLE di interfacciarsi con il GSE aveva il solo scopo
di non perdere il diritto agli incentivi in un’ottica di tutela delle proprie ragioni economiche, poiché
l’impianto era ormai stato installato e allacciato, mentre solo successivamente era pervenuto avveniva il
sollecito da parte di DEUTSCHE BANK – Easy al pagamento delle rate dovute in esecuzione del
contratto di finanziamento.
La seconda lettera (10 dicembre 2018) non può essere letta come tacita convalida del contratto, poiché
manifesta la volontà della sig.ra DONATINI di avvalersi del diritto di recesso dallo stesso.
Il sollecito da parte di DEUTSCHE BANK – Easy al pagamento delle rate avveniva nel 2017, e la
seconda lettera è datata 10 dicembre 2018. Contrariamente a quanto affermato da parte convenuta
GREEN STYLE, perciò, non sono trascorsi quasi quattro anni dalla stipula del contratto senza che
l’attrice abbia mai lamentato alcunché, non potendosi considerare la citazione in giudizio come prima
manifestazione della volontà di interrompere il rapporto con parte convenuta (cfr. pagine 6-7 comparsa
conclusionale GREEN STYLE).
>>

Processualmente poi la mancata parteciapzione alal mediazione (avvocati non muniti di idonea procura) è argomento di prova, come ex lege: << Nel caso di specie, dalla mancata partecipazione delle parti convenute all’incontro con il mediatore
senza giustificato motivo, devono dunque trarsi ulteriori argomenti di prova a sostegno della fondatezza
delle predette domande proposte dalla parte attrice e dell’infondatezza delle domande ed eccezioni
proposte dalle parti convenute.
>,p. 27

C’è condanna ad un facere e cioè alla rimozione dei pannelli a spese del venditore.

C’è pure condanna ad euro 2.000 per danno non patrimonuiale ex art. 2059 cc-185.2 cod. pen, con accertamento incidentale del reato di usura ex art. 644 cp [mi pare una svista, probabilmente intendeo il giudice il reato di truffa ex art. 640 c.p, vertendosi su un caso di dolo).

Processualmente, infine, rigetta la domanda di manleva della banca finanziatrice perchè non aveva chiesto lo spostamento della prima udienza ex art. 167.3 e 269.2 cpc, operante anche in caso di domanda c.d. trasvesale

L’obbligo di vaccinazione per i docentri non è contrario a Costituzione nè a normativa europea: così il Trivbunale di Venezia

Il Tribunale di Venezia, sez. lavoro, con sent. 443 del 05.07.2022, RG 1900/2021, C.M. c. Ministero Istruzione, Uff. Scolastico per il Veneto e Istituto comprensivo D.A. di Venezia, ha così deciso su un’ impugnazione della sospensione per omnessa vacciaznione.

La motivazione :

<< Sul punto va data continuità a consolidato univoco orientamento della
Sezione, di piena adesione alla condivisibile valutazione di conformità della
prescrizione vaccinale alla Costituzione e alla normativa comunitaria come
approfonditamente argomentata, con riguardo al personale sanitario, fin dalla
nota prima sentenza del Consiglio di Stato sentenza del 20.10.2021 n. 7045.
Vanno in particolare richiamate le seguenti considerazioni :
– che nella campagna vaccinale sono utilizzati prodotti non già
sperimentali e ad uso di emergenza, bensì regolarmente autorizzati dalla
Commissione, previa raccomandazione dell’EMA, attraverso la procedura di
autorizzazione condizionata, che costituisce strumento collaudato, non incide
sui profili di sicurezza del farmaco e nello specifico poggia su un quadro
solido e controllato tale da garantire un elevato livello di protezione dei
cittadini ( = a sei mesi efficacia preventiva del 96% quanto ai ricoveri e del
99% quanto ai decessi)
, tanto da costituire una misura essenziale della
strategia dell’Unione in materia di vaccini, e da realizzare, alla luce delle
risultanze statistiche, un bilanciamento rischi/benefici assolutamente
accettabile ( parr 25 – 30 sentenza);
– che la vaccinazione obbligatoria selettiva introdotta dall’art. 4 del d.l.
n. 44 del 2021 per il personale di interesse sanitario risponde a una chiara
finalità di tutela non solo, e anzitutto, di questo personale sui luoghi di lavoro
e, dunque, a beneficio della persona, ma a tutela degli stessi pazienti e degli
utenti della sanità, pubblica e privata, secondo il principio di solidarietà che
anima la Costituzione (par 31.1.)

– che nel bilanciamento tra il valore dell’ autodeterminazione
individuale e quello della tutela della salute pubblica, compiuto dal legislatore
con la previsione dell’obbligo vaccinale nei confronti del solo personale
sanitario, non vi è dunque legittimo spazio in questa fase per la c.d. esitazione
vaccinale (par 34);
– che le disposizioni della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione
europea (arrt 3, 52), quand’ anche applicabili, non sono violate;
– quanto infine alla natura discriminatoria della previsione, che il
carattere selettivo della vaccinazione obbligatoria è giustificato non solo dal
principio di solidarietà verso i soggetti più fragili, cardine del sistema
costituzionale (art. 2 Cost.), ma immanente e consustanziale alla stessa
relazione di cura e di fiducia che si instaura tra paziente e personale sanitario,
relazione che postula la
sicurezza delle cure, impedendo che chi deve curare e
assistere divenga egli stesso veicolo di contagio e fonte di malattia. La tesi
della prevalenza del diritto di autodeterminazione, pur fondamentale, non
può andare a scapito dell’interesse pubblico alla vaccinazione obbligatoria
degli operatori sanitari, poiché la stessa dignità della persona esige la
protezione della salute di tutti quale interesse collettivo .
Tali argomentazioni sulla natura non discriminatoria della previsione non
sono scalfite dal considerando 36 pagina 7 Regolamento Europeo 953/21
trattandosi di disposizione riguardante lo specifico, diverso, ambito della
libera circolazione delle persone durante la pandemia.
L’ utilità del vaccino nella lotta alla pandemia è stata ribadita dal Consiglio di
Stato anche di recente, evidenziando che gli “
effetti positivi delle vaccinazioni
sul contrasto alla pandemia e alle sue devastanti conseguenze umane, sociali e
di deprivazione della solidarietà quale principio cardine della nostra
Costituzione
” (Cons. St. decreto n. 6401 del 2.12.2021 sub doc. 24 resist.,
seguito da sentenza n. 8454 del 20.12.2021, ordinanza 583/2022 del
04.02.2022 ed infine, ancora, con il decreto reso avverso ricorso ad una
precedente ordinanza di TAR di Venezia nella quale ha potuto esaminare,

ritenendola immune da vizi, la procedura seguita dalle Aziende dalla Regione
Veneto (C.d.S. del 23.12.2021 Reg. Provv. Cau. 06796/21);
Negli stessi termini, ex plurimis, ordinanze del TAR Veneto n. 00551 e 00552
del 22.10.2021 + n. 629 del 2.12.2021, Tar Friuli Venezia Giulia, 10.09.2021,
n. 261; Tar Puglia, 5.08.2021, n. 480, Tribunale di Verona (ordinanza del
24.5.2021, RG 446/2021, ordinanza del 16.6.2021, RG 626/2021), Tribunale
di Vicenza nell’ordinanza del 26.1.2022 (RG 1204/21), Tribunale di Bari,
ordinanza del 15.3.2022, Tribunale di Bergamo ordinanza del 21.1.2022,
Tribunale di Mantova, sentenza del 17.2.2022, n. 30, Tribunale di Milano,
sentenza del 16.3.2022 n. 684, Tribunale di Taranto dell’11.2.2022 n. 355,
Così infine anche questa Sezione, con orientamento univoco: ordinanza
8.11.2021 e ordinanza del 23.5.2022 in RG 377/2022 di questo stesso
giudicante, ordinanza del 10.12.2021 est Menegazzo, ordinanza collegiale del
26.01.2022, ordinanze 7.3.2022 in RG 263/2022 e 17.3.2022 in RG 296/2022
est Bortot .
I noti precedenti di segno opposto esprimono un orientamento minoritario,
non solo sul piano nazionale, ma in molti casi addirittura in sen allo stesso
Tribunale di appartenenza (così in particolare Tribunale di Padova, ordinanze
del 7-17.12.2021 e 28.4.2022).
Questo Giudice, nonostante le difformi pronunce in questione, continua a non
ritenere le questioni sollevate “non manifestamente infondate”.
Come argomentato dai giudici amministrativi nelle pronunce sopra
richiamate, i vaccini in questione non siano farmaci sperimentali e la loro
autorizzazione risponde alla disciplina stabilita dai Regolamenti europei n.
726/2004 e n. 507/2006.
L’autorizzazione proviene dalle autorità regolatorie europea (EMA) e
nazionale (AIFA) e la valutazione di natura tecnica di queste due autorità non
è soggetta ad un sindacato giurisdizionale sostitutivo, quando, come nel caso
di specie, vi sia stato l’apporto di altre amministrazioni con competenze
tecniche esclusive.

E d’ altro canto l’orientamento più volte espresso dalla Corte Costituzionale si
impernia sulla ricostruzione della natura bidimensionale del diritto alla salute
tutelato dall’art. 32 della Costituzione, che riconosce il diritto del singolo e lo
pone in relazione al coesistente diritto degli altri e della collettività.
La Corte Costituzionale ha sempre affermato l’esigenza di ricercare un punto
di bilanciamento e di contemperamento tra il diritto individuale
all’autodeterminazione in materia di trattamenti sanitari e l’esigenza di
salvaguardia della salute della collettività.
In particolare nella sentenza n. 218/2014 ( = illegittimità costituzionale, per
contrasto con l’art. 32 della Costituzione, dell’ art. 5 comma 3 l. 135/1990,
nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell’assenza di
sieropositività all’infezione da HIV come condizione per l’espletamento di
attività che comportino rischi per la salute dei terzi) la Corte afferma che la
tutela costituzionale della salute non si esaurisce in situazioni attive di
pretesa, ma implica e comprende il dovere dell’individuo di non ledere né
porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza
del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel
reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli
altri, particolarmente in situazioni caratterizzate da malattie contagiose e
infettive.
Proprio la tutela della collettività legittima l’obbligatorietà di accertamenti
sanitari previsti dalla legge, specificamente diretti a chi svolga determinate
attività, come quella sanitaria, in cui sussista un serio rischio di contagio
>>.

Successive utili precisaizoni:

<< La sentenza n. 5/2018 ribadisce i confini che delimitano la costituzionalità
dell’obbligo vaccinale imposto dalla legge, affermandone la compatibilità con
l’art. 32 della Costituzione alle seguenti condizioni: a) se il trattamento è
diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è
assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; b) se si
prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è
obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e,
pertanto, tollerabili; c) se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista

comunque la corresponsione di un’equa indennità a favore del danneggiato, e
ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (principio questo espresso
anche dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 258/1994 e 307/1990).
In questa sentenza la Corte ha anche sottolineato come la scelta discrezionale
del legislatore di adottare un sistema di raccomandazione o di obbligo del
vaccino debba fondarsi sulle condizioni sanitarie ed epidemiologiche
accertate dall’autorità preposta (cfr. sentenza n. 268/2017) e delle
acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica (cfr. sentenza n.
282/2002)” .
Riguardo alla scelta legislativa di adottare la misura dell’obbligo vaccinale, si
tratta di una valutazione discrezionale che non può essere censurata in
questa sede e che si fonda su valutazioni degli organi pubblici competenti alla
base della dichiarazione di emergenza sanitaria disposta ai sensi dell’art. 7
comma 1 lettera c) D. Lgs. 1/2008, prorogata con d.l. 105/2021 al 31.12.2021
mentre, con il d.l. 1/2022, è stata disposta l’estensione dell’obbligo vaccinale
fino al 15.6.2022, poi prorogata, per determinate categorie di lavoratori,
perdurando l’esigenza di tutela della salute della collettività, in via transitoria
oltre la formale cessazione dello stato di emergenza, in un complessivo
quadro di graduale superamento delle misure di prevenzione, fino al
31.12.2022.
Va inoltre considerato che la Commissione UE, che, con la direttiva n.
2020/739/UE del 3 giugno 2020, ha modificato l’allegato III della direttiva
2000/54/CE – già modificato dalla direttiva della Commissione
2019/1833/UE del 24 ottobre 2019 – con l’inserimento del virus SARS -CoV –
2 nel gruppo 3 dell’elenco degli agenti biologici, che possono causare malattie
infettive nell’uomo, fondando ulteriormente la scelta del legislatore nel senso
dell’obbligatorietà del vaccino come misura di prevenzione individuale e
collettiva.
D’altronde sotto questo profilo va sottolineato come la vaccinazione oggi a
disposizione non elimina la possibilità di contrarre il virus e di diffonderlo,
ma dalle evidenze scientifiche a disposizione è innegabile che la riduca: è

stato infatti riscontrato con la diffusione dei vaccini un calo sia nei contagi sia
nello sviluppo della malattia grave (ad attività riaperte) ed un’obbiettiva
maggiore necessità di cure in terapia intensiva nei soggetti contagiati non
vaccinati.
Ciò non esclude il carattere di misura di prevenzione del vaccino: del resto
nessun vaccino elimina mai al 100% né la possibilità di contrarre il virus, né
la possibilità di sviluppare la malattia e perciò tale condizione non può
ragionevolmente ergersi quale presupposto per la legittimità dell’obbligo
vaccinale.
Quanto all’incidenza della sospensione del rapporto di lavoro e della
retribuzione, si giustifica per il contemperamento nell’interesse della
collettività alla tutela della salute, nei termini che sono stati precedentemente
messi in evidenza, e nella temporaneità della sospensione .
Le considerazioni che precedono portano a ritenere manifestamente
infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla
ricorrente così come la prospettata incompatibilità con le norme
dell’ordinamento sovranazionale e internazionale
>

Il caso della confondibilità del marchio CAVA per spumanti

La Commissione di ricorso dell’EUIPO con decisione 22.04.2022, proc. R 981/2021-1, Conmsejo regulador del Cava c. Covides, decide una lite su marchio contenente (anche) il termine CAVA.

Prodotti identici,  solo che l’anteriorità era stata riprodotta con visibilità minima all’interno di un marchio tridimensionale costiotuito da una bottiglia ed etichetta colorata (non è chairo se pure la stessa bottiholia, § 1)

Si vb. la riproduizone grafica dei marchi a paragone a p. 2 e spt. al § 18.

Laconclusione quasi scontata (un’impugnazione al Tribubale UE sarebbe assai azzardati) è che non c’è confondibilità: << Tenuto conto delle considerazioni che precedono e nonostante l’identità dei prodotti dei marchi in conflitto, la tenue somiglianza visiva e concettuale tra i segni e l’assenza di somiglianza fonetica permettono al pubblico di riferimento di
differenziarli senza creare un rischio di confusione. Come argomentato, i marchi
in conflitto coincidono solo nel termine “CAVA”, che è un elemento dotato di
limitata capacità distintiva e, inoltre, non è il termine dominante del marchio
richiesto, che è “CHENINE”. La Commissione reitera l’osservazione della
Divisione di Opposizione secondo la quale i consumatori sono a conoscenza del
fatto che il termine “CAVA” designa un tipo di vino spumante proveniente dalla
Spagna e sono abituati a vedere questo elemento in combinazione con altri
elementi denominativi e diverse caratteristiche grafiche. Per questa ragione, il
pubblico di riferimento si concentrerà sul termine dominante del marchio
contestato “CHENINE” come identificativo dell’origine imprenditoriale dei
prodotti in questione — nonostante la possibile associazione tra parte del
pubblico di riferimento e una tipologia di ualità — rispetto al termine dominante
del marchio anteriore “CAVA”, la cui capacità distintiva è limitata per gli stessi
prodotti
>>, § 33.

(trad. automatica nel database dell’ufficio dell’originale spagnolo).

Sulla distintività del termine CAVA v. il § 28.

D.O.P. e I.G.P. sono protette anche extra UE oppure solo nel mercato europeo? Sull’ambito territoriale della protezione concessa dagli artt. 12-13 reg. 1151/2012

E’ giusta la prima, secondo Corte di Giustizia 14.07.2022 , C-159/20, Commmissione c. REgno di Danimarca.

Le disposizioni rilevanti  sono l’art. 12 e spt. l’art. 13 del reg. UE 1151/2021.

<< 51   Le DOP e le IGP sono quindi protette dal regolamento n. 1151/2012, e in particolare dall’articolo 13 di quest’ultimo, in quanto diritto di proprietà intellettuale, come confermato dall’articolo 4, lettera b), di tale regolamento, secondo il quale è istituito un sistema di DOP e di IGP al fine di aiutare i produttori di prodotti legati a una zona geografica garantendo una protezione uniforme dei nomi in quanto diritto di proprietà intellettuale sul territorio dell’Unione. Le DOP e le IGP rientrano anch’esse del resto, come osserva la Repubblica di Cipro, nei diritti di proprietà intellettuale ai fini del regolamento n. 608/2013, come risulta dall’articolo 2, punto 1, lettera d), e punto 4, lettera a), dello stesso.

52      Orbene, l’uso di una DOP o di un’IGP per designare un prodotto fabbricato sul territorio dell’Unione che non è conforme al disciplinare applicabile viola nell’Unione il diritto di proprietà intellettuale costituito da tale DOP o da tale IGP, anche se tale prodotto è destinato a essere esportato verso paesi terzi>>.

E poi indettaglio :

<<57   Poiché il Regno di Danimarca sostiene che da tali obiettivi risulta che il regolamento n. 1151/2012 mira a istituire un regime di protezione delle DOP e delle IGP per prodotti immessi in circolazione nel mercato interno, essendo i consumatori interessati quelli dell’Unione, occorre rilevare che sono certamente tali consumatori e non quelli di paesi terzi a essere interessati da tale regolamento. Infatti, quest’ultimo, adottato sulla base dell’articolo 118 TFUE, riguarda il funzionamento del mercato interno e persegue, come osservato da tale Stato membro, l’integrità del mercato interno e l’informazione del consumatore dell’Unione.

58      Occorre altresì osservare che l’obiettivo consistente nell’informare i consumatori e quello consistente nel garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti presentano un nesso, dato che l’informazione dei consumatori ha segnatamente lo scopo, come risulta dalla giurisprudenza richiamata al punto 56 della presente sentenza, di consentire agli operatori agricoli che abbiano compiuto effettivi sforzi qualitativi di ottenere in contropartita migliori redditi.

59      Tuttavia, resta il fatto che lo scopo di garantire ai produttori una giusta remunerazione per le qualità dei loro prodotti costituisce di per sé, come risulta dal considerando 18 e dall’articolo 4, lettera a), del regolamento n. 1151/2012, un obiettivo perseguito da tale regolamento. Lo stesso vale per l’obiettivo consistente nel garantire il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale enunciato all’articolo 1, lettera c), di tale regolamento.

60      Orbene, è evidente che l’impiego della DOP «Feta» per designare prodotti fabbricati sul territorio dell’Unione che non sono conformi al disciplinare di tale DOP pregiudica questi due obiettivi, anche qualora tali prodotti siano destinati a essere esportati verso paesi terzi.

61      Pertanto, tanto dal tenore letterale dell’articolo 13 del regolamento n. 1151/2012 quanto dal contesto di tale disposizione e dagli obiettivi perseguiti da detto regolamento risulta che, come sostiene la Commissione, un siffatto impiego rientra nelle azioni illecite vietate dall’articolo 13, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento>>.

Questione molto importante in pratica e complessa in teoria, che ricorda quella dell’esaurimento solo europeo ovvero anche internazionale del marchio (art. 5 cpi).

Cessione di crediti in blocco, cartolarizzazione e opponibilità di domande riconvenzionali verso il cessionario da parte del debitore

Nelle cessioni di crediti in base alla legge sulle cartolarizzazioni (L. 130 del 1999) e all’art. 58 c.1 e 4 del TUB, il debitore non può opporre controcrediti , domande riconvenzionali, e in generale azioni contrattuali, al cessionario.

Così Cass. 02 maggio 2022 n. 13.735 , rel. Ambrosi, sez. 3:

<<Ciò detto, in un simile quadro, consentire ai debitori ceduti di opporre in compensazione, al cessionario, controcrediti da essi vantati verso il cedente (nascenti da vicende relative al rapporto con esso intercorso ed il cui importo, pertanto, lungi dall’essere noto alla “società veicolo” al momento della cessione, deve essere accertato giudizialmente), e addirittura consentire, come nella specie, la proposizione di domande riconvenzionali, significherebbe andare ad incidere, in modo imprevedibile, su quel “patrimonio separato a destinazione vincolata” di cui si diceva, “scaricandone”, così, le conseguenze sul pubblico dei risparmiatori ai quali spetta, invece, ed in via esclusiva, il valore del medesimo. I possessori dei titoli emessi dallo “special pourpose vehicle” possono essere, infatti, esposti solo al rischio che deriva dal fatto che i crediti cartolarizzati non siano incassati – perché non soddisfatti dai debitori, ovvero perché inesistenti o, al limite, perché già estinti anche per compensazione – ma non anche a quello (pena, altrimenti, la negazione del meccanismo della separazione come tracciato dalla L. n. 130 del 1999, art. 1, comma 1, lett. b) che sul patrimonio alimentato dai flussi di cassa, generati dalla riscossione dei crediti cartolarizzati, possano soddisfarsi anche altri creditori.” (Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, in particolare, punto 7.1.4. in motivazione).

Ciò accadrebbe, nella specie, se si ammettesse, come statuito dalla sentenza impugnata, B.A. e B.U., in proprio e quali ex soci di STN s.r.l., ad esigere il pagamento dell’importo oggetto della condanna in via riconvenzionale, anche alla Dulcinea Securitisation s.r.l. intervenuta in giudizio tramite il procuratore Italfondiario s.p.a..

Tale conclusione, del resto, come già affermato da Cass. Sez. 3 n. 21843 del 2019, “trova un indiretto conforto nel dettato normativo, ed esattamente nella L. n. 130 del 1999, art. 4, comma 2″.

Esso, infatti, per un verso, stabilisce che dalla “data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale o dalla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione, sui crediti acquistati e sulle somme corrisposte dai debitori ceduti sono ammesse azioni soltanto a tutela dei diritti di cui all’art. 1, comma 1, lett. b)”, nonché, per altro verso, che “in deroga ad ogni altra disposizione, non è esercitabile dai relativi debitori ceduti la compensazione tra i crediti acquistati dalla società di cartolarizzazione e i crediti di tali debitori nei confronti del cedente sorti posteriormente a tale data”. Orbene, risulta evidente come il divieto, posto a carico del debitore ceduto, di compensazione dei crediti “sorti posteriormente” alla data della pubblicazione della notizia dell’avvenuta cessione nella Gazzetta Ufficiale (o alla data certa dell’avvenuto pagamento, anche in parte, del corrispettivo della cessione), risponde a quella stessa logica, di cui dianzi si diceva, di salvaguardia del “patrimonio separato a destinazione vincolata” cui dà vita l’operazione cartolarizzazione”>>.

La ricostrizione parrebbe corretta, svanendo altrimenti la distinzione tra cessione del contratto e cessine del credito.

L’obbligo informativo opera per l’intermediario anche quando non fa consulenza ma solo l’esecutore di ordini

Così  Cass. sez. 1 del 05.05.2022 n. 14.208, rel. Falabella.

<<2.2. (…) L’obbligo informativo sussiste, poi, anche se l’intermediario non sia tenuto per contratto a prestare, in favore del cliente, un servizio di consulenza: infatti, ove l’investitore affidi all’intermediario il solo incarico di eseguire degli ordini, ma non anche quello di consulenza in relazione alla scelta dei prodotti finanziari da acquistare” il detto intermediario è comunque tenuto a fornire al primo adeguate informazioni sulle operazioni in sé, oltre che in ordine alla loro adeguatezza rispetto al suo profilo di rischio (Cass. 23 settembre 2016, n. 18702, con riguardo al reg. Consob n. 11522/1998).>>

Poi: << Come è noto, il reg. Consob n. 11522/1998 prevedeva, per l’intermediario, un obbligo di acquisizione di informazioni che non era graduato in ragione dell’operazione posta in essere. Il regolamento n. 16190 del 2007 distingue, invece, l’obbligo informativo a seconda del servizio prestato: per la prestazione dei servizi di consulenza e di gestione individuale di portafogli si richiede che l’intermediario acquisisca precise indicazioni dal cliente quanto alla conoscenza ed esperienza nel settore di investimento rilevante per il tipo di strumento o di servizio, alla situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento (art. 39) (…) . Nella prestazione degli altri servizi – salvi i servizi di esecuzione di ordini per conto dei clienti o di ricezione e trasmissione di ordini in ipotesi particolari (art. 43) – l’intermediario è tenuto invece a formulare un più sommario giudizio di appropriatezza, che è basato sul livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere i rischi che lo strumento o il servizio di investimento offerto o richiesto comporta (art. 42, comma 1).

La Corte di appello non si è occupata dell’appropriatezza dell’investimento consistente nell’acquisto delle obbligazioni (OMISSIS), ma ha formulato, piuttosto, un giudizio di adeguatezza: ha espresso quindi una valutazione che, per sua natura, non può che inerire al servizio di consulenza. Il punto, per la verità, non è del tutto chiaro: infatti, a norma dell’art. 1, comma 5 septies, t.u.f., la consulenza in materia di investimenti consiste in raccomandazioni personalizzate al cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative a strumenti finanziari; nella fattispecie, invece, la Corte di appello fa questione di una “operazione autonomamente richiesta dal cliente” (sentenza, pag. 13).

In ogni caso, la segnalazione di non adeguatezza, come quella di non appropriatezza, non è in sé idonea ad esonerare la banca dall’obbligo di sottoporre al cliente il corredo informativo che deve essere associato all’operazione o al servizio di investimento. In particolare, la somministrazione dei pertinenti elementi conoscitivi circa la natura e i rischi di una specifica operazione (nel caso in esame consistente nell’acquisto del titolo (OMISSIS)) assume un rilievo autonomo, in vista di razionali scelte di investimento o disinvestimento, e non è esclusa dalla rappresentazione della non adeguatezza o non appropriatezza di quell’operazione (nel quadro del giudizio che l’intermediario è tenuto a formulare a seconda che l’attività da compiersi consista, o meno, nel raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o potenziale cliente, nella prestazione dei servizi di consulenza in materia di investimenti o di gestione di portafoglio).

Da tale autonomia discende il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’intermediario è tenuto a fornire al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari e, segnatamente, circa la natura di essi e i caratteri propri dell’emittente, restando irrilevante, a tal fine, ogni valutazione di adeguatezza – o, può qui aggiungersi, di appropriatezza – dell’investimento (cfr. Cass. 18 giugno 2018, n. 15936, che infatti sottolinea come l’assenza di una tale attività esplicativa integri una specifica e distinta ragione di inadempimento dell’intermediario).>>

Il contratto stipulato a seguito di estorsione è nullo per contrarietà a norma imperativa e non solo annullabile per violenza

Così Cass. 31 maggio 2022 n. 17.568, sez. 2, rel. Varrone.

La disposizione di riferimento, allora, è l’art. 1418 c.1 c.c.

Passi salienti:

<<La sentenza della Corte d’Appello di Ancona ha seguito l’orientamento secondo il quale deve escludersi la nullità del contratto frutto di una condotta estorsiva perché il vizio della volontà è causa di annullabilità e non di nullità.

6.1 Il collegio ritiene erronea tale affermazione, in quanto non tiene conto dell’evoluzione giurisprudenziale sulla c.d. “nullità virtuale” per violazione di norme penali, ovvero sul tema tradizionale del regime di invalidità del contratto stipulato per effetto diretto della consumazione di un reato>>.

<<Ed invero si deve osservare che la nullità del negozio è lo strumento predisposto dal legislatore per realizzare o non frustrare, per il tramite di esso (e non soltanto della condotta dei contraenti, anche quando si tratti di violazione di divieti soggettivi di contrarre), interessi di carattere generale protetti dall’ordinamento. Pertanto, la violazione della norma penale dà luogo ad un negozio nullo ogni qual volta la disposizione violata si connoti come norma penale di ordine pubblico nel senso che l’interesse o il bene giuridico protetto dalla norma assume una connotazione pubblicistica (secondo una tesi dottrinale che restringe la nozione di norma inderogabile a quella, appunto, di interesse e di ordine pubblico; seguita, da ultimo, da Cass. n. 7785/16) ovvero solo quando la norma penale, tenuto conto della sua ratio, tutela interessi generali di rilevanza pubblica.>>

Domanda: ci sono norme penali che non sono di ordine pubblico? Se si, quali? Solo le contravvenzioni o anche quallcjhe delitto? Nel secondo caso, quali delitti?

<<6.5 Sulla base di tali considerazioni si è affermato che la fattispecie penale del delitto di estorsione è posta indiscutibilmente a tutela di interessi non soltanto di tipo patrimoniale, ma anche di diritti inviolabili della persona, quali appunto la libertà personale, e di interessi generali della collettività. Il contratto concluso per mezzo di una condotta estorsiva, pertanto, è stipulato in violazione di norme imperative e, pur in assenza di una sanzione esplicita, è nullo per lesione dell’interesse generale di ordine pubblico tutelato dalla norma violata.>>