La prova del credito (addebiti ingiustificati) verso la banca non richiede necessariamente l’estratto di conto corrente, potendo bastare anche una c.t.u. basata sul’estratto c.d. scalare

Cass. sez. 1 del 18.04.2023 n. 10.293, rel. Nazzicone:

<<Esso invero intende riproporre un giudizio sul fatto, dal momento che la sentenza impugnata ha ritenuto di aderire alle risultanze dei calcoli operati dal c.t.u.: il quale si è sì fondato su conti c.d. scalari, ma ha rielaborato per intero il dovuto, espungendo le poste indebite risultanti.

Tale modus procedendi, da un lato, non incorre nella violazione delle norme invocate dalla ricorrente, e, dall’altro lato, appartiene all’ambito del giudizio sul fatto ed all’apprezzamento delle risultanze processuali, interamente affidato al giudice del merito.

Come è stato già rilevato (Cass. 27 ottobre 2020, n. 23476, non massimata), non è necessariamente inaffidabile il ricorso allo strumento degli estratti scalari (in cui, come ivi si osserva, vengono registrati con la medesima valuta i movimenti per somma algebrica); ed è una valutazione del giudice del merito, nel caso di specie positivamente svolta condividendo le risultanze del c.t.u., l’idoneità dei predetti estratti scalari a dar conto del dettaglio delle movimentazioni debitorie e creditorie (principio, del pari, già espresso da Cass. 30 giugno 2020, n. 13186, non massimata, in presenza di una valutazione di incompletezza degli estratti da parte del giudice del merito).

Va considerato, infatti, che le movimentazioni possono ricavarsi anche da tali documenti, i c.d. riassunti scalari, attraverso la ricostruzione operata dal consulente tecnico d’ufficio, secondo l’insindacabile accertamento in fatto del giudice di merito, ciò bastando ai fini probatori (Cass. 25 maggio 2022, n. 16837, non massimata sul punto).

Del resto, nei rapporti di conto corrente bancario, il correntista che agisca in giudizio per la ripetizione di quanto indebitamente trattenuto dalla banca, non è tenuto a documentare le singole rimesse suscettibili di restituzione soltanto mediante la produzione di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo la prova dei movimenti desumersi aliunde, vale a dire attraverso le risultanze di altri mezzi di prova, che forniscano indicazioni certe e complete, anche con l’ausilio di una consulenza d’ufficio, da valutarsi con un accertamento in fatto insindacabile innanzi al giudice di legittimità (Cass. 19 luglio 2021, n. 20621; nonché Cass. 29 marzo 2022, n. 10140; Cass. 19 gennaio 2022, n. 1538).

Ed invero, secondo l’indirizzo ormai consolidato, nei rapporti bancari di conto corrente, nel caso di domanda proposta dal correntista, come nella specie, l’accertamento del dare-avere non deve necessariamente essere effettuato mediante la documentazione delle singole rimesse suscettibili di restituzione, operata esclusivamente mediante la produzione di tutti gli estratti conto periodici, ben potendo tale accertamento essere effettuato anche con l’ausilio di una consulenza d’ufficio, da valutarsi con un accertamento in fatto, insindacabile innanzi al giudice di legittimità.

L’enunciato principio di diritto afferma quindi come, a fronte di una produzione non integrale degli estratti conto, è sempre possibile, per il giudice del merito, ricostruire i saldi attraverso l’impiego di mezzi di prova ulteriori, purché questi siano idonei a fornire indicazioni certe e complete che diano giustificazione del saldo maturato all’inizio del periodo per cui sono stati prodotti gli estratti conto rapporto (Cass. n. 11543-2019; Cass. n. 9526-2019). La prova dei movimenti del conto può, pertanto, desumersi aliunde (Cass. n. 29190-2020), avvalendosi eventualmente dell’opera di un consulente d’ufficio che ridetermini il saldo del conto in base a quanto emergente dai documenti prodotti in giudizio, che devono fornire indicazioni certe e complete nei termini sopra illustrati (Cass. n. 20621-2021).

Ne deriva che la valutazione del materiale probatorio presente è attività riservata al giudizio del merito, senza che possa intervenire un sindacato e controllo da parte di questa Corte.

La censura in esame – a fronte di un giudizio di fatto operato dal giudice di merito, sulla base degli estratti scalari e della c.t.u. tende ad un’inammissibile rivisitazione del merito; e la corte territoriale ha rilevato come la banca non avesse contestato il conferimento del quesito al c.t.u., sulla base della documentazione in atti, ossia degli estratti scalari, né tale contestazione era stata mossa nella richiesta di integrazione della consulenza (pp. 8 e 9), statuizione neppure specificamente impugnata>>.

Ci pare tutto giusto (mancando disposizione contraria , la prova certo può darsi anche diversamente  dal e.c. cronologico, se persuasiva secondo le leggi della scienza contabile).   Solo che tale persuasività (idoneità allo scopo) è giudizio di diritto (art. 116 cpc), non di fatto.

Ai fini dell’assegno divorzile, la scelta di dedicarsi alla famiglia , di per sè sola considerata, non basta

Cass. sez. 1  ord. 13.04.2023 n. 9817, rel. Lamorgese. , sull’oggetto:

<<Tali accertamenti non sono stati specificamente censurati, essendosi la ricorrente limitata, peraltro solo nella memoria, a riferire di avere fornito il proprio contributo casalingo nella gestione e conduzione della famiglia e di essersi presa cura del figlio, ormai maggiorenne, senza tuttavia attingere alcuna specifica ratio decidendi contenuta nella sentenza impugnata.
La predetta deduzione parrebbe implicare per implicito l’erroneo convincimento che tale forma di contributo reso dal coniuge in costanza di matrimonio sia sufficiente a far sorgere il diritto all’assegno una volta che il matrimonio sia sciolto. Tuttavia, il riconoscimento dell’assegno divorzile in funzione perequativo-compensativa non si fonda sul fatto, in sè, che uno dei coniugi si sia dedicato prevalentemente alle cure della casa e/o dei figli, nè sull’esistenza in sè di uno squilibrio reddituale tra gli ex coniugi, poichè la scelta di dedicarsi prevalentemente all’attività familiare assume rilievo nei limiti in cui sia stata condivisa con l’altro coniuge e abbia comportato la rinuncia a realistiche occasioni professionali reddituali che il coniuge richiedente l’assegno ha l’onere di dimostrare nel giudizio (cfr. Cass. 14256 e 29920-2022, 38362-2021), secondo evidentemente la incensurabile valutazione del giudice di merito>>.

Confondibilità tra marchi figurativi

Marchio chiesto in registrazione (per elettronica e gaming digitale):

Anteriorità opposta (per prodotti parzialment simili):

Il Tribunale UE 19.04.2023, T-491/22, Zitro International Sàrl c. EUIPO-a-gaming s.r.o., conferma l’appello amministrativo nel senso che non c’è confondibilità

In particolare non c’è somiglianza visuale, §§ 40 ss.

<< 45  In the present case, it must be stated that the signs at issue share certain features, that is, a central element which includes, inter alia, an open smiling mouth showing teeth, large eyes, a top hat, two arms wearing gloves and two legs wearing shoes. In addition, they are represented in the same colours – white, grey and black.

46 Nevertheless, it must be stated, similarly to EUIPO, that the features mentioned in paragraph 45 above are represented differently in each of the signs. The central element of the sign applied for is an anthropomorphic sphere, while that of the earlier mark is an ovoid. Moreover, aside from the open mouth, the features of the central element of each of the signs are not the same. While the sign applied for contains two wide-open eyes and eyebrows, the earlier sign has a single eye and does not have visible eyebrows. The hats situated over the central elements of the signs at issue are also distinct. Whereas the hat in the sign applied for is of average size, tipped to the left and contains an uppercase ‘b’, the hat in the earlier sign is large, tipped to the right, contains an ‘s’ or dollar sign and some banknotes. Differences can also be established in the position of the arms and proportion of the legs in relation to the central element of each of the signs at issue. Although the sign applied for is represented with straight arms and shorter legs in relation to the central element, the earlier sign is made up of one bent arm and another arm resting on a cane, and legs of the same length as the central element.

47 In the light of those assessments, the Court finds that the overall impression produced by the signs at issue is so different that the relevant public will not establish a link between those signs on the ground that they share certain features and the same colours. They are two fantasy figures stylised differently, that is, on the one hand, a happy figure in the shape of a ball with wide-open eyes, straight arms and short legs and, on the other hand, a figure in the shape of a one-eyed, slightly deformed face with one bent arm and another arm resting on a cane, and legs of the same length as the central element.

48 Contrary to the applicant’s claim, in paragraphs 15 and 16 of the contested decision, the Board of Appeal only described the signs at issue before carrying out a visual, phonetic and conceptual comparison of the signs. The visual comparison of those signs was carried out in paragraph 17 of that decision, in which the Board of Appeal specified that that the signs at issue shared a central part resembling an imaginary face with two legs, two arms and a hat, but that the overall impression given by those signs was very different. Consequently, the applicant’s arguments relating to the fact that paragraphs 15 and 16 of the contested decision take account of certain features or details of the signs at issue must be rejected.

49 The same applies to the applicant’s argument that the Board of Appeal found that the overall impression given by the signs at issue was very different, although it had specified that those signs shared their most relevant aspects, which drew the attention of the relevant public. In that connection, it is sufficient to note that, as is apparent from paragraph 17 of the contested decision, the Board of Appeal merely observed that, despite the fact that the signs at issue shared certain features, their overall impression was very different. Accordingly, the Board of Appeal did not in any way find that the signs at issue shared the most relevant aspects which drew the attention of the relevant public.

50 Regarding the applicant’s argument that, in essence, the features shared by the signs at issue concern the central element and are the most relevant elements, creating a first impression of the signs at issue without engaging in an analysis of their details, and that those signs are represented in the same colours, it must be observed that, as is apparent from paragraphs 46 and 47 above, those features are represented differently, thereby creating a different overall impression given by the signs at issue. Accordingly, even if the consumer does not memorise details, he or she will be able to identify the differences between the signs and, to that extent, will not establish a link between the marks at issue.

51 Regarding the applicant’s argument that the Board of Appeal failed to take account of the arguments in paragraphs 14 to 19 of the application, directed against the decision of the Opposition Division, it should be borne in mind that the Board of Appeal cannot be required to provide an account that follows exhaustively and one by one all the lines of reasoning articulated by the parties before it; the reasoning may therefore be implicit, on condition that it enables the persons concerned to know the reasons for the Board of Appeal’s decision and provides the competent Court with sufficient material for it to exercise its power of review (see, to that effect, judgment of 9 July 2008, Reber v OHIM – Chocoladefabriken Lindt & Sprüngli (Mozart), T‑304/06, EU:T:2008:268, paragraph 55 and the case-law cited). It is apparent from paragraphs 21 to 26 of the application that the applicant was able to understand the reasons for the Board of Appeal’s finding that the signs at issue were not similar visually.

52 Therefore, the Court finds that the Board of Appeal did not err in its assessment when it observed that the signs at issue were different visually>>.

Quattro casi di marchi UE contrari all’ordine pubblico

Jerome Tassi  ricorda quattro casi di marchi contrari all’ordine pubblico (art. 7.1.f reg. n. 1001 de 2017):

  • Protein Mafia
  • Cosa Nostra (ricordando la sentenza 15.03.2018, T-1/17 “la Mafia se sienta a la mesa”)
  • Dito medio
  • la “Z” dell’esercito russo

Tribunale di Milano con sentenza dettagliatissima sulla (non operatività della) compensatio lucri cum damno tra risarcimento del danno e indennizzo da polizza infortuni

Sull’oggetto v. l’ampio esame condotto da Trib. Milano 11/04/2023, n. 2894, Rg 4337/2020, giudice D. Spera, che esclude la compensazione, dopo accurto esame della disciplina delle polizze infrotunui, non espressamente regolate dal cc.

L’assicurtore aveva ricnuncviato alla rivalsa.

sulla polizza sub iudice. <<In definitiva, ritiene il Tribunale che la polizza stipulata dalle parti, per come in concreto articolata, risponda ad una finalità previdenziale: il sig. P.B. ha inteso cautelarsi contro il rischio di morte o invalidità permanente, sopportando il pagamento di una serie di premi e assicurandosi la possibilità di poter celermente disporre, in caso di verificazione di un evento traumatico, di una somma di denaro certa nel suo ammontare e proporzionata – in quanto ancorata ad un prescelto capitale assicurato – non già al danno effettivamente patito, ma alla propria capacità di spesa e alla propria propensione all’investimento previdenziale.
Il contratto assicurativo stipulato dal sig. P.B., quindi, lungi dall’assolvere una funzione di neutralizzazione di un pregiudizio subito, intende precipuamente garantire all’assicurato (o ai suoi familiari in caso di decesso) una provvidenza dallo stesso stimata come idonea. E ciò dovrebbe valere sia nel caso di infortunio letale, sia nel caso di trauma solo invalidante: non si vede del resto per quale ragione la finalità previdenziale (riconosciuta dalleSezioni Unite n. 5119/2002 solo per gli esiti mortali) dovrebbe mutare a seconda dell’evento – letale o non letale – che in concreto si verifica …   Sulla base delle considerazioni che precedono, si può dunque ritenere che la polizza “Fortuna” non possa essere ricondotta al genus delle assicurazioni contro i danni, stante l’ontologica diversità tra la res e la persona.
La stessa polizza però non può neppure essere ricondotta tout court al ramo delle assicurazioni sulla vita, sebbene con essa condivida la medesima finalità previdenziale, non trattandosi di assicurazione stipulata sulla “vita propria o su quella di un terzo” come prevede l’art. 1919 c.c.
Deve piuttosto ritenersi che trattasi di un contratto assicurativo dal contenuto atipico, ma riconducibile al modello generale di cui all’art. 1882, seconda parte, c.c., essendo evidente che – come affermato dalla dottrina e come ritenuto da pronunce giurisprudenziali antecedenti alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5119/2002 – un infortunio è certamente “un evento attinente alla vita umana”..>>

<<Sulla base delle considerazioni che precedono, si può dunque ritenere che la polizza “Fortuna” non possa essere ricondotta al genus delle assicurazioni contro i danni, stante l’ontologica diversità tra la res e la persona.
La stessa polizza però non può neppure essere ricondotta tout court al ramo delle assicurazioni sulla vita, sebbene con essa condivida la medesima finalità previdenziale, non trattandosi di assicurazione stipulata sulla “vita propria o su quella di un terzo” come prevede l’art. 1919 c.c.
Deve piuttosto ritenersi che trattasi di un contratto assicurativo dal contenuto atipico, ma riconducibile al modello generale di cui all’art. 1882, seconda parte, c.c., essendo evidente che – come affermato dalla dottrina e come ritenuto da pronunce giurisprudenziali antecedenti alla sentenza delle Sezioni Unite n. 5119/2002 – un infortunio è certamente “un evento attinente alla vita umana” . (…)Alla luce delle esposte considerazioni, la polizza “Fortuna”, pur non rientrando nei due genera assicurativi disciplinati dal codice (rispettivamente agli artt. 1904 e ss. agli artt. 1919 e ss. c.c.), cionondimeno, condivide con l’assicurazione sulla vita la stessa natura previdenziale, trovando
tale contratto assicurativo ragione – per com’è articolato dalle parti attraverso la previsione della rinuncia alla rivalsa – nella precauzione di introdurre una forma di provvidenza, volta non tanto ad elidere il danno, ma a garantire all’assicurato una maggiore tranquillità economica al verificarsi di un evento avverso.       Per l’effetto, si deve ritenere che la polizza “Fortuna” stipulata dal sig. Bassi, stante la sua natura sostanzialmente previdenziale, soggiace prevalentemente alle norme dettate per l’assicurazione sulla vita, giustificandosi così l’inoperatività del principio indennitario, con la conseguenza che dalla somma liquidata a titolo di risarcimento in favore dell’attore non dev’essere scomputato l’indennizzo corrisposto dalla Zurich Insurance PL >>

Bozza di regolamento EU sul mercato dei criptoassets

Il 12 aprile 2023 è stata pubblicata la proposta di regolamento UE (COM(2020)0593 – C9-0306/2020 – 2020/0265(COD)) di disciplina dei “markets in crypto-assets”  (149 articoli, file pdf da 566 pagg!).

si applica “to natural and legal persons and certain other undertakings that are engaged in the issuance, offer to the public and admission to trading of crypto-assets or that provide services related to crypto-assets in the Union”, art. 2.1.

Il reg. infatti vuole porre <<uniform requirements for the offer to the public and admission to trading on a trading platform of crypto-assets other than assetreferenced  tokens and e-money tokens, of asset-referenced tokens and of e-money tokens, as well as requirements for crypto-asset service providers>>, art. 1.1.

‘Crypto-asset’ significa “a digital representation of a value or of a right that is able
to be transferred and stored electronically using distributed ledger technology
or similar technology”, art. 3.1.(5).

L’inclinazione verso il green si riflette anche nella scelta dei marchi da registrare

Anna Maria Stein su IPKat oggi ci dà notizia del Report EUIPO sui marchi green. Esso esamina le domande di marchio per vedere quante contengono termini considerabili “green”-

Come potevasi prevedere, il loro numero è in forte aumento nel periodo considerato 1996-2021 (v. due tabelle p. 8).

Naturalmetne è importante a monte la selezine di cuiò che si sceglie di ritenere green (v. Annex Data and metodology)

questa la pagina dell’Ufficio e questo il link diretto al .pdf.

Costruzione in aderenza e costruizone in appoggio nella disciplina codicistica delle distanze

Cass.  sez. 3 del 16.01.2023 n. 1104, rel. Iannello, sugli artt. 874, 877 e  880 c.c.

<< 7. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 873 e 877 c.c., per avere la Corte d’appello adottato quale sanzione della operata costruzione in appoggio l’arretramento della stessa ad almeno tre metri dal muro di fabbrica di proprietà di I.F. anziché il suo mero rifacimento in aderenza e non in appoggio.

8. Il motivo è fondato.

Secondo principio bensì risalente ma tuttavia incontrastato nella giurisprudenza di questa Corte, “ove sia stata scelta dall’avente diritto la soluzione di costruire il muro perimetrale del nuovo edificio in aderenza di quello altrui, preesistente sul confine, per tutta la sua altezza nonché in appoggio e sopraelevazione per il tratto nel quale il nuovo edificio supera l’altezza di quello preesistente, e risulti la illegittimità dello appoggio e della sopraelevazione perché non sussisteva e non è stata acquisita la comunione del muro contiguo, la sanzione applicabile non è quella della demolizione del nuovo edificio, per tutta la sua altezza, fino a distanziarlo della misura legale da quello preesistente, sebbene soltanto quella dell’eliminazione degli appoggi e della sopraelevazione sul muro altrui, in guisa da ridurre il nuovo edificio nei limiti della semplice aderenza ed entro i propri confini (Cass. n. 1734 del 06/05/1977).

La costruzione in aderenza ex art. 877 c.c., comma 1, costituisce una facoltà del proprietario il cui esercizio non implica particolari oneri o formalità e può aversi anche in caso di sopraelevazione di sopraelevazione di costruzione preesistente (Cass. n. 7183 del 10/05/2012; n. 38033 del 02/12/2021).

Essa trova ostacolo: a) nel caso in cui il vicino abbia acquisito il diritto di esercitare delle vedute dal muro posto sul confine, nella previsione di cui all’art. 907 c.c., a mente del cui comma 3, “se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia” (norma, questa, applicabile, senza alcuna distinzione, alle costruzioni in appoggio come a quelle in aderenza: Cass. n. 4976 del 2000; n. 1832 del 2000); b) nel caso in cui lo strumento urbanistico locale sancisca l’obbligo inderogabile di osservare una determinata distanza dal confine, perché tale disciplina, integrativa di quella codicistica, vincola alla osservanza della diversa distanza stabilita senza alcuna facoltà di allineamento (in verticale) alla originaria preesistente costruzione (cfr. Cass. n. 3737 del 20/04/1994); c) nel caso in cui la sopraelevazione da edificare in aderenza non goda di piena autonoma sotto l’aspetto statico (Cass. n. 12419 del 15/12/1993; n. 17388 del 30/08/2004).

Nel caso di specie però nessun accertamento risulta condotto al riguardo in sentenza, essendo stata anzi ritenuta assorbita la pur riproposta domanda di riduzione in pristino per violazione delle distanze dalle vedute.

In difetto di tale accertamento l’ordine di demolizione risulta in effetti ingiustificato in punto di diritto e deve ritenersi frutto di error in iudicando, sub specie di vizio di sussunzione della fattispecie concreta, così come allo stato accertata, nella fattispecie legale quale definita dal combinato disposto degli artt. 873 e 877 c.c..

La sentenza impugnata deve essere pertanto, sul punto, cassata con rinvio al giudice a quo il quale, in applicazione dell’esposto principio, dovrà valutare la possibilità, in relazione agli elementi di fatto acquisiti ovvero acquisibili ancora ex officio (a mezzo ad es. di una c.t.u.) di emettere, quale prioritaria alternativa sanzione conseguente alla non consentita costruzione in appoggio, un ordine di costruzione in aderenza della sopraelevazione de qua (terzo e quarto piano del fabbricato ex L.F.) >>.

Danno emergente, lucro cessante e danno non patrimoniale a società commerciale in caso di violazioni di marchio

Cass. sez. 1 del 8 marzo 2023 n. 6876, rel. Catallozzi, Da Peng srl c. Giorgio Armani spa:

<< – ciò posto, si osserva che il danno risarcibile per atto di concorrenza sleale comprende, in applicazione dei criteri generali di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c., sia il danno emergente, sia il lucro cessante;

– il primo può consistere nelle spese vanificate dall’illecito (per esempio, le spese pubblicitarie il cui ritorno è stato compromesso dall’attività illecita del concorrente), nelle spese affrontate per ovviare all’illecito (per esempio, le spese sostenute per la scoperta dell’altrui condotta pregiudizievole e per acquisirne la prova; quelle per informare il pubblico dell’altrui illecito) e in quelle imposte dall’esigenza di ovviare al pregiudizio subito dagli asset aziendali per la perdita di valore e/o, della capacità produttività e di penetrazione nel mercato;

– il secondo si risolve essenzialmente nel mancato guadagno del titolare eziologicamente legato alla concorrenza dell’autore della violazione, in relazione alla compressione dei ricavi dovuta alla diminuzione delle vendite – eventualmente anche di prodotti gemellati – o alla erosione del prezzo di mercato del prodotto;

– tali voci di danno vanno tenute distinte dal danno non patrimoniale, consistente nella lesione alla reputazione di un soggetto – ivi incluso una persona giuridica – derivante dalla diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali l’ente interagisca, allorquando l’atto lesivo che determina la proiezione negativa sulla reputazione dell’ente sia immediatamente percepibile dalla collettività o da terzi (cfr. Cass. 26 gennaio 2018, n. 2039; Cass. 25 luglio 2013, n. 18082; sulla risarcibilità del danno non patrimoniale, cfr. Cass., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972);

– la distinzione delle diverse voci risarcitorie si impone non solo per esigenze di una loro corretta qualificazione, ma anche per evitare il rischio di duplicazione delle poste risarcitorie;

– va, infatti, scongiurato il pericolo che la generica allegazione della lesione dell’immagine e del prestigio imprenditoriale dia luogo al riconoscimento di poste risarcitorie distinte, seppur relative al medesimo pregiudizio;

– tale pericolo appare particolarmente concreto in ragione della sottile linea di demarcazione tra danno morale da lesione alla reputazione e danno patrimoniale da discredito, da individuarsi, il primo, nel pregiudizio alla corretta identificazione del soggetto che ne è titolare nella sua comunità di riferimento e, il secondo, nel pregiudizio alla produttività e al posizionamento sul mercato;

– la tutela risarcitoria per atti di concorrenza sleale va accordata anche con riferimento alla realizzazione di atti preparatori rispetto a quelli presi in considerazione dall’art. 2598 c.c., avuto riguardo all’esigenza di prevenzione dell’illecito evidenziata dalla previsione del rimedio inibitorio, qualora sia dimostrata l’esistenza di un danno ad essa eziologicamente collegata;

– l’esecuzione di un’attività prodromica – soprattutto se inequivocabilmente orientata alla realizzazione di condotte concorrenziali sleali – può, dunque, di per sé, assumere rilevanza ai fini risarcitori pur in assenza dell’effettivo compimento dell’atto ritenuto illecito, nei limiti in cui la stessa arrechi pregiudizio al concorrente;

– qualora, poi, come nel caso in esame, il pregiudizio riguardi l’immagine e l’apprezzamento che i consumatori nutrono per i prodotti commercializzati con un determinato segno distintivo, la vittima ha diritto al risarcimento non solo del danno emergente e del danno non patrimoniale, in presenza dei presupposti indicati in precedenza, ma anche del danno da lucro cessante, laddove la condotta illecita abbia determinato una contrazione dei suoi ricavi o, comunque, una incidenza sul relativo importo;

– da ciò consegue che la decisione della Corte di appello, nella parte in cui ha ritenuto compatibile l’esistenza di un danno da lucro cessante con una condotta illecita confusoria realizzata mediante il compimento di soli atti prodromici (e in assenza, dunque, della commercializzazione dei relativi prodotti), non si pone in contrasto con le regole di diritto che presiedono alla liquidazione dei danni da concorrenza sleale; >> .

Un paio di osservazioni:

i) ex art. 20.2 cpi anche la detenzione a fini di successiva commercializzazione rientra nella esclusiva;

ii) il danno non patrimoniale in un ente, contrattualmente creato per fare profitto, rimane da spiegare

Responsabilità del revisore per mancato disinvestimento da parte del socio? Negata per mancata prova della reale possibilità disinvestimento e del nesso causale

Così Trib. Milano n. 132/2023, RG 18268/2020, rel. Alima Zana, relativamente a domanda di danno proposta da socio di Banca Popolare di Vicenza spa contro il revisore KPMG.

<<In limine, va in proposito rammentare che:
• nel caso di perdita di chance il nesso causale che deve essere dimostrato dall’attore è ipotetico,
giacché è di natura ipotetica il nesso che si predica tra l’assenza dell’illecito (che invece si è
verificato) e la esistenza della chance (che invece è venuta meno o non si è verificata);
• il giudice è tenuto quindi a formulare quella che viene definita una “prognosi postuma”,
ricostruendo la situazione ipotetica che si sarebbe verificata in assenza dell’illecito;
• il soggetto che si dichiara vittima dell’illecito deve quindi provare:
I.  l’esistenza reale di una chance;
II.  che la chance sia venuta meno per effetto diretto del comportamento illecito,
seppure utilizzando il criterio civilistico della c.d. probabilità prevalente>>

E’ mancata però la prova di entrambi i requisiti (sia I che II)

I): non c’è prova che, anche avesse saputo, sarebbe riuscito a disinvestire:

<< Ed in particolare, quanto al requisito sub I, va con considerato che:
✓ le azioni litigiose erano per loro natura illiquide.
Invero le stesse non erano strumenti finanziari quotati su mercati regolamentati.
Le azioni BPVI erano dunque connaturate da un intrinseco carattere di illiquidità (“le
azioni della Banca Popolare di Vicenza non erano quotate in borsa e come tali si
caratterizzavano, in linea generale, per una scarsa possibilità di smobilizzo entro un
lasso di tempo ragionevole a condizioni di prezzo significativo” cfr. Tribunale di Milano,
sent. 8390/2021, in un caso del tutto analogo, afferente sempre alla domanda risarcitoria
esercitata contro il revisore a causa del mancato disimpegno di azioni di Banca Popolare
di Vicenza nella stessa frazione temporale qui considerata);
✓ avvicinandosi al periodo critico qui oggetto indagine, il disinvestimento -che già in sé
presentava rischi- era poi divenuto assai difficile, fino a poter essere diventare quasi
“impossibile” già nel 2014, come precisato Banca in occasione dell’aumento di Capitale
2014 a cui l’attore risulta avere partecipato;3
✓ proprio in data 24.4.2015 -in occasione dell’approvazione del bilancio di esercizio al
31.12.2014, momento in cui l’attore colloca la propria decisione di non procedere al
disinvestimento, tenuto conto della relazione accompagnatoria positiva del revisore- la
Banca dava atto della sopraggiunta impossibilità di assorbire le domande di vendita delle
proprie azioni. E ciò atteso il totale blocco del cd. “mercato interno” gestito dallo stesso
istituto di credito negli anni precedenti per agevolare le richieste di vendita dei titoli,
mediante utilizzo del Fondo per acquisto di azioni proprie, essendo stata azzerata medio
tempore da parte della BCE la possibilità di utilizzare di tale Fondo.4
Dunque, non vi è prova del requisito sub I, ossia di una reale chance di un disimpegno del
pacchetto litigioso- neppure attraverso la Banca- in tempi contenuti ad un prezzo ragionevole >>

Quanto a II), manca la prova del nesso di causa:

<<Quanto al requisito sub II, va osservato che:
✓ operando un giudizio c.d. controfattuale, c.d. della prognosi postuma, la condotta
alternativa di KPMG – attraverso lo svolgimento, secondo l’attore, a regola d’arte delle
verifiche prodromiche all’attestazione del bilancio al 31.12.2014 e con conseguente
disvelamento del vero della consistenza effettiva del patrimonio della banca- non
avrebbe comunque attribuito a parte attrice ragionevoli chance di smobilitare a
condizioni proficue il proprio investimento;
✓ infatti, non potendo accedere l’attore in via privilegiata ed anticipata alle corrette
informazioni -che ritiene illecitamente essergli state celate- rispetto agli altri operatori,
l’unico effetto della condotta alternativa di KPMG sarebbe stato invero di anticipare nel
tempo gli eventi poi realmente accaduti ed in particolare il deprezzamento delle azioni
della banca a € 0,10 ciascuna. Con conseguente impossibilità per l’attore di collocare il
proprio pacchetto azionare a prezzo conveniente, superiore al valore poi attribuito.
Manca dunque anche la prova del requisito sub II, non essendovi alcun riscontro che la
condotta alternativa lecita di KPMG (non in tesi non si è verificata) avrebbe impedito
all’investitore di perdere il valore delle proprie azioni (evento invece verificatosi). In
altre parole, non vi è prova che la relazione positiva del revisore sul bilancio al
31.12.2014 abbia cagionato la perdita di chance di vendita del pacchetto azionario
litigioso a prezzo conveniente, grazie all’acquisizione privilegiata rispetto al resto degli investitori delle corrette informazioni.
Con conseguente carenza del nesso di causalità, non essendo la perdita subita dall’attrice causalmente connessa alle carenze informative denunciate, invece presumibilmente riconducibile all’oscillazione del valore delle azioni propria dei titoli non quotati in borsa di cui l’investitore ha assunto consapevolmente il rischio>>.