L’interpretazione della scheda testamentaria: il legato riferito ai “miei soldi” comprende non solo i depositi bancari di denaro ma anche gli investimenti finanziari in titoli e obbligaizoni

Cass. sez. 2 del 22.12.2023 n. 35.807, rel. Criscuolo (da Onelegale):

<<La ricorrente principale denuncia la violazione dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la Corte d’Appello, pur ritenendo di accedere ad una nozione estensiva dell’espressioni “soldi” utilizzata dal de cuius, nella sua concreta attuazione compiuto delle affermazioni, in punto di esclusione di alcune componenti, che si presentano del tutto illogiche ed inconciliabili con le premesse argomentative, avendo poi valorizzato una pretesa rinuncia dell’appellata in realtà di contenuto ben diverso.

Si sottolinea che correttamente il de cuius aveva inteso far riferimento non solo al denaro giacente sui conti correnti, ma anche a quello rappresentato da titoli convertibili, suscettibili di generare liquidità mediante semplici operazioni contabili. Era stata correttamente supportata tale conclusione con il richiamo alla volontà evincibile dal testamento tenendo conto del grado di cultura del testatore e della sua mentalità, quale desumibile dalla stessa descrizione che ne faceva la figlia.

In pratica il de cuius, quasi facendo ricorso ad una sineddoche, aveva fatto riferimento ai soldi, ma con l’intento evidente di voler includere nell’espressione anche il denaro investito in titoli convertibili in liquidità con semplici operazioni contabili.

Tuttavia, nel tradurre in pratica tale condivisibile affermazione, la sentenza impugnata ha però escluso dal novero delle componenti patrimoniali sulla cui base calcolare il legato, non solo le quote societarie intestate al de cuius, ma anche le azioni ed obbligazioni.

Trattasi di conclusione che sarebbe in palese contraddizione con la premessa logica che sorregge l’interpretazione del testamento e che si fonda altresì sulla valorizzazione di una rinuncia operata dalla ricorrente ma solo all’equivalente in denaro delle quote di alcune società di cui il de cuius era titolare, ma non anche di tutte le partecipazioni azionarie, specialmente se riferite a società quotate in borsa, per le quali è la stessa regolamentazione del mercato a consentire un’immediata conversione in denaro.>>.

Poi:

<< La sentenza impugnata, compiendo una corretta applicazione dei principi che questa Corte ha dettato in materia di interpretazione delle volontà testamentarie (secondo cui l’interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio “mortis causa”, è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, aldilà della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione, potendosi, ove dal testo dell’atto non emergano con certezza l’effettiva intenzione del “de cuius” e la portata della disposizione, fare ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali, ad esempio, la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura o condizione sociale o il suo ambiente di vita, così ex multis Cass. n. 10882/2018), ha ritenuto che il termine “soldi” fosse stato utilizzato in quanto volto a designare non solo il denaro contante o comunque giacente sui conti correnti, ma tutto ciò che pur essendo investito in altre forme, potesse essere facilmente convertito in denaro mediante semplici operazioni contabili.

Anche il motivo del ricorso incidentale non sottopone a puntuale critica l’esito ermeneutico cui è pervenuto il giudice di appello, ma sottolinea nella sostanza la medesima illogicità delle conclusioni tratte dal giudice di appello, che non sono coerenti con le premesse dalle quali ha pur dichiarato di prendere le mosse.

Assume la A.A. che la portata estensiva della disposizione a titolo di legato, in quanto idonea a ricomprendere ogni forma di investimento mobiliare caratterizzata dalla immediata convertibilità in denaro avrebbe dovuto attrarre nella previsione testamentaria non solo le componenti patrimoniali indicate a pag. 13, ma anche le azioni ed obbligazioni emesse da società quotate in borsa trattandosi di titoli che condividono con quelli espressamente riconosciuti in sentenza, il carattere della immediata convertibilità.

In senso opposto la ricorrente incidentale trae dall’esclusione delle azioni ed obbligazioni ora richiamate l’incoerenza della inclusione nel legato proprio di forme di investimento che in quanto accomunate alle prime, dovrebbero essere coerentemente escluse dal computo di quanto spettante all’attrice.

Trattasi sostanzialmente della denuncia della medesima incoerenza tra premesse del ragionamento ed applicazione concreta che si risolve ad avviso della Corte in un pregiudizio per la posizione della ricorrente principale.

Correttamente è stato richiamato il principio secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. S.U. n. 8053/2014, nonchè da ultimo Cass. n. 7090/2022).

Nella fattispecie si palesa proprio il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.

Infatti, una volta rilevata la incensurabilità della lettura estensiva della nozione di “soldi” relativa al legato di cui è beneficiaria la A.A., e ritenuto altresì che ciò che connota le componenti incluse nel calcolo del legato è appunto la immediata convertibilità dei titoli in legato con semplici operazioni contabili, è del tutto inconciliabile la successiva affermazione della Corte d’Appello che ha escluso il valore di tutte le azioni ed obbligazioni, trattandosi, soprattutto [non “soprattuto” ma “solamente” per queste!!!] per quelle relative a società quotate in borsa ovvero oggetto di contrattazione su apposti mercati , di titoli aventi una funzione chiaramente di investimento e connotati dalla possibilità di una sollecita ed agevole conversione del loro valore di mercato in denaro.

Nè può sorreggere la coerenza della conclusione della Corte il richiamo alla rinuncia dell’appellata, essendo l’estensione della rinuncia anche alle azioni ed obbligazioni de quibus viziata da una erronea lettura della rinuncia, che la stessa sentenza riporta a pag. 8 essere riferita solo alle quote sociali, e cioè alle partecipazioni a quelle Srl nelle quali il de cuius aveva un ruolo attivo, essendo la partecipazione non funzionale ad una finalità di investimento, ma allo svolgimento dell’attività imprenditoriale.

L’affermazione di cui alla pag. 11 secondo cui la rinuncia nei termini ora esposti si estendesse a tutte le partecipazioni azionarie risulta affetta quindi da una altrettanto insanabile contraddizione con le premesse che sorreggono l’interpretazione delle volontà testamentarie, tradendo quella che era stata la valutazione in punto di estensione del legato.

In accoglimento del primo motivo del ricorso principale la sentenza deve quindi essere cassata per la nullità della motivazione, dovendo il giudice di rinvio procedere a nuovo esame, previa individuazione tra le varie forme di investimento poste in essere dal de cuius di quelle che si presentano come titoli convertibili in denaro mediante semplici operazioni contabili>>.

La sopravvenienza di figli, a chi già ne aveva, non è equiparabile alla analoga sopravvenienza a chi non ne aveva alcuno: solo alla seconda fattispecie si applicarsi la revoca testamentaria ex art. 687 cc

Così Cass. 5 ottobre 2023 n. 28.043, rel,. Criscuolo, ove si legge:

<<Cass. n. 18893/2017 ha, infatti, affermato che il testamento redatto dal “de cuius” che, al momento della sua predisposizione,
già avesse figli, dei quali fosse nota l’esistenza, non è soggetto a
revocazione per il caso di successiva sopravvenienza di un altro
figlio, ex art. 687 c.c., attesa la natura eccezionale – e, dunque,
non suscettibile di applicazione analogica o estensiva – di tale
disposizione, che contempla la diversa ipotesi in cui il testamento
sia stato predisposto da chi non aveva o ignorava di aver figli o
discendenti>>

Questa la motivazione:

<<Tale precedente, dopo aver richiamato il dibattito dottrinale, circa
il fondamento soggettivo o oggettivo della previsione, ha reputato
preferibile optare per la seconda soluzione che ancora il rimedio
alla modificazione in sé della situazione familiare in relazione alla
quale il testatore aveva disposto dei suoi beni. A tale conclusione
è pervenuta nell’ottica prevalente della tutela dei figli, non senza
osservare che la stessa non si pone in irresolubile contrasto con il
diverso approccio volontaristico che è invece alla base dell’esegesi
della previsione di cui all’art. 803 c.c., deponendo in tal senso
anche le differenze evidentemente esistenti tra le due norme
(come testimoniato dal fatto dal fatto che la revocazione della
donazione è rimessa ad un’iniziativa del donante ovvero dei suoi
eredi, ed è assoggettata ad un breve termine di decadenza,
palesandosi in tal modo come la perdita di efficacia della
donazione sia ricollegata ad una specifica iniziativa individuale ed
al fatto che il ripensamento del donante debba intervenire in un lasso di tempo contenuto, laddove a contrario la fattispecie in
materia di testamento opera di diritto, ed anche laddove il de
cuius abbia potuto fruire di un termine, anche ampio, per
procedere alla revoca del precedente testamento ed ad una
eventuale nuova manifestazione di volontà).
La tesi cd. oggettiva trova poi il supporto anche del dato letterale
che non consente di ampliare l’ambito di applicazione della norma
al caso in oggetto. Inoltre, l’ancorare in chiave oggettiva la
revocazione ad una modificazione della situazione familiare, sia
pure nella prospettiva di assicurare una tutela della posizione dei
figli, impone di affermare che la modificazione debba essere tale
da creare un quadro oggettivo radicalmente mutato rispetto a
quello presentatosi al testatore alla data di redazione del
testamento, e che appaia quindi connotato dalla sopravvenienza
di figli, di cui si ignorava l’esistenza. Ciò che vuol dirsi è che non
ogni mutamento della composizione del quadro familiare, quale la
nascita di figli ulteriori può portare alla revocazione, ma solo
quello che denoti, con la necessità anche di un richiamo alla
ipotetica volontà del de cuius, legata alla preponderanza
dell’affetto nei confronti dei figli, non ancora provato alla data cui
risale il testamento, una situazione affatto diversa, e che possa
appunto giustificare la revocazione. Inoltre, ed a favore sempre
della lettura rigorosa della previsione di cui all’art. 687 c.c., sono
stati rimarcati alcuni inconvenienti che la più attenta dottrina ha
avuto modo di segnalare in relazione all’ipotesi in cui invece si
optasse per la revocazione anche in caso di sopravvenienza di figli
ulteriori. In tal senso si pensi al caso in cui il testatore abbia
deciso di non istituire il figlio a lui noto, preferendo altri soggetti
ovvero che al contrario, abbia deciso di istituirlo, in tutto il suoCorte di Cassazione – copia non ufficiale
Ric. 2018 n. 25845 sez. S2 – ud. 25-09-2023 -16-
patrimonio o anche solo in parte dello stesso. Nel primo caso, il
figlio noto, in assenza di figli sopravvenuti, potrebbe tutelare le
sue ragioni solo avvalendosi dell’azione di riduzione, mentre,
qualora vengano scoperti altri figli, o ne sopravvengano, e si
ammettesse l’estensione dell’art. 687 c.c., verrebbe alla
successione legittima, contro, però, la volontà (reale) del
testatore. Nel secondo caso, sempre ammessa l’estensione
analogica dell’art. 687 c.c., anziché essere soggetto all’azione di
riduzione, nuovamente il figlio noto, scoperti o sopravvenuti altri
figli, verrebbe alla successione legittima, ancora una volta contro
la volontà (reale) del testatore. Si è acutamente sottolineato che,
anche a voler ravvisare la ratio della norma in esame nella tutela
di interessi familiari, il «bilanciamento» fra questi ultimi interessi
e la volontà (reale) del testatore è stato compiuto nel momento in
cui sono state scritte le norme sulla successione necessaria, le
quali impongono di dover reagire nel caso di lesione avverso l’atto
che esprima la volontà (reale) del testatore, senza quindi poter
beneficiare (al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 549 c.c.) di una
caducazione automatica delle previsioni lesive dei diritti dei
legittimari. La «prevaricazione» della volontà (reale) del testatore,
in vista della tutela di interessi familiari può considerarsi
giustificata, solo se funzionale alla tutela dei figli ignoti al tempo
del testamento o sopravvenuti, come peraltro confortato dalla
previsione di cui al terzo comma della norma in esame, ma non
anche laddove il testatore si sia determinato a dettare le proprie
volontà in presenza di figli a lui noti, essendo quindi esclusa la
parificazione della fattispecie qui esaminata a quella invece
puntualmente descritta dal legislatore>>.

Lascia perplessi in un giudice di solito molto attento (ed espertissimo della materia successoria) l’equiparazione (parrebbe una confusione) tra analogia ed interpretazione estensiva di una norma eccezionale

Annullamento per dolo di testamento olografo (con qualche considerazione sulla non contestazione processuale)

Cass.  sez. II  31 agosto 2023, n. 25.521 , Rel Papa

<<Ciò precisato, deve allora considerarsi, in diritto, che, come ripetutamente affermato da questa Corte, il rispetto assoluto della volontà del testatore impone che, al fine di poter affermare che una disposizione testamentaria sia affetta da dolo, non è sufficiente dimostrare una qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore, se del caso mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni; occorre, invece, la prova dell’avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore, avuto riguardo alla sua età, allo stato di salute, alle sue condizioni di spirito, così da suscitare in lui false rappresentazioni ed orientare la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (Sez. 2, n. 4653 del 28/02/2018 con numerosi richiami).
L’esigenza di assicurare una più penetrante ricerca della volontà del testatore, di là delle mere dichiarazioni, impone innanzitutto un esame globale della scheda testamentaria e non di ciascuna singola disposizione, alla stregua dei principi generali di ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c., applicabili al testamento sia pure con gli opportuni adattamenti (Cass. Sez. 2, n. 468 del 14/01/2010).
Soltanto qualora dal testo dell’atto non emerga con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, l’interprete può, in via sussidiaria, ricorrere alla valutazione di elementi estrinseci al testamento, seppure sempre riferibili al testatore, quali ad esempio la sua cultura, la mentalità, il suo ambiente di vita, le sue condizioni fisiche (Cass. Sez. 2, n. 10075 del 24/04/2018).
Infine, deve rimarcarsi che la prova della captazione, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività di condizionamento e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore (da ultimo Cass. Sez. 6 – 2, n. 30424 del 17/10/2022)>>.

Aplicazione al processo de quo:

<Dalla concisa esposizione dei punti della motivazione qui riportata, risulta già evidente che la Corte d’appello, con la sua motivazione sulla sussistenza del dolo, non ha correttamente applicato alla fattispecie i principi consolidati suesposti: ha, infatti, continuamente sovrapposto elementi sia intriseci alla scheda testamentaria, estrapolati dal contesto (alcune tra le espressioni utilizzate dal testatore in riferimento a pressioni esterne), sia estrinseci (la sua età avanzata, il risiedere i due fratelli convenuti nell’azione di annullamento per dolo vicino al testatore); ha poi ritenuto sufficiente il riferimento del testatore alle “pressioni ricevute da parenti e conoscenti”.
Come rilevato in ricorso da A.A. e B.B., in particolare la Corte non ha affatto compiuto una valutazione globale della scheda, estrapolando le affermazioni contenenti i riferimenti alle “pressioni ricevute”, sebbene nella parte iniziale della scheda il testatore riportasse, testualmente, di essere indotto a riesaminare le precedenti disposizioni da “alcuni aspetti dei rapporti di C.C. nei confronti miei e dei fratelli (…); in occasione del mio ricovero in ospedale, si dimostrò completamente assente e indifferente anche se non ancora ostile” e che egli “da allora” da parte di parenti e conoscenti cominciò a ricevere le pressioni che la Corte d’appello ha ritenuto poi rilevanti perchè modificasse i diritti successori, ma aveva “rifiutato” di cancellare disposizioni, tenuto conto dei meriti pregressi”; quindi, il testatore riferiva ancora: “ma recentemente, essa tentò di inguaiarmi per pretese omissioni di versamenti contributivi, in ciò avendo a collaborare un individuo di cui non faccio neppure il nome per non sporcarmi”. La sequenza di queste dichiarazioni non è stata esaminata dalla Corte che ha isolato dal contesto il riferimento alle pressioni ricevute non applicando correttamente i principi ermeneutici di cui si è detto.
Quanto poi alle riferite “pressioni” (che, invero, nell’interpretazione, devono essere identificate in modo chiaramente distinto da un’attività di coercizione che, nella specie, non è stata mai dedotta e potrebbe essere rilevante per la violenza, non per il dolo), è necessario che, come già rimarcato, sia riscontrabile l’avvenuto impiego di veri e propri mezzi fraudolenti idonei a trarre in inganno il testatore.
In tal senso, il ragionamento presuntivo – che può sorreggere questo riscontro da parte dell’interprete – deve comunque essere correttamente costruito, ciò che nella specie non può dirsi accaduto.
E’ necessario, infatti, che il giudice analizzi innanzitutto i fatti noti che, seppure secondari, potrebbero essere utili alla deduzione dei fatti ignoti da provare; quindi egli è tenuto a selezionarli per “precisione”, nel senso di considerali soltanto se certi e determinati nella realtà storica; infine, può valutarli nella loro “gravità” e, in caso siano molteplici, “concordanza”, nel senso che deve verificarli come idonei a fondare la deduzione probabilistica della realtà del fatto ignoto (cfr. sulla costruzione del ragionamento presuntivo, Cass. Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022).
Nessuna di queste fasi del ragionamento si evince nella motivazione della sentenza impugnata, in cui non risulta neppure chiaro quali elementi siano ritenuti fatti certi, quali abbiano la caratteristica di fatti secondari, come si sia sviluppata la deduzione del dolo>>.

Sulla non contestazione ex 115 copc:
<<Ebbene, per principio consolidato, il principio di non contestazione (comunque operante nella fattispecie perchè implicitamente codificato, prima che fosse riformato l’art. 115 c.p.c., nell’art. 167 c.p.c.) produce l’effetto della relevatio ab onere probandi soltanto in relazione ai fatti costitutivi, modificativi o estintivi del diritto azionato che siano stati compiutamente allegati dall’attore [NB: purchè entro la sfera di azione e conoscibilità della controparte: non ha senso l’effetto probatorio circa fatti su cui nulla può o sa]; può poi operare, altresì, anche in relazione a fatti secondari se idonei a fondare un ragionamento presuntivo quando, come accade proprio nel caso del dolo nel testamento, la prova non possa che essere fornita per presunzioni.
In questa seconda ipotesi, tuttavia, la non contestazione non può investire immediatamente la fattispecie giuridica dedotta in domanda (l’asserito vizio di volontà del testatore), oggetto di prova presuntiva: il riscontro di tale fattispecie deve comunque avvenire, infatti, con un’attività spiccatamente valutativa, finalizzata a ricavare il fatto principale – insuscettibile di prova diretta – dai fatti secondari invece accertati, eventualmente anche per non contestazione (cfr., in materia risarcitoria, Cass. Sez. L, n. 21460 del 19/08/2019).
La non contestazione è, infatti, un comportamento processualmente significativo se riferito a un fatto da accertare nel processo e non alla determinazione della sua dimensione giuridica (cfr. Sez. U, n. 761 del 23/01/2002 in materia di contestazione dei conteggi per la quantificazione di un credito di lavoro); per contrappunto, il mero difetto di contestazione specifica, ove rilevante, non impone in ogni caso al giudice un vincolo assoluto (per così dire, di piena conformazione), perchè egli può sempre rilevare l’inesistenza del fatto allegato da una parte anche se non contestato dall’altra ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto (Sez. U, n. 11377 del 2015, in motivazione).
La Corte d’appello, pertanto, non ha correttamente applicato il principio di non contestazione alla fattispecie>.

(segnalazione e testo da Ondif)