La Cassazione sulla responsabilità civile dei sindaci di sp.a. (quasi una lectio magistralis)

Cass. 24.045 del 06 settembre 2021 interviene sulla responsabilità dei sindaci di spa (art. 2407 cc., essenzialmente  comma 2).

Nulla di innovativo ma un ripasso approfondito.

E’ ante riforma 2003 ma il testo è  uguale nella parte pertinente della disposizione.

Due soprattutto sono i  punti da cogliere.

Il primo riguarda il nesso di causalità :

quando  il  danno  non  si  sarebbe
prodotto se essi avessero  vigilato  in  conformita'  degli  obblighi
della loro carica.

Ebene: << In altri termini, perché sussista il nesso di causalità ipotetica tra l’inadempimento dei sindaci ed il danno cagionato dall’atto di mala gestio degli amministratori, nel senso che possa ragionevolmente presumersi che, senza il primo, neppure il secondo si sarebbe prodotto, o si sarebbe verificato in termini attenuati, è necessario che il giudice, di volta in volta, accerti che i sindaci, riscontrata la illegittimità del comportamento dell’organo gestorio nell’adempimento del dovere di vigilanza, abbiano poi effettivamente attivato, nelle forme e nei limiti previsti, gli strumenti di reazione, interna ed esterna, che la legge implicitamente od esplicitamente attribuisce loro, privilegiando, naturalmente, quello più opportuno ed efficace a seconda delle circostanze del singolo caso concreto.  E precisamente, di fronte ad un atto di mala gestio degli amministratori, i sindaci che vogliano evitare l’azione di responsabilità nei propri confronti, devono, oltre che verbalizzare il proprio dissenso (rispetto alle deliberazioni del collegio stesso) nel verbale delle adunanze del collegio sindacale (art. 2404 c.c., u.c.), anche: a) chiedere, se del caso per iscritto, notizie e chiarimenti al consiglio di amministrazione in ordine all’andamento delle operazioni sociali o su determinati affari (cfr. Cass. n. 5263 del 1993); b) procedere in qualsiasi momento, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo (art. 2403 c.c., anche nel testo oggi vigente sotto l’art. 2403-bis c.c.), se del caso avvalendosi, sotto la propria responsabilità ed a proprie spese, di propri dipendenti ed ausiliari (art. 2403-bis c.c., anche nel testo attualmente vigente); c) convocare e partecipare, come è loro obbligo, alle riunioni del consiglio di amministrazione (art. 2405 c.c.), verbalizzare l’eventuale dissenso sul libro delle adunanze e delle deliberazioni del consiglio, ed impugnarne le deliberazioni affette da nullità od annullabilità (vedi l’art. 2388 c.c., comma 4), specie quando il vizio sia idoneo a danneggiare la società od i creditori (arg. ex art. 2391 c.c., comma 3, art. 2394 c.c. e art. 2407 c.c., commi 2 e 3); d) convocare (art. 2406 c.c.) e partecipare, come è loro obbligo, all’assemblea dei soci (art. 2405 c.c.), nonché impugnare le deliberazioni dell’assemblea che non siano state prese in conformità della legge o dell’atto costitutivo (art. 2377 c.c., comma 1, anche nel testo in vigore); e) formulare esposti al Pubblico Ministero, affinché questi provveda ex art. 2409 c.c., quando tale iniziativa sia rimasta davvero l’unica praticabile in concreto per poter legittimamente porre fine alle illegalità di gestione riscontrate, essendosi rilevati insufficienti i rimedi endosocietari (cfr., in tal senso, Cass. n. 9252 del 1997), ovvero, come è stato espressamente riconosciuto dalla riforma del 2003, promuovere direttamente il controllo giudiziario sulla gestione se si ha il fondato sospetto che gli amministratori abbiano compiuto gravi irregolarità (art. 2409 c.c., u.c. nuova formulazione)>>, § 2.2.4.

Si noti la gravosità del dovere impugnatorio ex lett. c) e d).

Riassunto fatto dalla  SC stessa: << 2.3 . Riassumendo, dunque, se è vero che il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera “posizione di garanzia”, si esige tuttavia, a fini dell’esonero dalla responsabilità, che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative – in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. – può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, “…cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie” (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Dall’altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all’autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative. Dovendosi ribadire che, come questa Corte ha già osservato, anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può costituire deterrente, sotto il profilo psicologico, al proseguimento di attività antidoverose da parte dei delegati (cfr. Cass. n. 31204 del 2017 e Cass. 11 novembre 2010, n. 22911 del 2010, entrambe richiamate, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 18770 del 2019). Senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze, in quanto l’inerzia del singolo, nell’unirsi all’identico atteggiamento omissivo degli altri) acquista efficacia causale, atteso che, all’opposto, una condotta attiva giova a “rompere il silenzio” sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge ed ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019, nonché, in sede penale, Cass. pen. 7 marzo 2014, n. 32352, Tanzi).

2.3.1. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo di società di capitali, dunque, i sindaci hanno l’obbligo di porre in essere, con tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali, certamente) di sollecitazione e denuncia diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo. In mancanza, essi concorrono nell’illecito civile commesso dagli amministratori della società per omesso esercizio dei poteri-doveri di controllo loro attribuiti per legge (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019)>>.

Sugli oneri di allegazione e prova: <<Resta da precisare che l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale (cfr., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019). Costituisce, infatti, costante indirizzo interpretativo quello per cui la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che quest’ultima ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (cfr. Cass. n. 28642 del 2020, in motivazione; Cass. n. 2975 del 2020; Cass. n. 17441 del 2016; Cass. n. 14988 del 2013; Cass. n. 22911 del 2010).>>, § 2.5.

Il secondo punto importante riguarda la fattispecie del concorso ex art. 2055 cc:

<< 2.7.3. In altri termini, la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., comma 1, atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p., (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del “più probabile che non”) tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse (cfr. Cass. n. 7016 del 2020).

2.7.4. Deve ribadirsi, in proposito, il consolidato principio, enunciato da questa Corte, secondo cui l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo al danneggiato, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia di quest’ultimo e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse (cfr., ex aliis, Cass. n. 1842 del 2021; Cass. n. 7016 del 2020; Cass. n. 23450 del 2018; Cass. n. 18753 del 2017; Cass. n. 18899 del 2015; Cass., SU, n. 16503 del 2009, in motivazione).>>

Pagamenti preferenziali nella fase del crepuscolo imprenditoriale

Trib. Milano 14-09.2021, RG 22523/2017, n° 7286/2021, affronta alcune questioni di cuia ll’oggetto nella lite promossa dalla Curatela fallimentare contro alcuni amministratori ex artt. 2393-2394 cc (era però una s.r.l.)

Interessano le affermazioni relative alle due domande azionate in causa (per vero, interesserebbe pure la loro applicazione ai fatti di causa, qui però non possibile):

1) <<Ciò posto, ritiene il Tribunale che, quando la società versa in stato di insufficienza patrimoniale irreversibile, il pagamento di debiti sociali senza il rispetto delle cause legittime di prelazione – quindi n violazione della par condicio creditorum – costituisce un fatto generativo di responsabilità degliamministratori verso i creditori, salvo che sia giustificato dal compimento di operazioni conservativedell’ integrità e del valore del patrimonio sociale, a garanzia dei creditori medesimi, o di operazioniassimilabili (v. postea) ….

A conforto di tali conclusioni sovvengono, con riferimento alla responsabilità degli amministratori,considerazioni relative a principi già immanenti ma ormai positivizzati nel sistema, ed in particolareche, a fronte della crisi ed a maggior ragione dell’insolvenza sub specie di dissesto, il parametrogestorio deve cambiare, essendo da orientare non più a realizzare un lucro ma: (i) al fine esclusivo diconservare il valore e l’integrità del patrimonio sociale (art. 2486 c.c.; cfr. anche OIC 5, OIC 11 par.23, 24), cioè in base a criteri diversi da quelli tipici della società in bonis e di salvaguardia dellagaranzia dei creditori (art. 2740 c.c.); (ii) all’adozione di uno degli strumenti previsti per il superamentodella crisi ed il recupero della continuità aziendale: piani attestati di risanamento, accordi diristrutturazione, concordato preventivo (artt. 67 let. d, 160, 182 bis, l.f.). E con l’obbligo di chiedere ilfallimento in proprio ove si profili un rischio di incremento del dissesto (art1. 217 n. 4, 224 n. 1 l.f.).D’altro canto, significativamente, il danno prospettabile sia con riferimento all’azione ex art. 2394 c.c.– ove concepita, come prevalentemente riconosciuto, quale azione diretta ed autonoma, nonsurrogatoria, cui è legittimato ciascun creditore -, sia con riferimento al danno da pagamentopreferenziale è comunque costituito dalla minor soddisfazione che il credito riceve per effetto delcompimento dell’atto illegittimo , chiaro sintomo, questo, della operatività del principio di parcondicio creditorum in presenza di insufficienza patrimoniale. La stessa determinazione del danno secondo il criterio della differenza dei netti patrimoniali (art. 2486, comma 2, c.c.) – portato positivo diuna precedente elaborazione giurisprudenziale poliennale – consiste in una diminuzione patrimoniale in danno anzitutto dei creditori e si sostanzia in una tutela della par condicio creditorum, andando il risarcimento ottenuto dalla procedura ad incrementarne l’attivo distribuibile>>, pp. 11 e 13.

2) <<Deve essere accolta parzialmente, per quanto di ragione, la domanda risarcitoria proposta dalFallimento con riferimento all’addebito sub B), ovvero il danno costituito da sanzioni irrogate edinteressi maturati in relazione all’omesso pagamento, da parte della Società in persona degliamministratori, dei debiti fiscali e contributivi. Ha dedotto il Fallimento che gli amministratori hanno preferito pagare altri creditori, invece che l’Erario, creditore privilegiato, soprattutto considerando che tali omissioni comportano altrettantiilleciti amministrativi cui accedono consistenti sanzioni ed applicazioni di interessi.  I convenuti hanno molto genericamente fatto appello alla discrezionalità gestoria degli amministratoried all’impossibilità di pagare quando la società si trova in situazione di crisi.  Osserva il Tribunale che la discrezionalità degli amministratori trova un limite naturale nel rispetto dispecifiche e tassative norme di legge la cui violazione integra un illecito amministrativo assistito dallerelative sanzioni, quali sono (tra le altre) le norme che prevedono i pagamenti di imposte, tasse  e contributi. I nvero questo Tribunale ha costantemente affermato: “La condotta degli amministratori caratterizzata dalla perdurante violazione degli obblighi tributari è gravemente inadempiente rappresentando uno dei primi doveri dell’amministratore il rispetto degli obblighi contributivi e fiscali” .  Inoltre, accertato il mancato pagamento delle imposte, spetta all’amministratore dimostrare la suamancanza di colpa, essendosi costantemente e condivisibilmente affermato in giurisprudenza dilegittimità che, in caso di violazione degli obblighi specifici derivanti dall’atto costitutivo o dalla legge,la responsabilità degli amministratori di una società può essere esclusa solo nel caso, previsto dall’art.1218 c.c., in cui l’inadempimento sia dipeso da causa non imputabile e che non poteva essere evitata nésuperata con la diligenza richiesta al debitore. Merita infine di essere ricordato – al fine di circoscrivere le situazioni che possono escludere laresponsabilità dell’amministratore – anche quell’orientamento della giurisprudenza penale di legittimità secondo cui una situazione di crisi di liquidità del contribuente (nel caso di specie un’impresa) può giustificare e comportare l’assoluzione solo se questi sia in grado di provare che per lui non sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie al corretto e puntuale adempimento delle obbligazionitributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni dirette a consentire il recupero dellesomme necessarie>>

Responsabilità organizzativa per gli ammninistratori di società: utile sentenza statunitense (il caso Boeing)

Istruttiva sentenza statunitense nel caso Boeing circa i deficit organizzativi della Boeing , che non permisero agli amministratori di cogliere  i difetti del velivolo  <A 737 MAX>, causa di due disastri aerei nel 2018 e nel 2019.

Si tratta della corte del Delaware 07.09.2021, C.A. No. 20190907MTZ , IN RE THE BOEING COMPANY DERIVATIVE LITIGATION. giudice Zurn.

Negligenze rilevate, p. 74 ss:

  • The Board had no committee charged with direct responsibility to monitor airplane safety
  • The Board did not monitor, discuss, or address airplane safety on a regular basis.
  • The Board had no regular process or protocols requiring management to apprise the Board of airplane safety; instead, the Board only received ad hoc management reports that conveyed only favorable or strategic information
  • Management saw red, or at least yellow, flags, but that information never reached the Board.
  • the pleadingstage record supports an explicit finding of scienter.

La corte ricorda (p. 73) le analoghe negligenze  rilevate dalla corte suprema del Delaware in  Marchand v. Barnhill nel 2019, allorchè un azienda alimentare mise in circolazione cibo affetto da batteri:

  • no board committee that addressed food safety existed;
  • no regular process or protocols that required management to keep the board apprised of food safety compliance practices, risks, or reports existed;
  • no schedule for the board to consider on a regular basis, such as quarterly or biannually, any key food safety risks existed;
  • during a key period leading up to the deaths of three customers, management received reports that contained what could be considered red, or at least yellow, flags, and the board minutes of the relevant period revealed no evidence that these were disclosed to the board;
  • the board was given certain favorable information about food safety by management, but was not given important reports that presented a much different picture; and
  • the board meetings are devoid of any suggestion that there was any regular discussion of food safety issues.

Inoltre, punto importante nel diritto USA, i due aspetti posti dalla basilare sentenz aCaremark del 1996 sulla resposanbilit organizzativa (nessun sistema di controllo; mancato controllo di coretto funzionameton del sistema essitent) , possono coesistgere: <<classic prong two claim acknowledges the board had a reporting system,
but alleges that system brought information to the board that the board then
ignored.320 In this case, Plaintiffs prong two claim overlaps and coexists with their prong one claim; Plaintiffs assert the Board ignored red flags at the same time they utterly failed to establish a reporting system
>>, p. 93

I guai alla Boeing non sono però terminati lì: evidentemente c’è ancora una carenza strutturale organizzativa . All’inizio del 2024 da un Boeing 737 Max in volo  si è staccato uno sportellone laterale, gettando i passeggeri nel panico.-

La categoria della inesistenza delle delibere societarie non è stata espunta dalla riforma del 2003 (più un cenno sulla consensuslità od obbligatorietà della cessione di titoli azionari)

Cass. 26.199 del 27.09.2021, rel. Campese, interviene sulla seguente fattis n.pecie concreta: l’assemblea, cui partecipà un solo socio -sè dicente tale- al 99,5 % poi rivelatosi privo di titolarità (e non solo di legittimazione), può dirsi esistente e dunque soggetta a nullità/annullabilità? O è invece radicalmente inesistente, con la conseguente non assoggettabilità ai termini posti per le due invalidità?

La risposta esatta è la seconda: <<ad avviso di questo Collegio si rivela preferibile, tra le descritte opinioni dottrinali, quella incline a configurare sebbene in via del tutto residuale – la categoria della inesistenza della Delibera assembleare esclusivamente allorquando lo scostamento della realtà dal modello legale risulti così marcato da impedire di ricondurre l’atto alla categoria stessa di deliberazione assembleare, e cioè in relazione alle situazioni nelle quali l’evento storico al quale si vorrebbe attribuire la qualifica di deliberazione assembleare si è realizzato con modalità non semplicemente difformi da quelle imposte dalla legge o dallo statuto sociale, ma tali da far sì che la carenza di elementi o di fasi essenziali non permetta di scorgere in esso i lineamenti tipici dai quali una deliberazione siffatta dovrebbe esser connotata nella sua materialità. E tanto in linea di sostanziale continuità con quanto già sancito, sebbene in fattispecie regolata dalla normativa ante riforma, da Cass. n. 7693 del 2006, la quale, non aveva mancato di evidenziare come le novità legislative di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003, non valessero “comunque ad espungere del tutto dall’ordinamento societario la figura della deliberazione inesistente, quanto meno nei casi nei quali si debba parlare di inesistenza materiale, prima ancora che giuridica, di essa”. Nella fattispecie ivi esaminata, nella quale era mancata non soltanto la separata convocazione, quanto la costituzione stessa di un’assemblea degli obbligazionisti sottoscrittori del prestito convertibile emesso da una società, e nella quale la deliberazione concernente la modifica delle condizioni di tale prestito era stata assunta non già semplicemente con il concorso anche di soggetti non legittimati, bensì unicamente con il voto di estranei al prestito da modificare ed in assenza totale dei soli obbligazionisti legittimati, era stata ritenuta mancante la materialità stessa della riunione assembleare – o, quanto meno, di una riunione assembleare riferibile agli obbligazionisti sottoscrittori di quel prestito – “non diversamente da quanto accadrebbe se si pretendesse di qualificare come assemblea degli azionisti di una società un’adunanza cui partecipino soltanto soggetti che di quella società non sono invece affatto soci”>>, § 2.4.11.

Principio di diritto: <<E’ inesistente la Delibera assembleare di società di capitali assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio della stessa”>, § 5.1

Poisizione condivisibile: che almeno nel caso sub iudice vada ravvisata l’inesistenza o meglio che non si possano far scattare i termini per le impugnazioni di nullità e annullabilità, mi pare sicuro.       Più difficile è capire  in quali altri casi ciò possa ravvisarsi.

La SC poi prende posizione sull’individuazione del momento traslativo nella cessione di titoli azionari e opta per la teoria consensualistica: il transfert (iscrizione a libro soci) , allora, è solo esecuzione di un  contratto già perfezionato.

Anche qui è condivisibile.

Di fronte ad una regola generale come l’art. 1376 cc, le deroghe devono essere espresse o poggiare su forti considerazioni teleologiche (da vedere se potrebbero essere pattuite nel contratto sociale). Nessuno dei due casi ricorre nel TUF (art. 83 quater spt.): per cui anche per i titoli dematerializzati continua ad operare la cit. disposizione codicistica (conf. Martorano F., Titoli di credito dematerializzati, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu Messineo, Giuffrè, 2020, 144 ss e spt. 161 ss ).

Non vale in contrario addure le disposizioni ex art. 30/1 e 32/1 d. lgs. 213 del 1998, oggi art . 83/1 e 83 quinquies/1 TUF: non è esatto che esse o si ripetono o dicono cose diverse, al punto che ne segue ineluttabilmente  l’efficacia costitutiva dell’annotazione nei registri dell’intermediario (così invece Cian M., Titoli dematerializzati e <circolazione cartolare>, Giuffrè, 2001, 306 ss e spt. 310-314 e poi più sinteticamente in Cian , Il trasferimento dei titoli dematerializzati tra consensualismo e anticonsensualismo, nota a Cass. pen. 23.02.2009 n. 7769, Giur. com.., 2010, II, 80 ss; per Cian il consenso è ad effetto solo obbligatorio, mentre il trasferimento è prodotto dal compimento della c.d. operazione di giro e cioè dall’addebtito/accredito nei conti del venditore e risp.  dell’compratore e di eventuali intermediari). La prima disposizione si limita a dire che in generale è imprescindibile il ruolo dell’intermediario, senza specifcare per quali aspetti: non a caso la rubrica dell’articolo recita solo <Attribuzioni della societa’ di gestione e dell’intermediario)> (oggi: <dei depositari centrali e degli intermediari>). La seonda invece precisa per quali aspetti e cioè regola i diritti emergenti dall’intervento dell’intermediario (mera legirttimazione): non a caso la rubrica è “Diritti del titolare del conto” (questa è la sedes materiae della disciplina dei diritti sorgenti dalla registrazione presso l’intermediario).

Piuttosto andrebbe esaminato se fa cambiare la suggerita impostazione la odierna sosttuizione della <chartula> con la registrazione informatica (esame bencondotto da Cian, 283 ss e spt. 289 ss.). Ma allo stato non parrebbe: la seconda sostotuisce .

Esame istituzionale anche in Menti , Ex chartula. Nozioni introduttive ai titoli di credito, Giappichelli, 2011, 191 ss. Per la teoria consensualistica De Luca N., Circolazione delle azioni e legittimazione dei soci, Giappichelli, 2007, 152 (manca però esame specifico delle peculiarità caratterizzanti la dematerializzazione)

Requisiti della delibera dei soci che promuove l’azione contro gli amministratori (art. 2393 cc)

Se ne occupa Cass. 23.07.2021 n. 21.245, rel. Caradonna.

Premesso che <costituisce una condizione dell’azione, la cui sussistenza va verificata d’ufficio dal giudice e che, come tale, è sufficiente che sussista al momento della pronuncia della sentenza che definisce il giudizio (Cass., 26 agosto 2004, n. 16999; Cass., 11 novembre 1996, n. 9849)>, entra nel merito del caso.

La delibera dei soci era del seguente tenore: <<dare mandato al legale di verificare se ci siano gli estremi per un’azione di responsabilità nei confronti di tutto il precedente Consiglio di Amministrazione, dei Consigli ancora precedenti, oltre che dei Collegi dei sindaci, che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi e, nel caso ci siano i presupposti di dare, fin da ora, formale mandato al legale di intraprendere tutte le azioni del caso».>>

Correttamente , dice la SC, il Tribunale ha affermato che <<l’assemblea dei soci non avesse espresso la consapevole volontà di adire l’autorità giudiziaria per promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci, proprio in considerazione del contesto complessivo della riunione del 28 ottobre 2011, che aveva visto come oggetto genericamente il grave dissesto finanziario creato dai precedente consiglio di amministrazione e che aveva deliberato di dare mandato al legale di verificare la sussistenza dei presupposti dell’azione di responsabilità «nei confronti di tutto il precedente Consiglio di amministrazione, dei Consigli ancora precedenti oltre che dei Collegi dei sindaci che avevano operato dalla costituzione della Cooperativa ad oggi» e di intraprendere, in presenza dei presupposti, «tutte le azioni del caso», nella mancata indicazione, per l’appunto, non solo degli addebiti mossi agli ex amministratori, ma anche dei soggetti contro i quali si sarebbe concretamente agito, elementi che avrebbero consacrato in modo formale e inderogabile l’espressione della volontà della società di cui, per quanto già detto, non sono ammessi equipollenti. E ciò anche in ragione della duplice considerazione spiegata dai giudici di merito che gli addebiti poi azionati nella causa in esame non coincidevano con quelli sui quali il Presidente della Cooperativa aveva specificamente relazionato all’assemblea del 28 novembre 2011 e che l’indicazione del totale dei debiti e del disavanzo negativo di euro 3.918.630,00 era stata genericamente rimproverata al precedente Consiglio di Amministrazione. 9 Corte di Cassazione – copia non ufficiale

2.7  Questa Corte, al riguardo, ha ritenuto valida l’autorizzazione di un’assemblea di una Cooperativa che aveva esteso l’autorizzazione all’azione di responsabilità «per tutte quelle negligenze ed addebiti che emergono nel corso del giudizio», ma dopo una prima autorizzazione riguardante l’azione di responsabilità per il danno derivante dai pagamenti effettuati in favore del Consorzio appaltatore al di fuori degli stati di avanzamento dei lavori, (Cass., 10 settembre 2007, n. 18939). E’ stato, pure, affermato conriguardo alla sottoposizione di istituto di credito ad amministrazione straordinaria, cresta -C–orte–h-a-afferrriatq che l’autorizzazione rilasciata dalla Banca d’Italia al commissario straordinario ai sensi dell’art. 72, quinto comma, del d.lgs. n. 356/1990, per l’esercizio dell’azione di responsabilità dei disciolti organi sociali, copre tutte le pretese ed istanze strumentalmente pertinenti al conseguimento dell’obiettivo del giudizio cui il provvedimento si riferisce, anche se di natura accessoria e consequenziale, non essendo necessario che contenga nel dettaglio tutte le iniziative processuali da intraprendere ma esclusivamente l’enunciazione degli elementi essenziali, oggettivi e soggettivi, dell’azione (Cass., 12 giugno 2007, n. 13765).

2.8 Sussiste, dunque, la denunciata carenza di autorizzazione all’esercizio dell’azione di responsabilità, essendo evidente che, la delibera societaria in esame, mancando, alla data del 28 ottobre 2011, della individuazione degli elementi costitutivi dell’azione di responsabilità, sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo, essendo stato dato mandato al legale di verificare se vi fossero gli estremi per «le azioni del caso» nei confronti di una pluralità di organi collegiali (consigli di amministrazione e collegi sindacali in carica fin dalla data di costituzione della società), non era idonea ad esprimere una volontà, compiutamente informata, dei soci.>>

Se la annotino gli operatori.

Stipula di transazione, diligenza gestoria del liquidatore di s.r.l. e limiti di sindacabilità giudiziale

Trib. Milano 28.06.2021, sent. n. 5546/2021, rg 54438/2017, rel. Marconi, decide sulla diligenza o meno del liquidatore nell’aver stipulato due transazioni: la prima con un debitore, la seconda con il locatore , che contestava il recesso da un  rapporto locatizio immobiliare.

La censura delle transazioni è sempre difficile, caratterizzando il contratto lo scambio tra aliquid datum e aliquid retentu per por fine alla lite ( si pensi alla nota questione della sua revocabilità).

Ebbene, così motiva:

<<Con riferimento alla valutazione giudiziale dell’opportunità della conclusione da parte della liquidatrice delle transazioni  che la società attrice  considera  fonte di danno, vengono in rilievo i principi espressi dalla giurisprudenza in materia di limiti al sindacato del merito delle scelte di gestione degli amministratori, essendo, analogamente, riservata in linea generale alla discrezionalità del liquidatore la valutazione  della  convenienza  delle  scelte  relative  alla  liquidazione  dell’attivo  patrimoniale  o  alle modalità di estinzione dei debiti sociali.  Come è noto, il merito delle scelte di gestione adottate dagli amministratori di società è tendenzialmente  insindacabile  in  sede giudiziale (c.d. “business  judgment  rule”), salvo il limite della palese irragionevolezza di tali scelte, desumibile dal fatto che l’amministratore non abbia usato le necessarie cautele e assunto le informazioni rilevanti (Cass. 12 febbraio 2013, n. 3409; Cass. 22 giugno 2017,  n.  15470).  Si  tratta  di  una  valutazione  da  condurre  necessariamente  ex  ante,  non  potendosi affermare  l’irragionevolezza  di  una  decisione  dell’amministratore  per  il  solo  fatto  che  essa  si  sia rivelata  ex  post  economicamente  svantaggiosa  per  la  società>>

Tutto bene, nessuna novità. Segnalo l’importanza della prospettiva ex ante (prognosi postuma, potremmo dire).

<< In  particolare,  non  può  essere  ritenuto responsabile l’amministratore che, prima di adottare la scelta gestoria contestata, si sia legittimamente affidato  alla  competenza  di  figure  professionali  specializzate  (Trib.  Milano,  15  novembre  2018,  n. 11476)>>: precisazione interessante per gli operatori.

<<  Applicando  tali  principi  anche  alle  scelte  di  convenienza  economica  a  cui  è  chiamato  il  liquidatore nell’assolvimento del suo incarico, l’accertamento di una responsabilità della Lobova nei confronti della  Mechel  Service presuppone, dunque, che siano provate tanto l’irragionevolezza ex  ante  delle transazioni  concluse  dalla  liquidatrice,  quanto  il  danno  patito  ex  post  dalla  società  per  effetto  di  tali accordi.>> : ancora sulla prospettiva ex ante.

<<Quanto alla prima transazione, non vi è prova dell’asserito danno. Non solo non è stato dimostrato che la società debitrice Sifer fosse in grado di pagare l’intero credito nel momento in cui, il 5 dicembre 2014, la liquidatrice con l’assistenza del legale della società ha concluso  la  transazione,  ma  è  emerso dalla documentazione prodotta dalla convenuta che la società debitrice aveva chiuso l’ esercizio  2015 con un patrimonio netto negativo per € 5.420.415 (doc. 20 convenuta, p. 23) e che in data 29 luglio 2016 era stata messa in liquidazione (doc. 21 convenuta, p. 4).  Non  emerge,  quindi,  ex  post  [ex post? che c’entra se la prospettiva  è ex ante?] alcun  danno  subito  dalla  società  Mechel  per  effetto  della  transazione conclusa  con  la  Sifer,  il  cui  dissesto  finanziario  avrebbe  con  ogni  probabilità  impedito  alla  società attrice  di ottenere,  all’esito del  giudizio di opposizione, il pagamento  anche solo parziale del suo credito.  Né  si  può  ritenere  ex  ante  irragionevole  la  stipulazione  della  transazione:  una  simile  conclusione potrebbe essere raggiunta solo qualora fosse praticamente inesistente il rischio di perdere la causa. Nel caso  di  specie,  invece,  l’esecutorietà  del  decreto  ingiuntivo  era  stata  sospesa  dal  giudice dell’opposizione; circostanza questa che faceva apparire tutt’altro che scontato un esito del contenzioso favorevole a Mechel Service (v. doc. 19 di parte convenuta a pag. 2). Anche  la  stipulazione  della  seconda  transazione  non  può  ritenersi  irragionevole  ex  ante.  La  natura tombale  della  precedente  transazione  con  21ABB  era  opinabile  in  relazione  ai  nuovi  vizi  occulti lamentati in un momento successivo al precedente accordo transattivo e riconosciuti dallo stesso perito  consultato  dalla  liquidatrice  (  v.  doc.  3  convenuta).  In  ogni  caso,  poi,  sarebbe  stato  necessario  un giudizio, potenzialmente di lunga durata e in ogni caso dall’esito incerto, perché fosse accertato il fatto che la precedente transazione impediva la proposizione delle nuove richieste risarcitorie.  L’ammontare della pretesa risarcitoria riconosciuto con la transazione (€ 294.000), poi, è sensibilmente inferiore sia ai danni lamentati da 21ABB (€ 580.000, v. doc. 12 convenuta), sia alla somma indicata dallo stesso perito incaricato di stimare i danni dalla Mechel  (€ 414.000, v. doc. 3 convenuta).  Comunque,  la  decisione  di  transigere  è stata presa dalla Lobova all’esito della consultazione con un avvocato,  come  emerge  da  una  comunicazione  tra  lei  e  Denis  Shamne  (amministratore  della  società controllante  dell’attrice)  a  cui  riferisce  che  «L’avvocato italiano consiglia di transigere»  (doc.  12 attrice).  Come precedentemente ricordato, non può essere ritenuta negligente la condotta dell’amministratore o del  liquidatore  che,  nell’adozione  delle  scelte  di  gestione,  acquisisca  prudentemente  il  giudizio  di esperti del settore prima di decidere.  La liquidatrice convenuta, nel caso in esame, commissionando la perizia sul danno e consultandosi con un  avvocato  esperto  dell’ordinamento  giuridico  italiano,  ha  adottato  tutte  le  cautele  necessarie  a prendere  una  decisione  informata  e  consapevole  così  che  la  convenienza  economica  della  scelta adottata non è sindacabile in sede giudiziale>>.

Spunti molto interessanti per i consulenti in caso di ipotesi transattive.

Studio della Commissione UE sullo sviluppo di strumenti per inserire i fattori ESG nelle gestioni bancarie

Lo studio explora <the integration of ESG factors into banks’ risk management processes, business strategies and investment policies, as well as into prudential supervision>>.

E’ del 27 agosto 2021 ed è consultabile qui l’executive summaryqui il full text (final study).

E’ stato condotto per conto della Commissione  UE da una divisione di Black Rock (BlackRock Financial Markets Advisory), uno dei più grossi fondi di investimento mondiali.

L’executive summary è agevolmente leggibile: le scelte grafiche sono azzeccate. Per avere un’idea sufficientemente precisa ci si può limitare anche ai grassetti ad inizio paragrafo.

La riflessione è critica circa la capacità delle banche di gestire i rischi ESG (v. <Conclusions>, p. 8/9 del pdf).

Si v. spt. le Observed challenges: <<Data challenges and a lack of common standards continue to be seen as the most prevalent challenges facing banks and supervisors alike. ESG data are the cornerstone for performing a wide range of ESGrelated activities, including risk measurement, product labelling, portfolio steering, and disclosure. The absence of common standards for ESG-related issues impedes comparability of information received and disclosed by banks, which creates information asymmetry amongst market participants >>

Infine, i suggerimenti (Principles of best practice for integrating ESG in risk management and prudential supervision ) , sostanzialmente miranti ad aumentare la misurabilità dei KPI Key Performance Indicators e a darvi trasparenza (ovvio, essendo queste le carenze individuate nella precedente parte dello studio).

La prestazione dei sindaci di s.p.a. è unitaria oppure frazionata per i vari esercizi?

Interessante questione (anche per i profili teorici: l’individuazione della  prestazione dovuta) decisa da Cass. 6027 del 04.03.2021, est. Dolmetta.

Sindaci di spa chiedono l’ammissione al passivo dei loro compensi per gli anni 2014-2017. Il fallimento rigetta, affermando un inadempimento ai loro doveri per tutto il 2014 (presumibilmente perchè inadimplenti non est adimplendum, art. 1460 cc).

Su opposizione dei sindaci, il Tribunale di Vicenza limita il rigetto dell’insinuazione al 2014 (unico esercizio per il quale erano state dedotte le inadempienze), e lo esclude invece per il 2015-2017. Ciò perchè le prestazioni dei sindaci via via erogate, esercizio per esercizio, sono da ritenere reciprocamente autonome.

La tesi è confermata dalla SC, adita dal Fallimento.

la Sc imposta così la questione dedottale: << Segue alle osservazioni appena compiute che il problema posto dal motivo di ricorso viene nella sostanza a focalizzarsi  sul punto se le obbligazioni di controllo – che l’ordinamento vigente pone, ex art. 2403 cod. civ., in capo ai sindaci di società per l’intera durata del loro ufficio – siano passibili di una considerazione solo «globale e unitaria», quanto al riscontro del loro adempimento ovvero inadempimento. Detto altrimenti, è da chiedersi, con diretto e immediato riferimento alla fattispecie che è qui concretamente in esame, se il riscontro di un inadempimento materialmente caduto nell’esercizio 2014 porti con sé (oppure no) una violazione degli obblighi di controllo sindacale per sua propria natura destinata a protrarsi per l’intera durata dell’ufficio commesso ai sindaci, sì che questi ultimi non abbiano diritto a percepire nessun compenso per l’attività loro affidata>>, § 9.

Ed ecco la risposta:

<<Al quesito si deve fornire risposta di segno negativo: l’adempimento della prestazione di controllo, a cui sono tenuti i sindaci, appare in effetti suscettibile di essere considerato partitamente, tempo per tempo. Con la conseguenza che, per la parte ora in esame, il motivo presentato dal ricorrente si manifesta infondato. – Per questo proposito è prima da tutto da rilevare, su un piano generale, che le obbligazioni di carattere continuativo ben possono rimanere – pure nel riflesso della loro dimensione temporale – in parte adempiute e in parte inadempiute. Sul piano del diritto positivo decisiva risulta, al riguardo, la constatazione che la norma dell’art. 1458, comma 1, cod. civ. stabilisce – con riguardo, appunto, allo specifico caso della risoluzione dei «contratti a esecuzione continuativa» – che l’«effetto della risoluzione non si estende alla prestazioni già eseguite». Questo – è anche opportuno per chiarezza esplicitare – tanto nel caso in cui a un primo periodo di adempimento si contrapponga seccamente un successivo periodo di solo inadempimento, quanto in quello in cui le due situazioni vengano intermittenti ad alternarsi. Il che, naturalmente, non significa che non possa assumere rilievo pure la specifica collocazione temporale in cui, nel concreto, viene a porsi il periodo di inadempimento di un’obbligazione continuativa. Ciò, tuttavia, è destinato a poter accadere per un profilo diverso da quello del mero riscontro di un avvenuto inadempimento: come rappresentato, in particolare, dalla valutazione dell’efficacia causale del medesimo e, dunque, pure sulla misura del danno risarcibile (v. già sopra, nel n. 8)>>, §§ 10-11.

Sulla responsabilità dei sindaci di cooperativa s.r.l.

La Cassazione interviene sul tema con sentenza condivisibile (Cass. sez. I – 11/12/2020, n. 28357, rel. Terrusi), anche se priva di spunti di reale interesse

L’addebito consisteva nel non aver curato che la somma, pur incassata dal liquidatore nel conto corr. sociale, andasse poi effettivamente “a buon fine” e cioè restasse a disposizione per l’attività sociale. Infatti il fallimento successivo non aveva più reperita  detta somma (oltre 80 mln euro),  pur transitata (versata) sul conto bancario sociale.

La corte eroga i soliti e condivisibili insegnamenti sulla responsabilità dei sindaci:

  • <<I doveri di controllo imposti ai sindaci sono certamente contraddistinti da una particolare ampiezza, poichè si estendono a tutta l’attività sociale, in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali>>, sub IV
  • Questo accade, in particolare, <<quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità (ex aliis Cass. n. 13517-14, Cass. n. 23233-13), poichè in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni (cfr. di recente Cass. n. 18770-19)>>, ivi
  • La condanna richiede la prova <<di tutti gli elementi costitutivi del giudizio di responsabilità. E quindi: (i) dell’inerzia del sindaco rispetto ai propri doveri di controllo; (ii) dell’evento da associare alla conseguenza pregiudizievole derivante dalla condotta dell’amministratore (o, come nella specie, del liquidatore); (iii) del nesso causale, da considerare esistente ove il regolare svolgimento dell’attività di controllo del sindaco avrebbe potuto impedire o limitare il danno>>, sub V.
  • Il nesso di causa , in particolare, <<va provato da chi agisce in responsabilità nello specifico senso che l’omessa vigilanza è causa del danno se, in base a un ragionamento controfattuale ipotetico, l’attivazione del controllo lo avrebbe ragionevolmente evitato (o limitato). Il sindaco non risponde, cioè, in modo automatico per ogni fatto dannoso che si sia determinato pendente societate, quasi avesse rispetto a questo una posizione generale di garanzia. Egli risponde ove sia possibile dire che, se si fosse attivato utilmente (come suo dovere) in base ai poteri di vigilanza che l’ordinamento gli conferisce e alla diligenza che l’ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato>>, ivi

Nel caso , il sindaco , essendosi dimesso l’11 luglio mentre la somma era stata messa in banca a fine maggio e a fine giugno precedenti, non aveva avuto il tempoi di raccogliere camapanelli di allarme sul fatto che dalla banca poi non sia stata concretamente messa a disposizione dell’impresa sociale (ma di terzi sine titulo).

O meglio, non è stata data prova di tali negligenze. Infatti <<il difetto di consequenzialità è infatti evidente, in quanto è pacifico che la T. aveva cessato dalla carica dopo pochi giorni dalla riscossione delle somme (l’11-7-1995) e niente è indicato, in motivazione, onde potersi sostenere che, medio tempore, le somme, regolarmente versate in conto, fossero state distratte, o alternativamente che vi fossero stati pagamenti cui associare ipotetiche anomalie d’impiego suscettibili di essere rilevate dal sindaco ancora in carica.   Tutto questo mina dalle fondamenta il ragionamento della corte del merito, poichè, ai sensi dell’art. 2407, non consente di giustificare – se non in termini assolutamente apodittici – il concorso nell’illecito del liquidatore>>, sub VI.

Si notino i tempi processuali: – fatti del 1995; – notifica della citazione di primo grado del maggio 2003; – sentenza di appello del 2014; – sentenza di Cassazione del dicembre 2020.

Utili (anche se non sorprendenti) chiarimenti per i sindaci per evitare il concorso -omissivo- in bancarotta con gli amministratori

Cass. pen, V, n. 156 del 05.01.2021 (ud. 24.11.2020), rel. Scordamaglia,  fornisce qualche chiarimento ai sindaci per evitare il concorso omissivo in bancarotta con gli amministratori.

Questa la fattispoecie concreta: <<limitatamente alla condotta di distrazione avente ad oggetto il conferimento, in data 4 dicembre 2009, di tre complessi immobiliari di proprietà della fallita (quelli ubicati in (OMISSIS)) alla GPI Srl, a fronte del riconoscimento in favore della cedente di una partecipazione nel capitale sociale della cessionaria pari al 68,25 %, per un valore di circa 13 milioni di Euro a fronte di un valore dei beni ceduti non inferiore a 20 milioni di Euro, partecipazione che, in data 21 gennaio 2010, veniva ceduta alla MILLENNIUM Capital Partecipation SA, società capogruppo della “holding” G., a fronte della compensazione con crediti inesistenti vantati nei confronti della “(OMISSIS)”. Operazione complessiva, questa, che aveva luogo allorchè i tre imputati rivestivano simultaneamente il ruolo di revisori contabili della “(OMISSIS)” ed erano anche componenti del collegio sindacale di altre società del gruppo ” G.”, segnatamente la BMC e la MILLENNIUM Italia Spa>>, § 1.

Appello MIlano aveva osservato, rigettando l’impugnazione dei sindaci: <<gli imputati, per via di tale risalente osservatorio privilegiato, non potevano non accorgersi del programma illecito, ordito da G.G. e da G.I.F., domini del gruppo, per depauperare il patrimonio della “(OMISSIS)”, essendo stata l’operazione negoziale, che aveva portato a tale risultato, contrassegnata da indici di sospetto di tale conclamata evidenza da non lasciare loro alcuna discrezionalità nell’adempimento dell’obbligo di predisporre una pronta ed efficace reazione. Il conferimento (in data 4 dicembre 2009) del patrimonio immobiliare della “(OMISSIS)” in favore della GPI aveva avuto luogo, infatti, previa svalutazione del valore dello stesso nell’ordine del 31 % in assenza di giustificazioni e nonostante che il collegio sindacale avesse certificato (in data 1 dicembre 2009) una perdita di esercizio pari a circa 2 milioni di Euro; inoltre, nel verbale di assemblea del 29 novembre 2009, nel quale l’operazione era stata messa a punto, non solo non si faceva cenno alla finalità di quotazione in borsa della GPI, indicata come causa concreta del negozio, ma era anche espressamente previsto che entro poco tempo (40 giorni) il pacchetto azionario della GPI, detenuto dalla “(OMISSIS)”, sarebbe stato ceduto alla capogruppo lussemburghese MILLENNIUM Capital Partecipation SA, di modo che “(OMISSIS)” Srl. non avrebbe potuto neppure conseguire il vantaggio di “un’accresciuta capacità di reddito dell’impresa nei confronti del sistema bancario”, indicato come scopo sottostante dell’operazione.>>, § 1.1.

La difesa dei sindaci, per cui non avrebbero potuto percepure nulla circa le frodi in atto, viene così respinta: <<ai sensi dell’art. 2403 c.c. e ss., i poteri-doveri dei sindaci delle società di capitali non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale (Sez. 5, n. 12186 del 18/02/2019, Tritto, non massimata; Sez. 5, n. 18985 del 14/01/2016, A T, Rv. 267009; Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 17393 del 13/12/2006 – dep. 08/05/2007, Martone, Rv. 236630), comprendendo, in effetti, il riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile (Sez. 5, n. 14045 del 22/03/2016, De Cuppis, Rv. 266646; Sez. 5, n. 8327 del 22/04/1998, Bagnasco, Rv. 211368). Ciò, ulteriormente, comporta che la loro responsabilità penale è stata correttamente ravvisata a titolo di concorso omissivo secondo il disposto di cui all’art. 40 c.p., comma 2, cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che, inerisce alla loro funzione, sub specie dell’equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire ed il cagionarlo. Controllo che, invero, non era circoscritto all’operato degli amministratori, ma si doveva estendere a tutta l’attività sociale, con funzione di tutela non solo dell’interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e non poteva non ricomprendere anche l’obbligo di segnalare tempestivamente tutte le situazioni suscettibili di mettere a repentaglio la prosecuzione dell’attività di impresa e l’assicurazione della garanzia dei creditori (Sez. 1 civ., n. 2772 del 24/03/1999, Rv. 524490)>>, § 1.3 (si legge 13 nella banca dati ma dovrebbe essere 1.3).

Circa le blande iniziative (mere richieste di chiarimenti agli amministratori) assunte a fronte di campaneli di allarme gravi, la SC osserva: <<ai propri compiti il Collegio sindacale avrebbe dovuto adempiere non solo con il potere di denuncia al Tribunale di cui all’art. 2409 c.c., u.c., (previsto in ipotesi di fondato sospetto di gravi irregolarità compiute dagli amministratori nella gestione della società suscettibili di arrecare danno alla società stessa), ma anche, e prim’ancora, con l’attivazione degli altri poteri d’intervento all’uopo previsti dalla legge: segnatamente, con il compimento di “atti di ispezione e controllo”, oltre che con la richiesta di informazioni agli amministratori, (art. 2403-bis c.c.) e con la convocazione dell’assemblea societaria (art. 2406 c.c.) (Sez. 5, n. 44107 del 11/05/2018, M, Rv. 274014).>>, § 2.

Infatti ricordano i giudici <<per la configurabilità della responsabilità dei sindaci ex art. 2407 c.c., comma 2, “per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”, non è richiesta l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tali doveri, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c. (Sez. 1 civ., n. 16314 del 03/07/2017, Rv. 644767; Sez. 1 civ., n. 13517 del 13/06/2014, Rv. 631305), in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l’ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.>>, § 2.

Si può però osservare che l’art. 2409 non era applicabile alle SRL all’epoca dei fatti, essendolo solo ora dopo il d. lgs. 14 del 2019, art. 379/2 (quindi tornandosi al regime ante 2003)