Sulla rivedibilità del giudicato portato dal decreto ingiuntivo, se non ha esaminato l’abusività di clausola a danno del consumatore

Il noto intervento della Corte di giustiza sul tema (che sconvolge l’ordinamento processuale per il quale il giudicato non è più rivedibile) viene applicato (per la prima volta, a quanto mi consta) dall’ interessante ragionamento condotto da a Trib. Milano 17.01.2023 n° 298/2023, RG 12984/2020, g.u. Ilaria Gentile.

<<Orbene, alla luce dei principi posti dalla CGUE nelle citate quattro sentenze gemelle, il Giudice qui adito è tuttavia chiamato a verificare, emergendo ex actis l’esistenza di una clausola che appare abusiva in contratto concluso con consumatore, anche a fronte della sollecitazione pervenuta dal consumatore, se il provvedimento giurisdizionale in tesi passato in giudicato contenga una motivazione -anche sommaria- da cui si ricavi che il Giudice del monitorio abbia considerato: se GIANNI era un consumatore, se nel contratto (lettera di impegno del 1.12.2016) posto a fondamento dell’ingiunzione contro GIANNI erano presenti clausole potenzialmente vessatorie ai sensi degli artt. 33 e ss d. lgs 6.09.2005 n. 206, Codice del consumo e, in caso positivo, se ne abbia escluso la vessatorietà con motivazione, anche sommaria, avvisando il consumatore ingiunto che tali clausole erano state valutate come non abusive e che il consumatore sarebbe decaduto definitivamente dal poterne far valere l’abusività se non si fosse opposto nel termine di 40 giorni.
Tanto si ricava in particolare dalla sentenza CGUE del 17.05.2022 C-600/19, Ibercaja Banco.
In altre parole, secondo l’insegnamento delle citate sentenze gemelle della CGUE, immediatamente applicabile al diritto nazionale ai rapporti non esauriti, le norme nazionali che prevedono l’intangibilità del giudicato di cui a decreto ingiuntivo non rempestivamente opposto (art. 2909 cc e 647 cpc), in relazione a decreto ingiuntivo privo di espressa motivazione sulla non abusività delle clausole contenute nei contratti posti a fondamento della decisione, contrastano con gli artt. 6 e 7 dir. 93/12/CEE e art. 47 Carta, atteso che a mente dell’art. 6 della direttiva le clausole abusive non sono opponibili al consumatore e a mente dell’art. 7 l’ordinamento nazionale deve fornire mezzi adeguati e efficaci per farne cessare l’inserzione nei contratti e le norme processuali nazionali per l’esame del carattere abusivo delle clausole non devono essere tali da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto europeo (pricipio di effettività).
Sembra insomma al Giudice che i principi posti dalla CGUE nelle citate sentenze gemelle impongano a ben vedere una revisione della consolidata giurisrudenza nazionale, sopra citata, in materia di giudicato implicito, atteso che il giudicato implicito concernente la validità di clausole abusive in contratti con consumatori -alla luce delle sentenze CGUE del 17.05.2022- non può più considerarsi realmente stabile, essendo soggetto, a condizione che il consumatore non sia completamente inerte, a possibile revisione da parte di altro giudice.
Difatti, in applicazione dei principi posti dalla CGUE nelel citate quattro sentenze gemelle, a condizione che il consumatore non sia rimasto completamente inerte, il Giudice che sia investito dell’esecuzione del provvedimento giurisdizionale o dell’impugnazione, deve poter essere in grado di rilevare d’ufficio l’abusività di quelle clausole non espressamente esaminate dal precedente giudice, anche se ciò comporti la disapplicazione delle nrme processuali interne che ostano a tale controllo, perché si tratta di norme processuali che rendono impossibile la tutela giurisdizionale dei diritti conferiti dal diritto europeo al consumatore.
A ben vedere, secondo l’insegnamento della Corte di Lussemburgo, non è affatto sufficiente a ritenere riconosciuta una tutela effettiva al consumatore, che la verifica della validità delle clausole abusive sia presumibile nel decreto ingiuntivo passato in giudicato, ancorchè non esplicitata in sommaria motivazione, in quanto passaggio logico necessario per la decisione del giudice, ma occorre che sia una verifica effettiva, cioè realmente avvenuta, e quindi esternata in una motivazione del provvedimento, ancorchè sommaria.
Orbene, nel caso qui in esame, si deve accertare che il decreto ingiuntivo n. 25123/2019 non contiene alcuna motivazione sulla validità o meno della clausola di deroga della competenza contenuta nella scrittura cd “lettera di impegno” del 1^.12.2016, posta a fondamento della pretesa ingiuntiva, nonostante tale clausola sia in plateale violazione dell’art. 33 co. 2 lett. u) Codice del consumo, men che meno il decreto contiene una motivazione in ordine alla natura di consumatore di GIANNI e in ordine alla sussistenza della competenza per territorio del Tribunale di Milano con riferimento al consumatore ingiunto.
Di conseguenza, alla luce dei principi posti dalla CGUE nelle citate sentenze del 17.05.2022, discende che questo Giudice, innanzi al quale il consumatore ha evidenziato per la prima volta l’abusività della clausola di deroga della competenza e l’incompetenza per territorio del Tribunale di Milano in relazione al foro del consumatore deve esaminare nel merito tale difesa, in quanto mai prima d’ora espressamente esaminata e decisa in un provvedimento giurisdizionale.>>

E poi:

<<Si aggiunge, per chiarezza, che da un lato si reputa che non compete certamente a questo Giudice -a fronte dello jus superveniens costituito dalle sentenze del 17.05.2022- stabilire dal punto di vista sistematico quale possa essere il rimedio giurisdizionale più adeguato (tra quelli esistenti e semmai adattabili con interpretazione adeguatrice, ad es. actio nullitatis, opposizione tardiva, revocazione, ecc) ad attuare i principi posti dalle citate sentenze, atteso che tanto spetta semmai alla Corte di legittimità in sede nomofilattica, ovvero alla Dottrina o anche al Legislatore, che potrebbe addirittura normare un rimedio ad hoc. Dall’altro lato, però, si reputa che non è certamente possibile per questo Giudice dismettere la disamina del rilievo di ufficio e della sollecitazione della consumatrice in questa causa, assumendo che tanto spetterebbe ad altro Giudice (ad es. al Giudice dell’esecuzione) in forza di altro specifico rimedio: infatti si osserva che il diniego della disamina, qui e ora, della possibile abusività della clausola per ragioni di rito, si tradurrebbe nell’imporre al consumatore di dare corso ad altro rimedio e promuovere altro giudizio e, a ben vedere, tradirebbe integralmente l’insegnamento principale della Corte di Lussemburgo, la quale ha ripetuto in tante sentenze, che “non appena” (ex multis: sentenza CGUE del 4.06.2020 C-495/19, Kancelaria Medius, punto 37) emerge ex actis la presenza di una clausola possibilmente abusiva in contratto con i consumatori, il giudice euro-unitario, se non vi è stata una statuizione espressa sul punto di altro giudice e se il consumatore non è stato totalmente inerte, deve immediatamente esaminare nel merito tale questione.>>

Sicchè:

<<Da tanto discende, a mente dell’art. 33 co. 2 lett. u) Codice del consumo, che la clausola derogativa della competenza, contenuta nella lettera di impegno assuntivo della garanzia, datata 1^.12.2016, del seguente tenore: “In caso di controversia è competente unicamente il Foro di Milano” (doc. 9 fasc. monitorio), è nulla ed inopponibile alla consumatrice GIANNI.>>

Conclusioni:

<<In conclusione, l’opposizione svolta da GIANNI è tardiva e improcedibile.
Il decreto ingiuntivo opposto, tuttavia, non contiene motivazione espressa sulla validità della clausola abusiva di deroga di competenza presente nella “lettera di impegno” del 1^.12.2016 dedotta in giudizio, né contiene l’avviso al consumatore sulla decadenza in cui incorre, in caso di mancata opposizione, nel far valere tale abusività: di conseguenza, considerati i principi posti dalla CGUE nelle sentenze gemelle del 17.05.2022 (la sentenza resa nelle cause C-693/19 e C-831/19 concerne proprio l’incompatibilità con il diritto europeo degli artt. 647 cpc e 2909 cc nell’ipotesi di giudicato implicito su clausole abusive) spetta a questo Giudice, investito dal consumatore dell’eccezione di incompetenza per territorio e abusività della clausola derogativa di competenza, questioni anche rilevate di ufficio, esaminare nel merito tali questioni.
Nel merito, la clausola di deroga di competenza è effettivamente abusiva e, quindi, nulla, con conseguente incompetenza del Tribunale di Milano a conoscere della pretesa ingiuntiva contro GIANNI, per essere competente in via esclusiva il Tribunale di Trapani.
Il decreto ingiuntivo opposto, di conseguenza, è nullo limitatamente all’ingiunzione pronunciata contro GIANNI, per essere stato emesso da Giudice incompetente per territorio, con conseguente declaratoria come da dispositivo e assegnazione del termine per la riassunzione>>.

La disposizioni azionate dal giudice sono l’art. 6.1  e l’art. 7.1 della dir. 93/13.

La clausola dichiarata nulla afferiva alla competenza territoriale.

La corte di appello milanese sulla clausola c.d. floor nei contratti di mutuo a tasso variabile

App. Milano sent n. 2836/2022-RG 1644/2020, rel. Milone, offreo tre spunti interessanti:

– la clausola è accessoria in quanto non costituisce oggetto principale del contratto: quindi è sindacabile in base alla disciplina della vessatorietà ex art. 33 ss. c. cons.

– la cluaola è vessatoria: << Ritiene la Corte che anche tale motivo sia fondato.
Deve essere, infatti, ricordato che si considera vessatoria la clausola che determina a
carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal
contratto e tale situazione certamente ricorre nel caso di applicazione della clausola
floor (non accompagnata da analogo meccanismo correttivo quale potrebbe essere quello
derivante dall’applicazione di una clausola
cap né da una riduzione dello spread, che
non emerge nella modulistica prodotta nel presente giudizio): la considerazione
dell’indice Euribor come pari a zero nel caso che assuma valore negativo implica,
infatti, l’obbligo del mutuatario di corrispondere gli interessi ad un tasso comunque pari
allo
spread pattuito, senza poter beneficiare interamente della variazione favorevole
dell’indice, come invece può fare la Banca mutuante, che non è soggetta ad alcuna
limitazione nel caso di rialzo dell’indice.
Tale situazione di significativo squilibrio non riguarda la convenienza economica, che
non è sindacabile dal giudice (v. art. 4 Direttiva cit. e art. 34 Codice del Consumo) ma
attiene proprio ai diritti e agli obblighi nascenti dal contratto.
La disciplina negoziale derivante dalla clausola
floor non incide infatti sulla congruità
della remunerazione (che non potrebbe essere oggetto di valutazione in termini di
abusività) bensì determina uno squilibrio giuridico e normativo, consentendo ad una sola
parte (la Banca) di trarre pieno beneficio dalle variazioni a sé favorevoli dell’indice e di
limitare il pregiudizio derivante dalle variazioni a sé sfavorevoli.
La sentenza appellata deve essere, quindi, riformata e deve essere accolta la domanda
volta ad inibire l’uso della clausola contestata
>>

– misure restitutorie inammissibili trattandosi di azione 37-140 cod. cons.: << In particolare sulle misure correttive l’appellante richiama la “sentenza della Corte di
giustizia della UE nelle cause riunite C-154/15, C-307-8/15, Gutiérrez Naranjo, del 21
dicembre 2016, la quale ha affermato (proprio in un caso in cui si discuteva del diritto
dei consumatori di ottenere la restituzione delle somme pagate in esecuzione delle
clausole floor contenute nei contratti di mutuo ipotecario stipulati con le banche
spagnole) che il principio di effettività del diritto comunitario impone che i consumatori
ottengano la restituzione di tutte le somme pagate in esecuzione di clausole vessatorie
dichiarate nulle: “l’assenza di tale effetto restitutorio, infatti, potrebbe pregiudicare
l’effetto deterrente che l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato
disposto con l’articolo 7, paragrafo 1, della stessa, mira a collegare alla dichiarazione
del carattere abusivo delle clausole contenute in contratti stipulati tra un consumatore e
un professionista” (punto 63).
Ritiene la Corte che il richiamo alla suddetta decisione non sia pertinente poiché dalla
lettura dell’intera motivazione si evince che la Corte di Giustizia ha adottato tale
pronuncia in relazione a fattispecie che riguardavano azioni individuali e non collettive,
affermando il principio suindicato a fronte di una interpretazione della giurisprudenza
spagnola che aveva negato gli effetti retroattivi delle dichiarazioni di nullità delle
clausole abusive: in altre parole, la Corte di Giustizia ha ritenuto che dovesse essere
riconosciuta (contrariamente a quanto avevano ritenuto i giudici spagnoli) l’efficacia
retroattiva delle dichiarazioni di abusività delle clausole vessatorie in favore dei singoli
contraenti che avevano formulato richieste restitutorie o risarcitorie, ma non ha
certamente affermato che il principio di effettività imponga l’adozione di concreti ordini
ripristinatori a richiesta delle Associazioni portatrici di interessi collettivi.
Ritiene, pertanto, questa Corte che nessuna misura volta ad incidere sugli effetti concreti
che sono derivati dall’avvenuta esecuzione dei singoli contratti possa essere qui adottata
su richiesta dell’Associazione appellante, poiché la rimodulazione dei piani di
ammortamento o la restituzione di somme versate richiede accertamenti della situazione
di fatto, che è diversa per ogni singolo contraente e che può essere ricostruita solo
mediante l’esercizio di azioni individuali, non costituendo ragione sufficiente ad
escludere la necessità di tale accertamento in concreto l’affermata modestia degli
importi che ogni singolo interessato potrebbe richiedere.
È possibile, invece, proprio perché si tratta di misure che possono riguardare
indistintamente tutti i soggetti interessati senza la necessità di specifici accertamenti,
disporre la pubblicazione della presente sentenza, dopo il suo eventuale passaggio in
giudicato, sulla pagina iniziale del sito internet della Banca e, per una volta, sul
quotidiano a diffusione nazionale
Corriere della Sera.
Il termine per l’adempimento dei suddetti obblighi viene fissato ai sensi dell’art. 140 co.
7 Codice del Consumo in giorni trenta dal passaggio in giudicato della presente sentenza
e, nel caso di inosservanza degli stessi, si dispone a carico dell’odierna appellata il
pagamento della somma di euro 1.032,00 per ogni giorno di ritardo
>>

Dispositivo:

<<La Corte d’Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone:

accoglie l’appello e, in riforma della sentenza del Tribunale di Milano n. 9976/19,
inibisce a Banco BPM S.p.A. l’uso della clausola
floor descritta nella parte finale
dell’art. 4 delle Condizioni Generali del “
Contratto di Mutuo Fondiario Immobiliare ai
Consumatori”
(doc. 9 appellante);

-ordina a Banco BPM S.p.A. di pubblicare, entro trenta giorni dal passaggio in giudicato
della presente sentenza, il presente dispositivo sulla pagina iniziale del proprio sito
Internet e, per una volta, sul quotidiano a diffusione nazionale
Corriere della Sera;

-dispone a carico di Banco BPM S.p.A. il pagamento della somma di euro 1032,00 per
ogni giorno di eventuale ritardo nell’adempimento degli obblighi stabiliti dalla presente
sentenza;

-compensa interamente le spese di entrambi i gradi di giudizio. >>