Il danno diretto nella responsabilit àdegli amministartori ex art. 2395 c.c è da rierire al “danno evento”, non al “danno conseguenza”

Così oprecisa Cass. sez. I, 28/05/2025 n. 14.265, rel. Rolfi, rigettanto una speciosa interpretazione dell’art. 2395 cc:

<< 2.3. Il nucleo del motivo di ricorso si impernia su un’articolata critica dell’interpretazione dell’art. 2395 c.c. adottata da questa Corte nonché – conviene rammentare – dalla predominante dottrina, come peraltro apertamente ammesso dalla difesa delle ricorrenti.

Questa Corte, infatti, ha costantemente valorizzato la presenza dell’avverbio “direttamente” contenuto nell’art. 2395 c.c. per affermare il principio per cui l’azione individuale di responsabilità, ai sensi del medesimo art. 2395 c.c., esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore, posto in essere tanto nell’esercizio dell’ufficio quanto al di fuori delle correlate incombenze, abbia determinato un danno direttamente sul patrimonio del socio o del terzo (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 9206 del 20/05/2020), risultando il terzo (o il socio) legittimato, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera individuale, in conseguenza di atti dolosi o colposi compiuti dall’amministratore, solo quando il nocumento riguardi direttamente la sua sfera patrimoniale e non sia un mero riflesso del pregiudizio che abbia colpito l’ente – ovvero il ceto creditorio – per effetto della cattiva gestione (Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 11223 del 28/04/2021; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8458 del 10/04/2014; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4548 del 22/03/2012; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6558 del 22/03/2011; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9295 del 19/04/2010; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6870 del 22/03/2010; Cass. Sez. U, Sentenza n. 27346 del 24/12/2009; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8359 del 03/04/2007; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10271 del 2004).

Questo orientamento viene messo in discussione dalle ricorrenti, le quali censurano in modo particolare la distinzione – operata in sede di interpretazione dell’art. 2395 c.c. – tra danni “diretti” e danni “riflessi”.

Si deve infatti rammentare che – sempre secondo l’interpretazione fatta propria anche da questa Corte – mentre i danni “diretti” risultano risarcibili ex art. 2395 c.c., i danni “riflessi” sono esclusi dal risarcimento (e.g. Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 11223 del 28/04/2021) in virtù di una delimitazione che sarebbe volutamente imposta dalla stessa previsione del codice, la quale, del resto, viene considerata ipotesi speciale (non mette conto esaminare, né in questa sede né in quelle successive, se addirittura “eccezionale”, come dedotto dalle ricorrenti) di responsabilità extracontrattuale (cfr. le già citate Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8458 del 10/04/2014 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8359 del 03/04/2007).

Secondo le ricorrenti, invero, tale distinzione non avrebbe ragion d’essere, non essendo configurabili danni “riflessi” risarcibili, «considerato che appare assai arduo immaginare “danni riflessi” in grado di superare lo scrutinio del nesso eziologico comunque necessario ex artt. 1223 c.c. e 2056 c.c., sì che del tutto evanescente diviene tale categoria di danni da aggiungere a quelli “diretti”» (pag. 22 del ricorso), così come sarebbe – conseguentemente – censurabile la tesi che intende l’art. 2395 c.c. come ipotesi di limitazione della responsabilità degli amministratori, risultando tale tesi smentita sulla base di una mera operazione di ricostruzione logica delle espressioni impiegate dalla giurisprudenza alla luce del disposto di cui all’art. 1223 c.c. [questa la ardita, ma palesemente errata, interpretazine del ricorrente]

Proprio il richiamo all’art. 1223 c.c., tuttavia, costituisce l’elemento di fallacia nell’argomentazione delle ricorrenti, dal momento che la ricostruzione interpretativa delle ricorrenti viene a confondere due profili ben distinti, e cioè il danno-evento ed il danno-conseguenza.

Si vuol dire, cioè, che l’avverbio “direttamente” contenuto nell’art. 2395 c.c. non svolge la funzione di stabilire che il risarcimento dei danni spettante al singolo socio o terzo è da riferirsi ai danni che siano “conseguenza immediata e diretta” della condotta degli amministratori, con un esito interpretativo che si tradurrebbe – come sostengono le ricorrenti – in una superflua ridondanza della regola di cui all’art. 1223 c.c.

Funzione dell’avverbio in questione, invece, è quella di operare una selezione all’interno dell’insieme delle posizioni soggettive che possono essere lese dalla condotta degli amministratori – condotta idonea a determinare, sulla base del nesso di causalità c.d. “materiale” (artt. 40 e 41 c.p.), una lesione di tali posizioni comunque qualificabile in tutti i casi come “danno-evento” – riconoscendo al singolo socio o al terzo la possibilità di agire per il danno(-evento) che si sia autonomamente prodotto nella sua specifica sfera patrimoniale e non anche il danno(-evento) che invece, interessando il patrimonio della società, presenta, rispetto alla posizione del singolo socio o terzo, conseguenze patrimoniali negative solamente mediate, in quanto dipendenti, appunto, dalla compromissione del patrimonio sociale.

Il danno prodottosi “direttamente” nel patrimonio del socio del terzo, quindi, è – e rimane – un danno-evento che si qualifica per essere frutto, sì, della condotta degli organi sociali ma che si colloca integralmente al di fuori della lesione all’integrità del patrimoni sociale.

Pertanto l’avverbio “direttamente” non vuol costituire, come opinano le ricorrenti, un richiamo all’art. 1223 c.c., considerato che detto richiamo oltre che ridondante verrebbe anzi a determinare il concreto rischio di riconoscere il risarcimento del medesimo danno sia alla società sia ai singoli soci o terzi, essendo il canone di cui all’art. 1223 c.c. idoneo ad operare una selezione non delle posizioni soggettive oggetto di lesione bensì unicamente dell’ambito dei danni concretamente risarcibili, una volta, tuttavia, individuato il soggetto danneggiato avente diritto al risarcimento.

L’avverbio “direttamente”, quindi, costituisce uno specifico (e – si ripete – voluto) criterio di selezione che, nell’ambito dell’insieme dei danni-evento che possono colpire la sfera patrimoniale del socio o del terzo, viene a limitare la risarcibilità ai soli danni che abbiano attinto direttamente ed autonomamente il patrimonio del danneggiato, escludendo invece i danni che hanno invece interessato direttamente il patrimonio sociale e solo in seconda battuta quello di soci o terzi, costituendo in questo caso un riflesso della lesione all’integrità del patrimonio sociale.

Risulta poi evidente che lo specifico danno-evento “diretto” di cui all’art. 2395 c.c. fonderà la pretesa risarcitoria del socio o terzo in presenza di uno o più concreti riflessi patrimoniali lesivi che siano “conseguenza immediata e diretta” (danno-conseguenza) del danno-evento, ma che – si ripete – in tanto potranno essere valutati – in quanto scaturiscano da un danno-evento che abbia interessato “direttamente” il socio o il terzo, operando la regola di cui all’art. 1223 c.c. sul piano della mera determinazione quantitativa dei danni.

In conclusione, quindi, ritenuta l’infondatezza delle deduzioni delle ricorrenti, deve essere ribadito il principio per cui l’azione individuale di responsabilità, ai sensi dell’art. 2395 c.c. esige che il comportamento doloso o colposo dell’amministratore – posto in essere tanto nell’esercizio dell’ufficio quanto al di fuori delle correlate incombenze – abbia determinato un danno diretto ed autonomo sul patrimonio del socio o del terzo, risultando conseguentemente questi ultimi legittimati, anche dopo il fallimento della società, all’esperimento dell’azione di natura aquiliana per ottenere il risarcimento dei danni subiti nella propria sfera patrimoniale solo quando il nocumento riguardi direttamente detta sfera e non quando lo stesso costituisca un mero riflesso del pregiudizio che abbia invece interessato il patrimonio sociale.>>