Cass. sez. lav., 08/04/2025 n. 9.256 , rel,. Amirante:
Fatti storico-processuali:
<<1. Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato in data 14 dicembre 2015, Intesa Sanpaolo Private Banking Spa adiva il Tribunale di Milano, sezione lavoro, al fine di sentir inibire a Cr.Da., suo ex dipendente quale private banker, previo accertamento della violazione, da parte di quest’ultimo dell’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c. e del patto di non concorrenza stipulato il 30/11/14, lo svolgimento dell’attività concorrenziale a favore di Allianz Bank Financial Advisor Spa fino alla naturale scadenza del patto (20 mesi successivi alla data di cessazione del rapporto lavorativo, avvenuta il 17/11/15 per dimissioni) e di ottenere il risarcimento dei danni (patrimoniali e non) subiti come quantificati in ricorso o in subordine, nell’ipotesi di nullità del patto di non concorrenza, al fine di ottenere la restituzione degli importi percepiti dal predetto a titolo di corrispettivo del suddetto patto.
2. Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 2673/16, dichiarava nullo il patto di non concorrenza in quanto contrastante con il disposto dell’art. 2125 c.c. per l’indeterminatezza e l’incongruità del corrispettivo pattuito (somma lorda di Euro 10.000 all’anno, da pagarsi in 2 rate semestrali posticipate per 3 anni, pari al 17,5% della RAL), e condannava il Cr.Da. alla restituzione degli importi percepiti come compenso del patto ai sensi dell’art. 2033 c.c. Rigettava nel resto il ricorso e respingeva altresì le domande avanzate dal Cr.Da. in via riconvenzionale ed aventi ad oggetto l’accertamento della giusta causa di recesso ed il risarcimento del danno.>>
Ora l’insegnamento della Corte :
<<5.1. È opportuno preliminarmente ricordare che questa Corte ha, ormai, chiarito che, al fine di valutare la validità del patto di non concorrenza, in riferimento al corrispettivo dovuto, si richiede, innanzitutto, che, in quanto elemento distinto dalla retribuzione, lo stesso possieda i requisiti previsti in generale per l’oggetto della prestazione dall’art. 1346 c.c.; se determinato o determinabile, va verificato, ai sensi dell’art. 2125 c.c., che il compenso pattuito non sia meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato, conseguendo comunque la nullità dell’intero patto alla eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale (Cass. n. 5540 del 01/03/2021, Rv. 660541 – 01; Cass. n. 9790 del 26/05/2020, Rv. 657784 – 01).
5.2. Ciò premesso, occorre osservare che, come puntualmente ricordato anche nell’ordinanza rescindente, questa Corte ha ripetutamente affermato, (Cass. Cass. n. 16489/2009, Rv. 610157 – 01; Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5540 del 2021) che il patto di non concorrenza costituisce una fattispecie negoziale autonoma, dotata di una causa distinta, configurando un contratto a titolo oneroso ed a prestazioni corrispettive, in virtù del quale il datore di lavoro si obbliga a corrispondere una somma di danaro o altra utilità al lavoratore e questi si obbliga, per il tempo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro, a non svolgere attività concorrenziale con quella del datore (Cass. n. 2221 del 1988). Il patto di non concorrenza, dunque, anche se è stipulato contestualmente al contratto di lavoro subordinato, rimane autonomo da questo, sotto il profilo prettamente causale. In virtù della predetta autonomia, il rapporto di lavoro si riduce a mera occasione di stipula di quel patto, atteso che quest’ultimo è destinato a regolare i rapporti fra le parti, per definizione, proprio a partire da un momento successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
5.3. Posto, dunque, che il corrispettivo del patto costituisce il compenso per tale autonoma obbligazione di “non facere”, non rilevando, a tal fine, se lo stesso venga erogato in costanza di rapporto di lavoro oppure al termine o dopo la cessazione di questo, ad es. periodicamente per la durata dell’obbligazione di non facere (cfr. ancora Cass. n. 16489/2009), cristallizzandosi, in ogni caso, i rispettivi obblighi al momento della sottoscrizione, la sua congruità va valutata ex ante, ossia alla luce del tenore delle clausole e non per quanto poi in concreto possa accadere>>.
Il punto più interessante è il controllo giudiziale sulla congruità. Nessuna norma lo permette espressamente nè la SC lo motiva, come avrebbe dovuto. Forse deriva dalla “retribuzione proporzionata” etc. etc. ex art. 36 Cost.? Forse si, anche se farebbe propendere per la negativa l’accento posto dalla SC sull’autonomia del patto di non concorrenza dal contratto di lavoro.