L’abuso di personalità giuridica può far cadere la responsabilità limitata del socio ma non lo schermo societario

Rimane ferma la SC nel limitare gli effetti dell’abuso di personalità giuridica alla trasformazione della responsabilità da limitata a illmitata per i debiti sociali: senza potere invece arrivare a far cadere la distinzione soggettiva e quindi a permettere il pignoramento dei beni sociali da parte del creditore particolare del socio.

Così Cass. 20.181 del 22 giugno 2022, rel. Scotti , sez. 1, che riprende testualmente un passo di Cass. n° 804 del 25.01.2000:

«il dato che in una società per azioni un socio ……. sia titolare della maggioranza del capitale della società cui esso partecipa, non giustifica la conclusione che egli sia titolare dell’intera società. Il c.d. “socio sovrano”, cui è inapplicabile l’art. 2362 c.c. a meno che non si dimostri la natura fittizia o fraudolenta delle partecipazioni di minoranza (cfr. Cass., 29 novembre 1983, n:7152), quando si serva della struttura sociale come schermo (così trasformandosi in “socio tiranno”) al fine di gestire i propri affari con responsabilità patrimoniale limitata, può incorrere nel fenomeno definito dell’abuso di personalità giuridica, ravvisabile allorché alla forma societaria corrisponda una gestione in tutto e per tutto individuale. Si è sostenuto che il singolo debba rispondere in tal caso illimitatamente anche con il proprio patrimonio e sono altresì ipotizzabili forme di responsabilità civile e Penale, avuto riguardo al ruolo svolto dal socio di maggioranza. Ma la società di capitali resta con tutti i suoi connotati, anche e soprattutto a tutela delle partecipazioni di minoranza non fittizie o fraudolente.»

La SC precisa che in causa non era stata chiesta la simulazione nè del trasferimento dell’immobile (che la Banca mirava ad apprendere) alla società, nè della costituzione della società medesima.

Ipotesi quest’ultima comunque vietata dall’art. 2332 cc (§ 4.3): <<E difatti questa Corte ha affermato che la simulazione assoluta dell’atto costitutivo di una società di capitali, iscritta nel registro delle imprese, non è configurabile in ragione della natura stessa del contratto sociale, che non è solo regolatore degli interessi dei soci, ma si atteggia, al contempo, come norma programmatica dell’agire sociale, destinata ad interferire con gli Corte di Cassazione – copia non ufficiale7 di 12 interessi dei terzi, donde l’irrilevanza, dopo l’iscrizione della società nel registro delle imprese e la nascita del nuovo soggetto giuridico, della reale volontà dei contraenti manifestata nella fase negoziale; tale fondamento, espressione del valore organizzativo dell’ente, è sotteso all’art. 2332 c.c., imponendosi dunque una lettura restrittiva dei casi di nullità della società da essi previsti, in nessuno dei quali è, quindi, riconducibile la simulazione (Sez. 1, n. 20888 del 5.8.2019, Rv. 655290 – 01; Sez. 6 – 5, n. 29700 del 14.11.2019, Rv. 656118 – 01; Sez. 1, n. 22560 del 4.11.2015, Rv. 637675 – 01; Sez. 1, n. 30020 del 29.12.2011, Rv. 620961 – 01)>>

Chiarito perchè non può essere accertata la simulazione del contratto sociale (art. 2332 cc) , non è però chiarito per qual motivo non si possa far cadere lo schermo per abuso di personalità verso il creditore  agente.

La risposta forse riposa sempre sulla ratio sottesa all’art. cit. 2332 cc: tutela degli interessi dei terzi in contatto con la società. La caduta dello schermo societario non è altro dal disconoscimento dell’effetto giuridico prodotto  (distinzione sogettiva) , per cui è pur sempre nullità (nè potrebbe prodursi incidenter tantum e cioè solo per alcuni -creditore agente- e non per gli altri): il che porta all’applicazione diretta (nemmeno serve l’analogia) della disposizione citata.

Il discorso potrebbe tuttavia apparire di dubbia esattezza: anche disconoscere la responsabilità limitata è disconoscere un tipico effetto della disciplina societaria. Perchè quest’ultimo si, mentre  ma la intestazione dei beni no? la diversità di trattamento andrebbe meglio  giustificata. Superato lo scoglio della protezione del socio di minoranza (ad es. perchè anche egli coinvolto nell’abuso; si dovrà certo concordare sul concetto di <coinvolgimento>), l’abuso potrebbe allora portare al disconoscimento dell’effetto e cioè alla caduta dello schermo societario.

Tuttava anche nel ns caso ricorrono le esigenze di chiarezza e certezza dei rapporti giuridici (tutela del traffico giuridico)  proprie della nullità ex art. 2332. Si pensi al caos che genererebbe nei creditori dell’ente l’improvisa vanificazione dello stesso e quindi il dover agire contro i soci personalmente, magari centinaia di soci (solidalmente, tenuti, magari…), con aggravio burocatico spesso spaventoso (anche se magari con maggior soddisfazione recuperatoria …)

Qualche parola sul punto sarebbe stato preferibile che la Sc la introducesse.

Resposting di fotografie e aggiunta di commento asseritamente ingiurioso è coperto da safe harbour ex § 230 CDA?

Dice di si l’appello calforniano 1st appellate district – division one, 15 dicembre 2022, A165836, A165841, A.H e altri c. Labana.

A seguito della morte di George Floyd e del reperimento della foto su internet di alcuni alunni (della stessa scuola del figlio) col volto dipinto di nero (con significato razzialmnente derisorio), una mamma di colore organizza con altra mamma una marcia di protesta.

Crea allo scopo un “evento Facebook” che include la foto medesima (senza nomi; ma erano stati da altri identificati). Vi aggiunge il commento “This is a protest to [sic] the outrageous behavior that current and former students from SFHS did–A George Floyd [I]nstagram account making fun of his death, the fact that he could not breath [sic] and kids participating in black face and thinking that this is all a joke.

Does the SFHS administration think this is a joke? Please join us at the entrance of the school off of Miramonte St. and make sure this administration knows that this type of behavior will NOT be tolerated.

Please remember to practice social distancing, wear a mask and bring a sign if you would like! Feel free to add people to this list”.

Gli alunni rappresentati nella foto agiscono per difamazione anche verso questa mamma .

Il giudice di primo e secondo grado però confermano che opera il § 230 CDA come safe harbour (come internet service user, direi , non provider) dato che era stato accertato che la mamma no era autrice della foto stessa, trattandosi solo di reposting (condivisione).

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Interesse ad agire in una azione di accerttamento negativo di concorrenza sleale

Cass. 10.10.2022 n. 29.479, rel. Lamorgese, sull’oggetto:

<<Nella giurisprudenza di legittimità è principio consolidato quello per cui sussiste l’interesse ad agire nella proposizione di un’azione di mero accertamento negativo della propria condotta di contraffazione di un brevetto (o anche di un marchio) altrui, posto che tale azione mira a conseguire, mediante la rimozione di uno stato di incertezza oggettiva, un risultato utile giuridicamente rilevante e non conseguibile se non con l’intervento del giudice (cfr. Cass. n. 3885 del 2014); analogo principio vale per l’azione di accertamento negativo dell’illiceità (ovvero di accertamento positivo della liceità) della condotta di concorrenza sleale. L’interesse ad agire nell’azione di mero accertamento sussiste anche in assenza di un’espressa iniziativa assunta dal titolare del diritto di privativa tramite l’invio (o la ricezione) di una diffida o di un suo coinvolgimento in giudizi o procedimenti, non implicando necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva, anche non preesistente al processo (cfr. Cass. n. 16262 del 2015)>>.

Applicato al caso sub iudice::

<Nella specie, come correttamente rilevato in diritto nella sentenza impugnata, certamente sussisteva l’interesse di Publinord ad agire per l’accertamento negativo dell’attività contraffattiva e di concorrenza sleale posta in essere con la registrazione e l’utilizzo del nome a dominio (Omissis), al fine di rimuovere lo stato di incertezza giuridica circa la liceità della propria condotta. Ed infatti, la Publinord, che nel giugno 2004 aveva ottenuto la registrazione del dominio (Omissis), si era vista recapitare da Menage una missiva in data 24 settembre 2010 che le intimava “l’immediata cancellazione del sito… entro cinque giorni” con l’avviso che, in mancanza, avrebbe adito l’autorità giudiziaria, non assumendo rilievo il fatto che la Menage non avesse percorso la via giurisdizionale. Successivamente, non avendo le parti raggiunto l’accordo sulla cessione del dominio, la Menage aveva introdotto la procedura di riassegnazione del dominio, a dimostrazione della volontà di non rinunciare alle proprie pretese, confermandosi la permanenza dello stato di incertezza circa il legittimo uso del dominio da parte di Publinord che il Tribunale ha eliminato accertando la legittimità della condotta della stessa Publinord con statuizione non impugnata in appello e, quindi, divenuta definitiva.

Infondata è la doglianza di esercizio abusivo dell’azione giurisdizionale da parte dell’originaria attrice, per essere, in tesi, meramente strumentale all’estinzione della procedura di riassegnazione del dominio, trattandosi di un esito previsto dal regolamento per la “Risoluzione delle dispute” (art. 3.3) nel caso di proposizione del giudizio ordinario di accertamento negativo che, nella specie, è stato (fondatamente) introdotto da Publinord in pendenza della suddetta procedura proposta dalla stessa Menage.

La tesi della ricorrente circa la fondatezza della propria istanza di riassegnazione del dominio in considerazione della malafede della condotta di Publinord, da un lato, introduce una questione nuova perché estranea (o solo indirettamente connessa) all’oggetto della controversia svoltasi nel giudizio di merito (che non è l’accertamento del diritto di Menage alla riassegnazione del dominio in via amministrativa, ma l’accertamento negativo delle violazioni imputate a Publinord), come dimostrato anche dall’affermazione della Corte territoriale secondo cui “Manage avrebbe potuto comunque riattivare (la procedura di riassegnazione)”; dall’altro, la tesi confligge con l’ulteriore affermazione della Corte (non censurata specificamente) che, come già il Tribunale, ha escluso rischi di confusione e di sviamento di clientela imputabili a Publinord a norma del medesimo regolamento per la “Risoluzione delle dispute” (art. 3.6)>.

Decisione semplice.

Trasferimento dati a paese terzo (art. 45 e 46 GDPR): emesso l’executive order del Presidente USA che dovrebbe permettere la compliance alla normativa UE

Spediti verso il completamento del EU- US data privacy framework.

Emesso l’esecutive order (N. 14.086) nell’ottobre u.s. dal Presidente Biden, occasionato dagli artt. 45 e 46 GDPR e dalle sentenze Schrems I e II della corte di giustizia ( Executive Order 14086 of October 7, 2022, Enhancing Safeguards for United States Signals Intelligence Activities)

Si v. ora il briefing del Parlamento UE  “Reaching the EU-US Data Privacy Framework: First reactions to Executive Order 14086” del 14 dicembre 2022.

Libertà di parola verso pubblico funzionario, titolare di account Twitter

Secondo la Eastern District Court del Missouri – easter division, 9 dicembre 2022, Case: 4:20-cv-00821-JAR, Felts v. Vollmer, l’account Twitter di unpubblico cuindionario è designated public forum e quindi la censura non è ammessa.

Per le osservazioni critiche ricevute, infatti, il funzionario aveva bloccato una cittadina.

In particolare il tweet e il suo contesto, § 10: << Plaintiff responded to Action St. Louis’ tweet stating: “What do you mean by ‘change the messaging around #CloseTheWorkhouse,’ @PresReed? #STLBOA #aldergeddon2019 #WokeVoterSTL. (Pltf.’s Ex. 27). The issue of closing the St. Louis Workhouse, a medium security institution and one of two jails in the City, was a subject of political debate in January 2019. Plaintiff was among those advocating for the Board of Aldermen to take action to close the Workhouse, as was Action St. Louis. (Trial Tr. at 69:15-25)>>.

E’ public forum , sempre che non sia account totalmente privato: <<“not every social media account operated by a public official is a government account,” and instructed that courts should look to “how the official describes and uses the account,” “to whom features of the account are made available,” and “how others … regard and treat the account.” Id>> , p. 14, dice la corte citando il noto precedente Knight First Amendment Inst. at Columbia Univ. v. Trump del 2019.

Il dettaglio sull’uso pubblico sta al §§ 37-40.

E’ rigettata l’allegazione del blocco per rischio di violenze, non riscontrato, § 45

Sintesi finale: <<At all relevant times, Reed was the final decisionmaker for communications, including the use of social media, for the Office of the President of the Board of Aldermen. At or near the time Plaintiff was initially blocked, Reed’s public Twitter account had evolved into a tool of governance. In any event, by the time the Account was embedded into the City’s website in April 2019, while Plaintiff remained blocked, the Account was being operated by Reed under color of law as an official governmental account. The continued blocking of Plaintiff based on the content of her tweet is impermissible viewpoint discrimination in violation of the First Amendment. Thus, Plaintiff is entitled to judgment in her favor on her remaining claim for declaratory relief. The Court will also award Plaintiff the sum of $1.00 in nominal damages for the constitutional violation >>

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof. Eric Goldman)

Ancora sul giudizio di confondibilità tra marchio denominativo e successivo marchio complessio (figurativo-denominativo)

Il Trib. UE 12.10.2022, T-222/21, Shopify c. EUIPO, interv. Rossi e altri, decide sul se l’anteriorità del marchio denominativo SHOPIFY impedisca la registrazione del seguente

(marchio posteriore)

La sentenza rieprcorre il solito iter logico per il giudizio di confondibilità e conferma la decisione di reclamo amminstrativo per cui non c’è confonbililità.-

Tra i punti più interessanti:

The relevant public for the assessment of the likelihood of confusion is composed of users likely to use both the goods or services covered by the earlier mark and those covered by the contested mark. Thus, as a general rule, where the wording of the goods or services of one mark is wider than the wording of the other, the relevant public is generally defined by the narrower wording (see judgment of 24 May 2011, ancotel v OHIM – Acotel (ancotel.), T‑408/09, not published, EU:T:2011:241, paragraphs 38 and 39 and the case-law cited), § 23.

— Assessment of the similarity between two marks means more than taking just one component of a composite trade mark and comparing it with another mark. On the contrary, the comparison must be made by examining each of the marks in question as a whole, which does not mean that the overall impression conveyed to the relevant public by a composite trade mark may not, in certain circumstances, be dominated by one or more of its components. It is only if all the other components of the mark are negligible that the assessment of the similarity can be carried out solely on the basis of the dominant element. That could be the case, in particular, where that component is capable on its own of dominating the image of that mark which members of the relevant public retain, with the result that all the other components are negligible in the overall impression created by that mark (judgments of 12 June 2007, OHIM v Shaker, C‑334/05 P, EU:C:2007:333, paragraphs 41 and 42, and of 20 September 2007, Nestlé v OHIM, C‑193/06 P, not published, EU:C:2007:539, paragraphs 42 and 43). § 40.

41      In the present case, before assessing the similarity of the signs at issue, it is necessary to examine the distinctive and dominant elements of those signs.

– gli elementi descrittivi non son dominanti  nella impressione complessiva, § 45.

— “shop” è dominante? è IL punto centralE: il Trib. dice di no :

49  In the second place, it is necessary to examine, in the light of the case-law cited in paragraph 40 above, whether or not the element ‘shop’ has a dominant role in the marks at issue.

50      So far as concerns the earlier mark, the other word component of it is the suffix ‘ify’, which, for the English-speaking public, will evoke the concept of transformation, and thus, together with the word ‘shop’, that of ‘making something become a shop’. Therefore, it is without committing an error of assessment that the Board of Appeal could find that the earlier mark, taken as a whole, was highly allusive to the goods and services aimed at creating e-commerce platforms or shopping sites that it designated for the English-speaking public. By contrast, for the non-English-speaking public, the suffix ‘ify’ has no meaning and therefore has an average distinctive character. In both cases, that additional element ‘ify’ is not negligible, within the meaning of the case-law cited in paragraph 40 above, in the earlier mark, and the element ‘shop’, which is moreover descriptive, cannot be regarded as dominant in that mark, contrary to what the applicant claims.

— bassa distinvitità del marchio anteriore, §§ 82/86

—  SHOPIFY non ha acwuisito una particlare distinvitità col tempo, § 87 ss

— infine sul giudizio finale: in the present case, the Board of Appeal considered, in essence, that, despite the identity or similarity of the goods and services concerned, given the descriptive nature of the element common to the two marks at issue, namely ‘shop’, the attention of the relevant public focused on the differentiating elements, in particular, on the ‘ify’ and ‘pi’ endings of the two signs, meaning that the coincidence between the signs resulting from the presence of the said common element was not decisive and that the similarity was weak overall. Furthermore, in view of the high level of attention for professionals and higher than average level of attention for the general public as well as the weak distinctive character of the earlier mark, there was no likelihood of confusion., § 121

e poi

Moreover, as the Board of Appeal pointed out in paragraph 93 of the contested decision, although, in accordance with the case-law of the Court of Justice, the more distinctive the earlier mark, the greater will be the likelihood of confusion, the opposite is also true. With regard to a trade mark with a weak distinctive character, and which thus has a lesser capacity to identify the goods or services for which it has been registered as coming from a particular undertaking, the degree of similarity between the signs should, in principle, be high to justify a likelihood of confusion, or this would risk granting excessive protection to that trade mark and its proprietor (see, to that effect, judgment of 5 October 2020, NATURANOVE, T‑602/19, not published, EU:T:2020:463, paragraph 56)., § 125

Safe harbour ex § 230 CDA per piattaforma che verifica malamente l’identità dell’utente, poi autore dell’illecito?

Dice di si la corte del District of Colorado, Case 1:22-cv-00899-MEH , del 5 dicembre 2022, Roland ed altri c. Letgo+2.

Si tratta di azione contro una piattaforma di scambi di annunci di compravendita (Letgo), basata sul fatto che  la stessa non aveva controllato l’identità di un venditore: il quale aveva postato un annuncio fasullo per poi rapinare il potenziale acquirente (incontro poi conclusosi tragicamente per quet’ultimo).

Circa il § 230.c.1 del  CDA, la piattaforma è di certo internet  provider.

Che sia trattata come publisher o speaker è altretanto certo, anche se la corte si dilunga un pò di più.

Il punto difficile è se fosse o meno un <content privider>, dato che in linea di principio l’annuncio era del suo utente.

Per la corte la piattaforma era in parte anche contentt priovider.

Bisogna allora capire il fatto: centrale è l’attività di verifica dell’utente/venditore.

< Letgo provides a website and mobile application allowing users to “buy from, sell to and
chat with others locally.” Amended Complaint (“Am. Compl.”) at ¶ 21. It advertises a “verified
user” feature. Id. ¶ 23. On its website, Letgo explains that it utilizes “machine learning” to identify
and block inappropriate content (such as stolen merchandise) and continues to work closely with
local law enforcement to ensure the “trust and safety of the tens of millions of people who use
Letgo.”
Id. OfferUp merged with Letgo on or around August 31, 2020. Id. ¶ 26.
To access its “marketplace,” Letgo requires that its consumers create a Letgo account.
Id.
¶ 27. Each new account must provide a name (the truthfulness of which Letgo does not verify) and
an active email address.
Id. Once a new Letgo account is created, the user is given an individual
“user profile.”
Id. at ¶ 28. Each new user is then given an opportunity to and is encouraged to
“verify” their “user profile.”
Id. Once a user is “verified,” the term “VERIFIED WITH” appears
on their profile (in this case, Brown verified with a functioning email address).
Id. ¶¶ 29-30.1 Letgo
performs no background check or other verification process.
Id. Once created, a Letgo user’s
account profile is viewable and accessible to any other Letgo user.
Id. ¶ 31. Letgo buyers and
sellers are then encouraged to connect with other users solely through Letgo’s app.
Id. Letgo’s
advertising and marketing policies prohibit selling stolen merchandise.
Id. 32. Furthermore, the
app promotes its “anti-fraud technology” to help detect signs of possible scams based on keyword
usage.
Id. >

ciò è dufficiente per ritenerlo cotnent priovioder e negarre alla piattaforma il safe harour.

< The singular item of information relevant here is the “verified” designation, and factually,
it appears to be a product of input from both Letgo and its users. It seems from the record that
simply providing a telephone number to Letgo is not sufficient to earn the “verified” designation.
At oral argument, Defendants acknowledged that when someone wants to create an account, he
must provide, in this case, a functioning telephone number, whereupon Letgo sends a
communication to that telephone number (an SMS text) to confirm that it really exists, then informs
users that the person offering something for sale has gone through at least some modicum of
verification. Thus, the argument can be made that Plaintiffs’ claims do not rely solely on thirdparty content.
Defendants say Letgo merely created a forum for users to develop and exchange their own
information, and the “verified” designation, relying solely on the existence of a working email
address or telephone number, did not transform Letgo into a content provider. Mot. at 14. “If [a
website] passively displays content that is created entirely by third parties, then it is only a service
provider with respect to that content. But as to content that it creates itself . . . the website is also
a content provider.”
Roommates.Com, LLC, 521 F.3d at 1162. I do not find in the existing caselaw
any easy answer. (….) In the final analysis under the CDA, I find under Accusearch Inc. that Plaintiffs have
sufficiently pleaded, for a motion under Rule 12(b)(6), that Defendants contributed in part to the
allegedly offending “verified” representation. Therefore, as this stage in the case, Defendants are
not entitled to immunity under the statute. Whether this claim could withstand a motion for
summary judgment, of course, is not before me 
>

Nonostante neghi il safe harbour alla piattaforma, accoglie però le difese di questa rigettando la domanda.

Analoga disposizione non esiste nel diritto UE e ciò anche dopo il Digital Services Act (Reg. UE 2022/2065 del 19 ottobre 2022 relativo a un mercato unico dei servizi digitali e che modifica la direttiva 2000/31/CE (regolamento sui servizi digitali))

(notizia e link alla sentenza dal blog del prof Eric Goldman)

Right of publicity veneto (sullo sfruttamento illecito della notorietà altrui)

Caso classico di sfruttramento della notorietà altrui deciso da Trib. Venezia n° 1391/2021 del 06.07.21, RG 1004/2020, Fiorin Granzotto c. Output srl.

L’attrice aveva concesso di farsi fotografare da fotografi acccreditati in occasione del festival musicale 2018 di Treviso ;  aveva poi visto riprodotto abusivamente tale  ritratto sui social e su locandina del festival dell’anno seguente.

Agisce quindi contro l’organizzatore del Festival e con successo.

< L’attrice ha fornito adeguata prova dello sfruttamento della sua immagine su incarico e nell’interesse della convenuta Output srl, organizzatrice dell’Home Festival poi ridenominato Core Festival, che ne ha tratto sicuro giovamento a fini commerciali.
La pubblicazione della immagine è, infatti, avvenuta sia sui social network, accessibili ad un numero indeterminato di persone, sia attraverso comunicazione promo pubblicitaria dell’evento (cartellonistica, volantini, comunicazioni email, pubblicazioni cartacee), tanto che per la capillarità della diffusione dell’immagine l’attrice è divenuta la ragazza immagine simbolo dell’edizione 2019 >.

Determinazione del danno: <Tenuto conto della capillarità della diffusione dell’immagine, rivolta ad un pubblico indeterminato e potenzialmente molto numeroso, della pubblicità sui social network, dell’esposizione a mezzo gigantografie pubblicitarie affisse nelle principali città del Veneto, della notorietà del Core Festival e del presumibile vantaggio economico conseguito dall’Organizzatore dell’evento, nonché dell’elevato gradimento riscosso dall’immagine come si ricava dal numero di visualizzazioni raggiunto sui social network appare congruo riconoscere, in via equitativa, all’attrice, a titolo di risarcimento dei danni, l’importo onnicomprensivo di € 20.000,00, determinato all’attualità>.

Va solo detto che il Tribunale non chiarisce il rapporto tra le successive riproduzioni e le iniziali fotografie autorizzate: non è  che tale autorizzazione coprisse anche gli usi poi contestati? il Tribunale non si esprime.

Maggioranza o unanimità per disporre (dare in licenza) del diritto di marchio in contitolarità?

La Cassazione n° 30.749 del 2021 aveva sollevato la questione in oggetto tramite un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia (v. mio post ove anche le due questioni, riprese dall’AG, relative alla costituzione del rapporto di licenza e alla sua cessaziine).

Sono state ora depositate le conclusioni dell’AG Sanchez Bordona 8 dicembre 2022, C-686/21.

Questione nella pratica assai importante: il diritto UE regola questo punto o è invece lasciato ai diritti nazionali?

E’ nel secondo senso la proposta di soluzione vanzata dall’AG.

<< Il regolamento n. 40/94 non specifica le condizioni per la conclusione dei contratti di licenza, né per la loro risoluzione. Da tale silenzio si evince che dette condizioni sono disciplinate dal diritto nazionale, sia che si tratti di un unico proprietario del marchio dell’Unione, sia che la titolarità di quest’ultimo sia condivisa tra più persone (26).

54.      Infatti, come rilevato dalla Commissione (27), per tutto quanto non regolato direttamente a livello europeo con riferimento alla disciplina del marchio dell’Unione in quanto «oggetto di proprietà», si applica il diritto nazionale pertinente.

b)      Marchio nazionale

55.      Se quanto sin qui esposto vale per la disciplina che configura lo status dei marchi dell’Unione, a maggior ragione varrà in un contesto di minore intensità normativa, come quello dell’armonizzazione dei marchi nazionali ai sensi della direttiva 89/104.

56.      La direttiva 89/104 sancisce l’esclusività del diritto del titolare sul marchio (articolo 5) e la possibilità di concedere licenze (articolo 8), ma non si addentra nella disciplina degli aspetti relativi alla contitolarità del marchio o alla decisione di concedere dette licenze (28).

57.      In tale contesto, per stabilire come debba formarsi la volontà collettiva per concedere l’uso di un marchio in comproprietà occorre fare riferimento, in primo luogo, alle norme nazionali. Queste possono, a loro volta, fare riferimento agli accordi tra i contitolari. In subordine, si applicheranno le norme generali di diritto civile di ciascuno Stato membro (29).

c)      Effettività del diritto dellUnione

58.      I principi di cooperazione leale, del primato e dell’effettività del diritto dell’Unione esigono che il diritto nazionale, compresa la disciplina della comproprietà dei marchi, tuteli la piena efficacia del diritto dell’Unione (30).

59.      Nel presente procedimento, nessun elemento menzionato nella domanda di pronuncia pregiudiziale o nelle osservazioni presentate alla Corte induce a ritenere che la disciplina della comproprietà dei marchi in Italia renda impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione.>>

Nè viene reso per questo meno effettivo il diritto UE: §§ 58-59.

Impostazione che vale anche per la cessazione del rapporto (recesso): § 63-64.

Non dovrebbe essere rilevante l’art. 17 della Carta dei diritti fondametnali della UE. E’ vero che dice che ancbe la PI è protetta, ma da ciò nulla emerge circa il regime degli atti dispositivi e in particolare circa quale sia il consenso richiesto per la contitolarità.

Impotante sentenza europea sul bilanciamento a carico del motore di ricerca nel caso di istanza di deindicizzazone per informazione erronea

Corte di Giustizia 8 dicembre 2022 , C-460/20, sull’esercizio del diritto all’oblio per notizie inesatte e diffamatorie circa sia 1) i link ai siti fonte che 2) le fotografie in miniatura risutlanti dalla ricerca,  che poi rinviano ai siti medesimi.

Sentenza importante, molto importante,  che fungerà da guida per i motori di ricerca e per gli interessati.

Il succo circa il punto 1 è ai §§ 68-74:

<<Per quanto riguarda, in primo luogo, gli obblighi incombenti alla persona che richiede la deindicizzazione per l’inesattezza di un contenuto indicizzato, spetta a tale persona dimostrare l’inesattezza manifesta delle informazioni che compaiono in detto contenuto o, quanto meno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto. Tuttavia, al fine di evitare di far gravare su tale persona un onere eccessivo idoneo a minare l’effetto utile del diritto alla deindicizzazione, essa è tenuta unicamente a fornire gli elementi di prova che, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, si può ragionevolmente richiedere a quest’ultima di ricercare al fine di dimostrare tale inesattezza manifesta. A tal riguardo, tale persona non può essere tenuta, in linea di principio, a produrre, fin dalla fase precontenziosa, a sostegno della sua richiesta di deindicizzazione presso il gestore del motore di ricerca, una decisione giurisdizionale ottenuta contro l’editore del sito Internet in questione, fosse pure in forma di decisione adottata in sede di procedimento sommario. Imporre un obbligo siffatto a detta persona avrebbe, infatti, l’effetto di far gravare su di essa un onere irragionevole.

69      Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli obblighi e le responsabilità incombenti al gestore del motore di ricerca, è vero che quest’ultimo, al fine di verificare, a seguito di una richiesta di deindicizzazione, se un contenuto possa continuare ad essere incluso nell’elenco dei risultati delle ricerche effettuate mediante il suo motore di ricerca, deve fondarsi sull’insieme dei diritti e degli interessi in gioco nonché su tutte le circostanze del caso di specie.

70      Tuttavia, nell’ambito della valutazione delle condizioni di applicazione di cui all’articolo 17, paragrafo 3, lettera a), del RGPD, il medesimo gestore non può essere tenuto a svolgere un ruolo attivo nella ricerca di elementi di fatto che non sono suffragati dalla richiesta di cancellazione, al fine di determinare la fondatezza di tale richiesta.

71      Pertanto, in sede di trattamento di una richiesta del genere, non può essere imposto al gestore del motore di ricerca in questione un obbligo di indagare sui fatti e di organizzare, a tal fine, uno scambio in contraddittorio, con il fornitore di contenuto, diretto ad ottenere elementi mancanti riguardo all’esattezza del contenuto indicizzato. Siffatto obbligo, infatti, poiché costringerebbe il gestore del motore di ricerca stesso a contribuire a dimostrare l’esattezza o meno del contenuto menzionato, farebbe gravare su tale gestore un onere che eccede quanto ci si può ragionevolmente da esso attendere alla luce delle sue responsabilità, competenze e possibilità, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 53 della presente sentenza. Tale obbligo comporterebbe quindi un serio rischio che siano deindicizzati contenuti che rispondono ad una legittima e preponderante esigenza di informazione del pubblico e che divenga quindi difficile trovarli in Internet. A tal riguardo, sussisterebbe un rischio reale di effetto dissuasivo sull’esercizio della libertà di espressione e di informazione se il gestore del motore di ricerca procedesse a una deindicizzazione del genere in modo pressoché sistematico, al fine di evitare di dover sopportare l’onere di indagare sui fatti pertinenti per accertare l’esattezza o meno del contenuto indicizzato.

72      Pertanto, nel caso in cui il soggetto che ha presentato una richiesta di deindicizzazione apporti elementi di prova pertinenti e sufficienti, idonei a suffragare la sua richiesta e atti a dimostrare il carattere manifestamente inesatto delle informazioni incluse nel contenuto indicizzato o, quantomeno, di una parte di tali informazioni che non abbia un carattere secondario rispetto alla totalità di tale contenuto, il gestore del motore di ricerca è tenuto ad accogliere detta richiesta di deindicizzazione. Lo stesso vale qualora l’interessato apporti una decisione giudiziaria adottata nei confronti dell’editore del sito Internet e basata sulla constatazione che informazioni incluse nel contenuto indicizzato, che non hanno un carattere secondario rispetto alla totalità di quest’ultimo, sono, almeno a prima vista, inesatte.

73      Per contro, nel caso in cui l’inesattezza di tali informazioni incluse nel contenuto indicizzato non appaia in modo manifesto alla luce degli elementi di prova forniti dall’interessato, il gestore del motore di ricerca non è tenuto, in mancanza di una decisione giudiziaria del genere, ad accogliere siffatta richiesta di deindicizzazione. Qualora le informazioni di cui trattasi siano idonee a contribuire a un dibattito di interesse generale, occorre, alla luce di tutte le altre circostanze del caso di specie, attribuire un’importanza particolare al diritto alla libertà di espressione e di informazione.

74      Occorre aggiungere che, conformemente a quanto esposto al punto 65 della presente sentenza, sarebbe altresì sproporzionato procedere alla deindicizzazione di articoli, con la conseguenza di rendere difficile l’accesso in Internet all’integralità di essi, nel caso in cui si rivelino inesatte solo talune informazioni di minore importanza rispetto alla totalità del contenuto incluso in tali articoli.>>

Ripsosta finale: <<nell’ambito del bilanciamento che occorre effettuare tra i diritti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta, da un lato, e quelli di cui all’articolo 11 della Carta, dall’altro, ai fini dell’esame di una richiesta di deindicizzazione rivolta al gestore di un motore di ricerca e diretta ad ottenere l’eliminazione, dall’elenco dei risultati di una ricerca, del link verso un contenuto che include affermazioni che la persona che ha presentato detta richiesta ritiene inesatte, tale deindicizzazione non è subordinata alla condizione che la questione dell’esattezza del contenuto indicizzato sia stata risolta, almeno provvisoriamente, nel quadro di un’azione legale intentata da detta persona contro il fornitore di tale contenuto.>>, § 77.

Circa il punto 2 (fotografie in miniatura) la risposta è meno facile e sopratutto rigurada il se si debba tener conto pure del contesto in cui le foto sono inserite: le miniature infatti nei risultati della ricrca non lo mostrano e per raggiungerlo bisogna cliccarci (le foto sono un link).

Risposta: <nell’ambito del bilanciamento che occorre effettuare tra i diritti di cui agli articoli 7 e 8 della Carta, da un lato, e quelli di cui all’articolo 11 della Carta, dall’altro, ai fini dell’esame di una richiesta di deindicizzazione rivolta al gestore di un motore di ricerca e diretta ad ottenere l’eliminazione, dai risultati di una ricerca di immagini effettuata a partire dal nome di una persona fisica, delle fotografie visualizzate sotto forma di miniature raffiguranti tale persona, occorre tener conto del valore informativo di tali fotografie indipendentemente dal contesto della loro pubblicazione nella pagina Internet da cui sono state tratte, prendendo però in considerazione qualsiasi elemento testuale che accompagna direttamente la visualizzazione di tali fotografie nei risultati della ricerca e che può apportare chiarimenti riguardo al loro valore informativo.>, § 108.

Il punto 2 è stato deciso in base non al GDPR ma ratione temporis agli art. 12.b e art. 14.1.a della dir. 95/46.

Sentenza importante, dicevo, che dovrà essere studiata a fondo qualora ci si imbattesse nell’argomento.