Uso di dati personali del dipendente presenti nel PC per la tutela del patrimoniio aziendale

Cass. sez. lav. 12.11.2021 n. 33.809,. rel. Patti A.P., decide un ricorso sull’oggetto.

La lite era stata iniziata dall’impresa contro un dipendente , con richesta di danni per addebiti vari. Il Tribunale l’aveva accolta seppur in misura ridotta , ma l’aveva poi rigettata la corte di appello. La SC accoglie il ricorso dell’impresa.

Il punto interessante è il recupero da parte del’azienda del PC aziendale e dei dati ivi già presenti, ma poi cancellati dal dipedente prima di andarsene.

La cancellazione anche se non defintiva costituisce danneggiamento ex art. 635 bis c.p.

Ebbene per la SC il trattamento è legittimo se “necessario” alla difesa per cui <<la legittimità della produzione va valutata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato utilizzato, cui va correlato il grado di riservatezza, con le esigenze di difesa >>, § 5.

Le prove precostituite, quali i documenti, poi, <<entrano nel giudizio attraverso la produzione e nella decisione in virtù di un’operazione di semplice logica giuridica, essendo tali attività contestabili solo se svolte in contrasto con le regole rispettivamente processuali o di giudizio, che vi presiedono, senza che abbia rilievo una valutazione in termini di utilizzabilità, categoria propria del rito penale ed ignota al processo civile (Cass. 25 marzo 2013, n. 7466).>>

l’errore della la Corte territoriale è consistito nell’aver <<omesso di bilanciare i diritti di difesa e di tutela della riservatezza, posto che, in materia di trattamento dei dati personali, il diritto di difesa in giudizio prevale su quello di inviolabilità della corrispondenza, consentendo la L. n. 196 del 2003, art. 24, lett. f), di prescindere dal consenso della parte interessata per il trattamento di dati personali, quando esso sia necessario per la tutela dell’esercizio di un diritto in sede giudiziaria, a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento (Cass. 20 settembre 2013, n. 21612)>>.

Niente di nuovo: anzi macna approfondimento su cosa significhi <necessario>.

Il punto più interssante è laddovcw si osserva che <<Quanto alla sua estensione, questa Corte ha esplicitamente affermato che “il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso…” (Cass. 29 dicembre 2014, n. 27424, che ha escluso la natura di illecito disciplinare di una condotta scriminata dal legittimo esercizio di un diritto, ai sensi dell’art. 51 c.p., per la sua portata generale nell’ordinamento, non limitata all’ambito penale).>>

Assegno divorzile e successiva convivenza di fatto : finalmente le sezioni unite

L’estensione alla convivenza della cessazione dell’assegno in caso di nuove nozze, disposta dall’art. 5/19 l. divorzio  è stata decisa dalla sezioni unite con sentenza 5 novembre 20121 n. 32198, rel. Rubino (leggila ad es. qui nel sito wolters kluwer)

Principi di diritto:

<<L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtù del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno.

Qualora sia giudizialmente accertata l’instaurazione di una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche all’attualità di mezzi adeguati o impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, mantiene il diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione esclusivamente compensativa.

A tal fine, il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare; della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio; dell’apporto alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.

Tale assegno, anche temporaneo su accordo delle parti, non è ancorato al tenore di vita endomatrimoniale né alla nuova condizione di vita dell’ex coniuge ma deve quantificato alla luce dei principi suesposti, tenuto conto, altresì della durata del matrimonio>>.

Vi era stata rinviata dall’ord.  di Cass. n° 28995 del dicembre 2020.

La SC , accogliendo l’impostazione del collegio rimettente,  distingue dunque tra componente assistenziale e componente compensativa (secondo il noto insegnamento di Cass. sez. un. 18287/2018).

Quanto alla prima, la convivenza fa perdere l’assegno; quanto alla seconda, invece, no.

Il secondo punto ci pare corretto senz’altro; non altrettanto il primo.

Qui interessa solo la giustificazione del primo, che riporto:

<<23.2 – L’instaurazione di una nuova convivenza stabile, frutto di una scelta, libera e responsabile, comporta la formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, dai quali si ha diritto a pretendere, finché permanga la convivenza, un impegno dal quale possono derivare contribuzioni economiche che non rilevano più per l’ordinamento solo quali adempimento di una obbligazione naturale, ma costituiscono, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto, anche l’adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale (come attualmente previsto dalla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), benché non privo di precarietà nel suo divenire, in quanto legato al perdurare della situazione di fatto.

23.3 – Ne consegue che, qualora sia stata fornita la prova dell’instaurarsi di tale stabile convivenza, il cui accertamento può intervenire sia nell’ambito dello stesso giudizio volto al riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio, come nella specie, sia all’interno del giudizio di revisione delle condizioni patrimoniali del divorzio, può ritenersi che cessi, in conseguenza del nuovo progetto di vita intrapreso, che indubbiamente costituisce una cesura col passato, e nell’ambito del quale l’ex coniuge potrà trovare e prestare reciproca assistenza, il diritto alla componente assistenziale dell’assegno, anche se il nuovo nucleo familiare di fatto abbia un tenore di vita che non sia minimamente paragonabile al precedente, e neppure a quello che sarebbe assicurato al convivente qualora potesse integrarlo con l’assegno divorzile>>.

Mi pare un errore.  La convivenza , anche se regolata dall’art. 1 commi 36 e segg. legge 76/2016, non attribuisce alcuna pretesa economica/di mantenimento: l’unica è quella dell’assegno alimentare dopo la fine della convivenza stessa, art. 1 c. 65.

Dunque far cadere l’assegno, in caso di nuovo rapporto affettivo convivenziale per la tranquillità economica da esso scaturente (in sostanza dice così),  non pare esattissimo …

Interessante sentenza dagli USA sulla chiusura immotivata da parte di Facebook dell’account di un’utente

Si tratta della corte del nord california 12 noiv. 2021, 21cv04573EMC , King v-. Facebbok (dal blog di Eric Goldman).

Il provveidmento interessa, dato che la chiusura immotivata di account FB pare non sia così rara.

L’attrice avanza varie domande (una basata sul § 230.c.2.A CDA : incomprensibile, visto che , la disposizione esime da responsabilità anzichè comminarla!, p. 4 segg.)

Qui ricordo la domanda sub E, p. 10 ss basata sulla violazione contrattuale ex fide bona e correttezza.

Rigettata quella sulla distruzione di contenuto (sub 1: non condivisibelmente però: se manca obbligo specifico per F. di conservare, quanto meno la buona fede impone di dare congruo preavviso della prossima distruzione), viene accolta quella sulla mancanza di motivazione,. sub 2, p. 12 ss

F. si basa sulla pattuita clausola <<If we determine that you have clearly, seriously or repeatedly breached our Terms or Policies, including in particular our Community Standards, we may suspend or permanently disable access to your account.>> per affermare che aveva piena discrezionalità

Il giudice ha buon gioco però nel dire che non è così: <<Notably, the Terms of Service did not include language providing that Facebook had “sole discretion” to act.  Compare, e.g., Chen v. PayPal, Inc., 61 Cal. App. 5th 559, 570-71 (2021) (noting that contract provisions allowed “PayPal to place a hold on a payment or on a certain amount in a seller’s account when it ‘believes there may be a high level of risk’ associated with a transaction or the account[,] [a]nd per the express terms of the contract, it may do so ‘at its sole discretion’”; although plaintiffs alleged that “‘there was never any high level of risk associated with any of the accounts of any’ appellants, . . . this ignores that the user agreement makes the decision to place a hold PayPal’s decision – and PayPal’s alone”). 

Moreover, by providing a standard by which to evaluate whether an account should be disabled, the Terms of Service suggest that Facebook’s discretion to disable an account is to be guided by the articulated factors and cannot be entirely arbitrary.  Cf. Block v. Cmty. Nutrition Ins., 467 U.S. 340, 349, 351 (1984) (stating that the “presumption favoring judicial review of administrative action . . . may be overcome by specific language or specific legislative history that is a reliable indicator of congressional intent” – i.e., “whenever the congressional intent to preclude judicial review is ‘fairly discernible in the statutory scheme’”). 

At the very least, there is a strong argument that the implied covenant of good faith and fair dealing imposes ome limitation on the exercise of discretion so as to not entirely eviscerate users’ rights>>

Inoltre (sub 3, p. 14) quanto meot una spiegazione era dovuta. (i passaggi sub 2 e il 3 si sovrappontgono)

In breve sono ritenute illegittime la disbilitgazione e la mancanza di motivazione (che si soprappongono, come appena detto: la reciproca distinzione concettuale richiederebbe troppo spazio e tempo)

Da ultimo, l’ovvia eccezione di safe harbour ex § 230.c.1 CDA <Treatment of publisher or speaker> copre la disabilitazione ma non la mancata spiegazione (p. 22).

Sul secondo punto c’è poco da discutere: il giudice ha ragione.

Più difficile rispondere sul primo,  importante nella pratica, dato che qualunque disabilitazione costituirà -dal punto del disabilitato- una violazione di contratto.

Il giudice dà ragione a F.: il fatto che esista un patto, non toglie a F. il safe harbour : <<although Ms. King’s position is not without any merit, she has glossed over the nature of the “promise” that Facebook made in its Terms of Service. In the Terms of Service, Facebook simply stated that it would use its discretion to determine whether an account should be disabled based on certain standards. The Court is not convinced that Facebook’s statement that it would exercise its publishing discretion constitutes a waiver of the CDA immunity based on publishing discretion. In other words, all that Facebook did here was to incorporate into the contract (the Terms of Service) its right to act as a publisher. This by itself is not enough to take Facebook outside of the protection the CDA gives to “‘paradigmatic editorial decisions not to publish particular content.’” Murphy, 60 Cal. App. 5th at 29. Unlike the very specific one-time promise made in Barnes, the promise relied upon here is indistinguishable from “‘paradigmatic editorial decisions not to publish particular content.’” Id. It makes little sense from the perspective of policy underpinning the CDA to strip Facebook of otherwise applicable CDA immunity simply because Facebook stated its discretion as a publisher in its Terms of Service>>.

Decisione forse esatta sul punto specifico, ma servirebbe analisi ulteriore.

Diritto di sincronizzazione musicale e risarcimento del danno tramite prezzo del consenso

Trib. Milano di circa un anno fa decide una domanda di danno etc. per violazione dei diritto di autore tramite una sincronizzazione abusiva di opera musicale in spot pubblicitario (Trib. Milano 02.11.2020 n. 6832/2020, RG 5498472016, Accordo ediz. musicali c. Gestipharm +1, rel. Zana) .

Sulla sincronizzazione (a cavallo di riproduzione ed elaborazione dell’opera):

<<Attesa  la  sua  natura  esclusiva,  assoluta  ed  opponibile  erga  omnes, l’opera musicale non può essere legittimamente riprodotta, utilizzata e sincronizzata senza il consenso del titolare dei relativi diritti. La mancata autorizzazione comporta la violazione dei diritti esclusivi.

In particolare, il diritto di sincronizzazione consiste nel diritto di abbinare o di associare opere musicali o  fonogrammi  con  opere  audiovisive  o  con  altro  tipo  di  opere,  e  si  attua  con  la  loro  fissazione  in sincrono con una sequenza di immagini.

La sincronizzazione è dunque un atto complesso che permette il riadattamento dell’opera musicale (Cass. sez.1, 12.12.2017, n.29811) .

Creando un prodotto nuovo e diverso, le attività di cui la sincronizzazione necessita sono riconducibili a diritti esclusivamente riservati all’autore/editore, quali:  a) la fissazione dell’opera su un supporto e/o mezzo audiovisivo, idoneo a riprodurre suoni o immagini; b) la riproduzione dell’opera;  c)  l’inserimento  dell’opera  in  un  prodotto  nuovo,  che  necessariamente  presuppone  la  sua manipolazione ed il suo adattamento.

Quanto  alla  specifica  sincronizzazione  dei  singoli  fonogrammi,  si  rende  necessario  altresì  il  consenso del produttore fonografico>>

Quanto alla deterimnazine del danno patrimoniale (chiesto in euro 60.000,00):

<<Ritiene  l’Ufficio,  ai  fini  della  cristallizzazione  del  danno,  di  ricorrere  al  criterio  necessariamente equitativo ex art. 1226 c.c. e di utilizzare, quale parametro di valutazione, il prezzo del consenso, ossia l’importo che la titolare  avrebbe  verosimilmente  richiesto  per  consentire  alla  convenuta  di  utilizzare l’opera  musicale  nelle  proprie  pubblicità  commerciali.    Il  prezzo  del  consenso  deve  tener  conto,  quali elementi di ponderazione, della durata della lesione e della notorietà dell’opera.  A tale fine l’Ufficio ritiene di poter procedere senza necessità di attività tecniche alla luce:

– dei contratti versati agli atti dall’attrice e stipulati con soggetti terzi -estranei  alla  lite-  per  la sincronizzazione  di  alcuni  pezzi  musicali  in  altrettanti  analoghi  spot  pubblicitari,  ove  viene specificamente pattuito il prezzo del consenso con il titolare dei relativi diritti, con importi che oscillano da € 20.00,00 ad € 120.000,00 (cfr. in particolare documenti n.23, 25, 26, 27 e 28 di parte attrice) ;

– della durata della lesione sulle reti televisive, protrattasi dal 9.10.2015 al 10 dicembre 2015;

– dell’impiego, su molteplici canali promozionali, dell’hashtag promozionale Guaglione (cfr. doc. 4, 13, 14,15 di parte attrice). 

Parte  convenuta  non  ha infine adempiuto all’ordine di esibizione disposto dal giudice istruttore con ordinanza ritualmente notificata. Ritiene  dunque  il  Collegio  congruo  liquidare  l’importo,  a  titolo  di  risarcimento  del  danno,  di  € 50.000,00- già liquidato in moneta attuale- oltre interessi legali dalla pronuncia al saldo.>

Sentenza milanese sulla riscossione dell’equo compenso da sfruttamento cinematografico ex art. 46 bis l. aut.

Viene fatta circolare ora Trib, Milano n° 7903/2020 del 03.12.2020, Rg 57224/2018, Sky italia c. SIAE ,che decide la lite sulla raccolta del compenso ex art. 46 bis l. aut.

I punti principali:

– tale raccolta non rientra nell’esclusiva di legge a favore della SIAE (dopo la dir. UE 26/2014 e il d. lgs. 35/17)

– la richiesta generalizzata dei compensi in mancanza di esclusiva ex lege e di incarico contrattuale costituisce abuso di posizione dominante nel mercato, merceologicamente determinato nel <<mercato specifico che attiene alla riscossione e ripartizione dell’equo compenso previsto dall’art. 46 bis l.a. che si pone in via del tutto autonoma ed indipendente rispetto ad altri diritti.>>, p. 19

<<Se infatti è del tutto pacifico in atti che attualmente SIAE gestisce la riscossione di tutti i proventi ex art. 46 bis l.a. per la totalità degli autori delle opere cinematografiche utilizzate dalle emittenti e cioè anche di quelli dovuti ad autori ad essa non associati o che non abbiano ad essa conferito alcun mandato la mancanza di una riserva legale che giustifichi l’attività di un unico ente di riscossione consente di individuare l’esistenza di un mercato concorrenziale potenziale che vale ad integrare un  ambito di sostituibilità dell’offerta di tali servizi da parte degli altri operatori indicati nel d.lsvo 35/17 (organismi di gestione collettiva ed enti di gestione indipendente).>>

La condotta di SIAE costituituisce abuso di posizione dominante laddove <<si è presentata dinanzi agli utilizzatori deelle opere cinematografiche come unico ente di riscossione dell’equo compenso con funzione di ripartizione di esso rispetto alla generalità degli autori delle opere stesse, a prescindere dall’esistenza di un rapposto volontario di rappresentanza ad essa conferito da ciascuno di essi in base alla manifestata volontà di associazione a SIAE o di conferire ad essa specifico mandato>>, 21-22

Tra le parti (e a seguito di precedente processo) era stata stipulato accordo nel 2015 che stabiliva gli obblighi di SKY per l’equo compenso cinema. Che SKY l’avesse liberamente sotto scritto non fa venir meno la sua impugnabilità: v. ad es. Corte giustizia 20.09.2001, C-453/99, caso Courage , come pure è pacifico se lo si ritiene nullo per violazione di norma imperativa (il passaggio sulla nullità: <<La clausola abusiva posta in essere da soggetto in posizione dominante viola in effetti l’ordine pubblico del mercato e la necessaria razionalità del suo assetto, violazione che connota il patto negoziale in termini di illiceità cui consegue la sua nullità (virtuale). La natura escludente dell’abuso induce infatti a ritenere l’esistenza di causa illecita, non già la mera violazione di una regola di comportamento.  L’eccezione di nullità dell’Accordo 13.2.2015 ai sensi dell’art. 1418 c.c.deve dunque essere ritenuta fondata >>, p. 23).

A maggiore ragione non fa venir meno l’impugnabilità (cioè non costituisce un venire contra factum proprium) la libera sottoscrizione del predetto accordo: infatti non era probabilmente tanto “libera”, se conseguente ad esercizio abusivo di posizione dominante

Infine, è processualmente  interessante la dichiarazione di inammissibilità e l’ordine di espunzione dal fascicolo (“dal giudizio”) dei doceumenti tardivamente introdotti.   Resta da vedere come si concretizzerà l’espunzione

Responsabilità organizzativa per gli ammninistratori di società: utile sentenza statunitense (il caso Boeing)

Istruttiva sentenza statunitense nel caso Boeing circa i deficit organizzativi della Boeing , che non permisero agli amministratori di cogliere  i difetti del velivolo  <A 737 MAX>, causa di due disastri aerei nel 2018 e nel 2019.

Si tratta della corte del Delaware 07.09.2021, C.A. No. 20190907MTZ , IN RE THE BOEING COMPANY DERIVATIVE LITIGATION. giudice Zurn.

Negligenze rilevate, p. 74 ss:

  • The Board had no committee charged with direct responsibility to monitor airplane safety
  • The Board did not monitor, discuss, or address airplane safety on a regular basis.
  • The Board had no regular process or protocols requiring management to apprise the Board of airplane safety; instead, the Board only received ad hoc management reports that conveyed only favorable or strategic information
  • Management saw red, or at least yellow, flags, but that information never reached the Board.
  • the pleadingstage record supports an explicit finding of scienter.

La corte ricorda (p. 73) le analoghe negligenze  rilevate dalla corte suprema del Delaware in  Marchand v. Barnhill nel 2019, allorchè un azienda alimentare mise in circolazione cibo affetto da batteri:

  • no board committee that addressed food safety existed;
  • no regular process or protocols that required management to keep the board apprised of food safety compliance practices, risks, or reports existed;
  • no schedule for the board to consider on a regular basis, such as quarterly or biannually, any key food safety risks existed;
  • during a key period leading up to the deaths of three customers, management received reports that contained what could be considered red, or at least yellow, flags, and the board minutes of the relevant period revealed no evidence that these were disclosed to the board;
  • the board was given certain favorable information about food safety by management, but was not given important reports that presented a much different picture; and
  • the board meetings are devoid of any suggestion that there was any regular discussion of food safety issues.

Inoltre, punto importante nel diritto USA, i due aspetti posti dalla basilare sentenz aCaremark del 1996 sulla resposanbilit organizzativa (nessun sistema di controllo; mancato controllo di coretto funzionameton del sistema essitent) , possono coesistgere: <<classic prong two claim acknowledges the board had a reporting system,
but alleges that system brought information to the board that the board then
ignored.320 In this case, Plaintiffs prong two claim overlaps and coexists with their prong one claim; Plaintiffs assert the Board ignored red flags at the same time they utterly failed to establish a reporting system
>>, p. 93

I guai alla Boeing non sono però terminati lì: evidentemente c’è ancora una carenza strutturale organizzativa . All’inizio del 2024 da un Boeing 737 Max in volo  si è staccato uno sportellone laterale, gettando i passeggeri nel panico.-

Altra decsione UE sul deposito di marchio in malafede (caso “Agate”)

Trib. UE 29.09.2021, T-592/20, Universe Agro c. EUIPO, decide una lite su deposito di marchio in malafedee ex art. 59.1.b reg. 2017/1001.

Il marchio denominativo <Agate> era stato chiesto in registrazione in sede europea e concesso per pneumatici

Ma ci fu opposizione da titolare cinese di marchio complesso confondibile che da tempo vendeva in Romania: egli provò di essere stato solo anticipato su un segno che lui usava da tempo ma che non aveva ancora registrato.

Il marchio viene annullato per riscontro di malafede al momento del deposito. Segue conferma in sede di reclamo amministrativo.

Ora anche il primo grado giudiziale conferma le decisioni ammnisitrative.

La sentenza non offre spunti interssanti sotto il profilo giuridico astratto, ma solo sotto quello fattual probatorio. Possono invece essere di qualche interesse infatti le insidiose eccezioni dedotte dal depositante bulgaro per negare la propria malafede.,

violazione di marchio RISE per bibite in lattina: Pepsi perde la lite (per ora)

La corte del southern district di Ney York decide  una domanda dui contraffazione a carico del colosso Pepsi: sentenza 3 novembre 2021, caso 21 Civ 6324 LGS, RISEANDSHINE CORPORATION- RISE BREWING c. Pepsico inc. (link preso da Reuters.com ).

Si v. le foto lattine a confronto e poi il marchio anteriore ingrandito.

La corte ravvis confondibilità-

L’azione è quella di reverse confuision: The reverse confusion theory protects the mark of a [senior] user from being overwhelmed by a [junior] user, typically where the [junior] user is larger and better known and consumers might conclude that the senior user is the infringer., p. 10.

I fattori esaminati sono i soliti dal caso Polaroid:

(1) the strength of the trademark;

(2) the degree of similarity between the plaintiff’s mark and the defendant’s allegedly imitative use;

(3) the proximity of the products and their competitiveness with each other;

(4) the likelihood that the plaintiff will “bridge the gap” by developing a product for sale in the defendant’s market;

(5) evidence of actual consumer confusion;

(6) evidence that the defendant adopted the imitative term in bad faith;

(7) the respective quality of the products;

and (8) the sophistication of the relevant population of consumers.

In conclusione, dice la corte, << given the degree of similarity between Plaintiff’s and Defendant’s marks, the proximity of their areas of commerce, and credible testimony of actual confusion, Plaintiff has met its burden of showing a sufficient likelihood of success on the merits to warrant a preliminary injunction, regardless of whether the relevant standard is a clear or substantial likelihood, a simple likelihood, or serious questions on the merits. See generally Guthrie, 826 F.3d at 46; Virgin Enters. Ltd., 335 F.3d at 142. Plaintiff has shown that the risk of reverse  confusion is probable — i.e., that without an injunction, Plaintiff is at risk of “being overwhelmed by a subsequent user [PepsiCo], where the subsequent user is larger and better known.” LVL XIII Brands, Inc., 209 F. Supp. 3d at 666>>, p. 20

Difficile dar torto alla corte.

 

Marchio rinomato cede a marchio anteriore non rinomato

il Trib UE decide l’opposiizone alla registazione di mrachio da prate del Ac Milan: Trib. Ue 10.11.2021, T-353/20, aC Milan spa c. EUIPO. L’oppositore è titolare di marchio denominativo <Milan> del 1984, § 53, mentre il deposito di marchio figurativo (§ 2) dell’AC Milano è del 2o17.

I prodotti o servizi sono quasi identici (penne, carte, quaderni e materiali di cancelleria) , per cui la lite si giuoca sulla somiglianza tra marchi.

Centrale è , comprensibilmente, il giudizio sulla preminenza o meno del segno figurativo nei due marchi. Contraraumetne a quanto di solito si ritiene, qui non lo è per il marhcio anteriore, date laa sua ridotta evidenza, § 57 ss.

Analoga preminenza anche per il segno del depositante AC Milan, § 84 ss.

Pertanto la somiglianza tra segni è quasi scontata.

La soc. del team calcistico perde dunque sia la fase amminsitrativa sia il primo grado giudiziale.

Ricordo solo due aspetti:

  1. le iniziali considerazioni generali, slegate dal (ma poi applicate al) caso de quo:

    << In interpreting the concept of genuine use, account must be taken of the fact that the ratio legis for the requirement that the earlier mark must have been put to genuine use is not intended to assess the commercial success or control the economic strategy of an undertaking or to restrict the protection of marks only to their quantitatively significant commercial exploitation (judgments of 8 July 2004, T‑203/02, Sunrider v OHIM – Espadafor Caba(VITAFRUIT), T‑203/02, EU:T:2004:225, paragraph 38, and of 2 February 2016, Benelli Q. J. v OHMI – Demharter (MOTOBI B PESARO), T‑171/13, EU:T:2016:54, paragraph 68). A trade mark is put to genuine use when it is used, in accordance with its essential function of guaranteeing the identity of origin of the goods or services for which it is registered, in order to create or maintain an outlet for those goods or services, to the exclusion of uses of a symbolic nature the sole purpose of which is to maintain the rights conferred by the trade mark (see judgment of 8 June 2017, W. F. Gözze Frottierweberei and Gözze, C‑689/15, EU:C:2017:434, paragraph 37 and the case-law cited).

    24      In order to examine, in a particular case, the genuineness of the use of an earlier mark, an overall assessment must be made, taking into account all the relevant factors of the case. That assessment implies a certain interdependence between the factors taken into account. Therefore, a low volume of goods marketed under that mark may be offset by a high intensity or consistency of use of that mark over time, and vice versa. Furthermore, the turnover achieved and the quantity of sales of goods under the earlier mark cannot be assessed in absolute terms, but must be assessed in relation to other relevant factors, such as the volume of commercial activity, the production or marketing capacities or the degree of diversification of the undertaking exploiting the mark and the characteristics of the goods or services on the market concerned (see judgment of 8 July 2004, VITAFRUIT, T‑203/02, EU:T:2004:225, paragraph 42 and the case-law cited).

    25      Moreover, genuine use of a trade mark cannot be demonstrated by probabilities or presumptions, but must be based on concrete and objective elements which prove actual and sufficient use of the trade mark on the relevant market (see judgments of 16 June 2015, Polytetra v OHIM – EI du Pont de Nemours (POLYTETRAFLON), T‑660/11, EU:T:2015:387, paragraph 47 and the case-law cited, and of 9 September 2015, Inditex v OHIM – Ansell (ZARA), T‑584/14, not published, EU:T:2015:604, paragraph 19 and the case-law cited).

    26      Genuine use of the trade mark presupposes that it is used publicly and externally, and not only within the undertaking concerned (see, to that effect, judgment of 11 March 2003, Ansul, C‑40/01, EU:C:2003:145, paragraph 37). However, external use of a trade mark is not necessarily equivalent to use directed towards final consumers. Actual use of the mark relates to the market in which the proprietor of the mark carries on business and in which he or she hopes to exploit his or her mark. Thus, to consider that the external use of a trade mark, within the meaning of the case-law, necessarily consists of use directed towards final consumers would be tantamount to excluding trade marks used solely in business-to-business relationships from the protection of Regulation No 207/2009. The relevant public to which trade marks are intended to be directed does not include only final consumers, but also specialists, industrial customers and other professional users (see judgment of 7 July 2016, Fruit of the Loom v EUIPO – Takko (FRUIT), T‑431/15, not published, EU:T:2016:395, paragraph 49 and the case-law cited)>>.

  2. i fatti dedotti dallopponente per provare il suo <uso effettivo>, § 29:

    –     an undated affidavit from its Managing Director certifying annual turnover figures for the period 2010 to 2016;

    –        advertising material in German (numerous copies of catalogues and leaflets) dating from 2009 to 2014 for goods bearing the earlier mark;

    –        a copy of 43 invoices issued in the period between 2008 and 2014, addressed to various customers in Germany;

    –        documents concerning turnover and sales figures, dating from the years 2008 to 2016;

    –        price lists from 2008 to 2014 showing the suppliers of the products of the other party to the proceedings before the Board of Appeal.

Non si discute della validità del marchio anteriore, che potrebbe a sua volta essere stato anticipato dall’uso di fatto (non dalla registrazione, suppontgo, interventua appunto nel 2017) del segno da aprte del team calcistico.

Probabilmente difettava l’affinità merceologica, essendo assai discutibile che possa essere superata dalla rinomanza qualora non vi sia registrazione ma appunto solo uso di fatto.

L’indennità di malattia non spetta se il lavoratore si infortuna nella c.d. pausa caffè

Cass. n. 32743 del 08.11.2021, rel. Calafiore, Inail c. Becciolini, insegna che non spetta al lavoratore l’indennità malattia, se questa è stata procurata in occasione della c.d. pausa caffè (nel caso: in bar esterno all’azienda, non essendo questa provvista di bar interno)

Dopo la premessa per cui <<la questione di diritto che il motivo propone è quella della corretta interpretazione dell’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, secondo il quale l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro>>, ecco il  passaggio centrale:

<<quando, dunque, l’infortunio si verifica al di fuori, dal punto di vista spazio-temporale, della materiale attività di lavoro e delle vere e proprie prestazioni lavorative (si verifica, cioè, anteriormente o successivamente a queste, o durante una “pausa”), la ravvisabilità della “occasione di lavoro” è rigorosamente condizionata alla esistenza di circostanze che non ne facciano venir meno la riconducibilità eziologica al lavoro e viceversa la facciano rientrare nell’ambito dell’attività lavorativa o di tutto ciò che ad essa è connesso o accessorio in virtù di un collegamento non del tutto marginale; sulla scorta dei principi sopra enunciati, cui si intende dare piena continuità, è da escludere la indennizzabilità dell’infortunio subito dalla lavoratrice durante la pausa al di fuori dell’ufficio giudiziario ove prestava la propria attività e lungo il percorso seguito per andare al bar a prendere un caffè, posto che la lavoratrice, allontanandosi dall’ufficio per raggiungere un vicino pubblico esercizio, si è volontariamente esposta ad un rischio non necessariamente connesso all’attività lavorativa per il soddisfacimento di un bisogno certamente procrastinabile e non impellente, interrompendo così la necessaria connessione causale tra attività lavorativa ed incidente>>