La libertà di parola sui social media (FB) da parte di soggetti critici verso le vaccinazioni (ancora sulla content moderation)

interessante caso sul diritto di parola e la content moderation di Facebook (Fb) in relazione ad un ente che sostiene la pericolosità di varie pratiche sociali, tra cui vaccini e la tecnocologia 5G per telefoni.

Si trata Tribunale del Nord California 29.06.2021, Case 3:20-cv-05787-SI, CHILDREN’S HEALTH DEFENSE (CHD) c. Facebook, Zuckerberg e altri.

Fb aveva etichettato i post del CHD come di dbbia attendibilità e simili (v. esempi grafici di ciò i nsentenza a p. 8/9).

Tra le causae petendi la prima era basata sul Primo (e 5°)  Emendametno in relazione al caso Bivens v. Six Unknown Named Agents of Fed. Bureau of Narcotics  del 1971 (il che dà l’idea del ruolo svolto dal precedente nella common law, degli USA almeno).

Gli attori diccono <<that “Facebook and the other defendants violated Plaintiff’s First Amendment rights by labeling CHD’s content ‘False Information,’ and taking other steps effectively to censor or block content from users. . . . Facebook took these actions againstPlaintiff in an effort to silence and deter its free speech solely on account of their viewpoint.” Id. ¶ 318. CHD also assertsa First Amendment retaliation claim, allegingthat after it filed this lawsuit, Facebook notified CHD that it “would modify the parties’ contractual term of service § 3.2, effective October 1, 2020, to read: ‘We also can remove or restrict access to your content, services, or information if we determine that doing so is reasonably necessary to avoid or mitigate adverse legal or regulatory impacts to Facebook.’”Id. ¶ 324>>, p. 12.

E poi: <<CHD alleges that defendants violated the Fifth Amendment by permanently disabling the “donate” button on CHD’s Facebook page and by refusing “to carry CHD’s advertising of its fundraising campaigns.” Id.¶ 319.6CHD alleges that “Defendants’ actions amount to an unlawful deprivation or ‘taking’ of Plaintiff’s property interests in its own fundraising functions. . . . without just compensation or due process.” Id. ¶¶ 320, 322.>>, ivi.

Il tribunale, però, conferma che le entità private non sono sottoposte al Primo emenda,mento ma solo Federal Actors, p. 12-13.

E’ curioso che gli attori avessero citato personalmente Mark Zuckerberg , dicendo che aveva realizzato <federal actin>per i due motivi indicati a pp. 14-15 (tra cui la combinazione con l’azione provaccini e contro la disinformazione, portata avanti dal  Congressman Adam Schiff ,consistente in una lettera aperta a MZ).

Che l’intevento diretto di MZ fosse probabile, non basta: dovevano dare la prova che egli actually partecipated, p. 16.

Da ultimo , non realizza Federal Action il fatto che Fb fruisca del safe harbour ex § 230 CDA. Gli attori infatti avevano così detto: <<CHD also allegesthat “government immunity [under Section 230of the CDA] plus pressure (Rep. Schiff). . should turn Facebook and Zuckerberg’s privateparty conduct into state action.” SAC ¶ 300.CHD asserts that Section 230, “by immunizing private parties against liability if they engage in conduct the government seeks to promote, constitutes sufficient encouragement to turn private action into state action.” CHD’s Opp’n to Facebook’s Mtn. at 6. With regard to coercion, CHD allegesthat Congressman Schiff pressured Facebook and Zuckerberg to remove “vaccine misinformation” through his February 2019 letter and his subsequentpublic statement that “if the social media companies can’t exercise a proper standard of care when it comes to a whole variety of fraudulent or illicit content, then we have to think about whether [Section 230] immunity still makes sense.” SAC ¶ 64. CHDrelies onSkinner v. RailwayLabsExecutives’ Association, 489 U.S. 602 (1989),as support for its contention that the immunity provided by Section 230 is sufficient encouragement to convert private action into state action>>, p. 24.

Ma la corte rigetta, p. 25: <<Skinner does not aid CHD.“Unlike the regulations in Skinner, Section 230 does not require private entities to do anything, nor does it give the government a right to supervise or obtain information about private activity.” >>

Altra causa petendi è la violazione del Lanham Act (concorrenza sleale a vario titolo e qui tramite informazioni denigratorie o decettive).

Per gli attori , 1) i convenuti erano concorrenti (è il tema più interessante sotto il profilo teorico) e 2) tramite la etichettatura di FB volutamente errata, avevano diffuso notizie dannose a carico degli attori, p. 28-29.

La Corte rigetta anche qui: <<However, the warning label and factchecks are not disparaging CHD’s “goods or services,” nor are they promoting the “goods or services” of Facebook, the CDC,or the factchecking organizations such as Poynter. In addition, the warning label and factchecks do not encourage Facebook users to donate to the CDC, the factchecking organizations, or any other organization. Instead, the warning label informs visitors to CHD’s Facebook page that they can visit the CDC website to obtain “reliable uptodate information” about vaccines, and the factchecks identify that a post has been factchecked, with a link to an explanation of why the post/article has been identified as false or misleading.>>, p. 30.

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Le sezioni unite sulla cessione di cubatura (a fini fiscali)

Cass. sez. un. 16.080 del 0902.2021, rel. Stalla ,sulla cessione di cubatura (in una lite inerente alla sua esatta imposizione tributaria)

<<Consistente e diacronico, come si è osservato, è l’indirizzo giurisprudenziale che colloca la cessione di cubatura tra gli atti costitutivi o traslativi di un diritto reale.

Esso si fonda sulla valorizzazione – nell’ambito di una fattispecie che, pur correlandosi al rilascio del titolo edilizio da parte della pubblica amministrazione, si assume a forte connotazione privatistica – del carattere prettamente dominicale ascrivibile allo sfruttamento edilizio del suolo e, per questa via, alla considerazione della edificabilità in termini di utilità intrinseca ed inerente a quest’ultimo (qualitas fundi).

Si tratta di impostazione – avallata da parte della dottrina e sostenuta anche a livello di prassi notarile – storicamente radicatasi con riguardo alla previsione di diritti di rilocalizzazione privata della volumetria da parte di taluni piani regolatori generali di grandi città e, in particolare, al problema della riconoscibilità ad essi delle agevolazioni previste per i trasferimenti immobiliari dalla L. n. 408 del 1949 (L. Tupini).

L’amministrazione finanziaria ha più volte richiamato e fatto proprio questo orientamento ricostruttivo, rimarcando a sua volta l’inerenza alla proprietà del suolo della cessione di cubatura (ritenuta comportare un effetto in tutto analogo a quello conseguente alla disposizione di un diritto reale), ponendolo a fondamento della maggior imposizione sia di registro sia di plusvalenza reddituale (Ris. n. 250948 del 17 agosto 1976; Circ AE 233/E del 20 agosto 2009).

Va però detto – e già questo induce qualche prima perplessità sulla complessiva tenuta della tesi – che all’interno dell’indirizzo di realità non si sono poi date risposte sempre univoche sul tipo di diritto reale che verrebbe a costituirsi o a trasferirsi con l’atto di cessione di cubatura.

Analoga frammentarietà di vedute si ha anche nella dottrina che sostiene questo indirizzo, non essendo in essa neppure mancate ricostruzioni dommatiche che individuano nell’istituto – a superamento del regime di numero chiuso – un diritto reale senz’altro atipico, o anche un diritto reale tipico (almeno in parte regolato dalla disciplina urbanistica), ma nuovo rispetto a quelli disciplinati dal codice civile.>>

Certamente più vicino alla realtà della fattispecie, nell’ambito dei diritti reali di godimento, proseguno le SSUU, << è il richiamo allo schema della servitù prediale e, in particolare, alle figure della servitù non aedificandi (in caso di cessione totale della cubatura assentita) ovvero altius non tollendi (in caso di cessione parziale). Anche in questo caso si è in presenza di una concezione fortemente privatistica dell’istituto, la quale pone l’assenso della pubblica amministrazione all’esterno della fattispecie costitutiva, rispetto alla quale esso fungerebbe da mera condizione di efficacia nelle forme della condicio juris (qualora prevista dal piano regolatore generale o dall’altra disciplina urbanistica), ovvero della condicio facti (se prevista come tale dalle parti nel contratto); neppure mancano, in dottrina, richiami all’assenso della PA quale, non già elemento accidentale del contratto, ma oggetto di presupposizione con incidenza causale sulla volontà negoziale.

Va anche considerato che sul piano teorico la servitù consente, rispetto ad altri diritti reali, più ampi spazi ricostruttivi in ragione del peculiare atteggiarsi in essa del carattere di tipicità. Ciò nel senso che se la servitù è certamente autodeterminata e tipica nella individuazione legale dei suoi elementi costitutivi e portanti (in primo luogo nella essenzialità della relazione di asservimento di un fondo a vantaggio di un fondo contiguo), la determinazione del contenuto pratico di questa relazione e delle sue concrete modalità di svolgimento e manifestazione è poi ampiamente demandata (nelle servitù volontarie) all’autonomia delle parti ed alla finalizzazione e qualificazione della servitù a seconda delle più eterogenee esigenze di asservimento-utilità (agricole, industriali, edilizie ecc…) assegnate dalle parti stesse ai fondi.

Ed infatti l’adozione, in materia, dello schema della servitù, ovvero – come anche si legge – dell’asservimento del terreno per scopi edificatori, scaturisce dall’assunto, più volte ribadito in giurisprudenza, secondo cui: “le pattuizioni con le quali vengono imposte, a carico di un fondo ed a favore del fondo confinante, limitazioni di edificabilità restringono permanentemente i poteri connessi al proprietario dell’area gravata e mirano ad assicurare, correlativamente, particolari utilità a vantaggio del proprietario dell’area contigua. Pattuizioni siffatte si atteggiano, rispetto ai terreni che ne sono colpiti, a permanente minorazione della loro utilizzazione da parte di chiunque ne sia il proprietario ed attribuiscono ai terreni contigui un corrispondente vantaggio che inerisce ai terreni stessi come qualitas fundi, cioè con carattere di realità così da inquadrarsi nello schema delle servitù” (Cass. nn. 2743/73, 1317/80, 4624/84, 4770/96, 3937/01, 14580/12).>>

Anche qui però ci sono criticità., p. 15 ss

la SC analziza quindi la tesi per cui non si tratta di atto traslativo o costitutivo di diritto reale., § 7,  p. 18 ss.: <<Dalla natura, non traslativa né costitutiva di un diritto reale bensì meramente obbligatoria e vincolata all’assenso della PA, vengono poi tratte varie importanti conseguenze, quali: l’atto non richiede la forma scritta ad substantiam ex art.1350 cod.civ.; l’interpretazione della reale volontà delle parti può anche desumersi, per facta concludentia, dal comportamento complessivo dei contraenti successivo alla stipulazione (come nell’ipotesi in cui la volontà di cedere la cubatura venga desunta dalla dichiarazione di adesione resa dal cedente direttamente alla PA); il mancato rilascio del permesso di costruire nonostante la conforme attivazione del cedente presso la PA determina l’inefficacia del negozio, non la sua risoluzione per inadempimento>>, p. 19. Il quale pure è criticabile, p. 20 ss.

Dopo la pars destruens, ecco la lunga pars construens, basasta sulla precisione di cui allart. 2643 n. 2bis c.c., rlativa alla trascrizione: <<Ciò non toglie che dalla previsione in esame, dettata da esigenze di certezza ed opponibilità circolatorie, possano e debbano trarsi importanti contributi interpretativi circa la qualificazione giuridica della cessione di cubatura; appunto considerata – una volta riconosciuto in essa il tratto saliente costituito, al contempo, dal distacco del diritto di costruire dal fondo di generazione e dalla sua autonoma e separata negoziabilità – quale specie del genere ‘diritti edificatori’. Un primo elemento ricostruttivo è dato dal definitivo allontanamento dell’istituto dall’ambito di realità nel quale secondo alcuni si collocava. In proposito, va rilevato non solo che l’elenco degli atti soggetti a trascrizione ex articolo 2643 non presuppone necessariamente il carattere ‘reale’ dell’atto, posto che la legge ammette la trascrizione anche di atti relativi a beni immobili che rivestono pacifica natura obbligatoria, come i contratti di locazione ultranovennale (art.2643 n.8) ovvero i contratti preliminari (art.2645 bis), ma anche che una specifica ed autonoma previsione di trascrivibilità dei ‘diritti edificatori’ in quanto tali non avrebbe avuto ragion d’essere, né logica né pratica, qualora questi ultimi, partecipando di natura reale, risultassero comunque già prima trascrivibili in base alla disciplina generale (per le servitù, in particolare, ai sensi del n.4). Da questo punto di vista, l’introduzione nell’ordinamento del n.2 bis costituisce un pesante argomento sistematico a sostegno dell’indirizzo della non realità dell’atto di cessione di cubatura, là dove si rimproverava a quest’ultimo (per ragioni uguali e contrarie a quelle per le quali si dava invece credito all’indirizzo opposto) di inficiare, precludendone la pubblicità, proprio le esigenze di certezza ed opponibilità coessenziali ad uno strumento negoziale così rilevante e diffuso. A ciò si aggiunge, non ultimo, che l’esplicito riconoscimento del ruolo di normazione assegnato in materia alla legislazione 22 ssuu Ov. Ric.n. 25485/18 rg. – Cam.Cons. del 23.3.2021 Corte di Cassazione – copia non ufficiale

regionale, ed addirittura agli strumenti urbanistici distribuiti sul territorio, mal si concilia con l’esigenza che le restrizioni ‘reali’ al diritto di proprietà rinvenienti dall’ordinamento civile vengano dettate in maniera uniforme e centralizzata, ex articolo 117 lett. l) Cost., dal legislatore statale. Un secondo elemento è dato dal fatto che quest’ultimo qualifica i diritti edificatori – appunto – come ‘diritti’. Si tratta di una presa di posizione che non è solo semantica e che se, per un verso, rimarca la derivazione proprietaria del diritto di costruire, si discosta, per altro, da tutte quelle – pur argomentate ed accreditate – impostazioni dottrinarie che individuano, nella figura in esame, ora una posizione giuridica soggettiva meno piena (perché di interesse legittimo pretensivo sul piano pubblicistico e di semplice chance o aspettativa edificatoria su quello negoziale), ora il prodotto ultimo di un processo di oggettivazione ex art.810 cod.civ., che renderebbe il ‘bene-cubatura’ più simile ad una cosa oggetto di diritti (salvo poi disputarne l’essenza immobiliare, mobiliare, virtuale, immateriale o di frutto del fondo) che ad un diritto in sè. Così come ancora più distante appare la scelta del legislatore da quelle concezioni secondo cui la cubatura non sarebbe, in verità, né un diritto né una cosa, ma soltanto un numero-indice espressivo, nel rapporto tra metri quadrati e metri cubi, della misura della risorsa edificatoria disponibile in capo al proprietario sulla ‘colonna d’aria’ sovrastante il suo fondo. Un terzo elemento è dato dalla collocazione dell’istituto all’interno del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione, a sua volta intrinsecamente connesso alla vicenda traslativa, costitutiva o modificativa (n.2 bis: “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori …”). E’ dunque chiara l’opzione legislativa secondo cui i diritti edificatori, non solo sono genericamente disponibili per contratto, ma tra le parti vengono costituiti, trasferiti e modificati direttamente per effetto di questo, e non di altro. Il che comporta la netta rivalutazione del sostrato privatistico della cessione di cubatura, ricollocando l’effetto traslativo suo proprio nell’ambito dell’autonomia negoziale delle parti, non già del procedimento amministrativo. Da qui l’estendibilità alla materia del principio consensualistico di cui all’articolo 1376 del codice civile, secondo il quale nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un diritto (anche diverso dalla proprietà di cosa determinata o da un diritto reale) questo si trasmette e si acquista per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato. Resta naturalmente, una volta che alla cessione di cubatura consegua la presentazione da parte del cessionario di un progetto edificatorio su di essa basato, il ruolo autorizzativo e regolatorio del permesso di costruire, per il cui rilascio il cedente è tenuto ad operare secondo il dovere generale di solidarietà, cooperazione, correttezza e buona fede. Si tratta appunto di un elemento che concorre non al trasferimento in sé tra i privati della cubatura, quanto alla sua fruibilità in conformità alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie, alle quali il cessionario dovrà ispirarsi mediante la presentazione di un progetto edificatorio assentibile perché ad esse rispondente. In quanto elemento esterno di regolazione pubblicistica di un diritto di origine privatistica, il permesso di costruire – seppure per certi versi anomalo perché chiesto e rilasciato per una volumetria aumentata – continua ad operare su un piano non dissimile da quello ‘normale’ dei provvedimenti genericamente ampliativi della sfera giuridica del privato e, segnatamente, da quello che regola ordinariamente l’esercizio diretto dello jus aedificandi da parte del proprietario.>>

le SSU_U precisano che <<tutte le implicazioni di non-realità che si sono qui individuate non comportino la negazione dell’inerenza al fondo del diritto sulla cubatura ceduta, quanto l’attribuzione ad essa di un’incidenza più identitaria e funzionale (di necessario collegamento con un determinato suolo tanto di origine quanto di destinazione) che coessenziale alla natura dell’istituto; ciò sul presupposto fondante del fenomeno stesso dei ‘diritti edificatori’, sempre insito – anche se con connotati di varia intensità – nel loro scorporo dal fondo di produzione e nella ritenuta meritevolezza della loro circolazione separata>>, p. 24

Diritti proprietari al rispetto delle distanze e diritti da contratto

Interessante Cass. 15.142 del 31.05.2021, rel. Giannaccari, sul rapporto tra diritto del proprietario al rispetto delle distanze e diritto di credito sorto da convenzione con un vicino.

Il dirito al rispetto delle distanze non si prescrive (salvo l’usucapione): <<I poteri inerenti al diritto di proprietà, tra i quali rientra quello di esigere il rispetto delle distanze, non si estinguono per il decorso del tempo, salvi gli effetti dell’usucapione del diritto a mantenere la costruzione a distanza inferiore a quella legale. Discende da tale principio che anche l’azione per ottenere il rispetto delle distanze legali è imprescrittibile, trattandosi di azione reale modellata sullo schema dell'”actio negatoria servitutis”, rivolta non ad accertare il diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà suscettibili di dar luogo a servitù (Cass. Civ., Sez. II, 23.1.2012, n.871, Cass.Civ., Sez.II, 7.9.2009, n.19289; Cass. Civ., Sez.II, Cass. Civ., Sez. II, 26.1.2000, n.867).>>, § 1.3.

la corte d imerito l’aveva invece ritenuto precritto confondend operò la fonte della pretesa e aserendo che la prescrittiviàità derivasse dal convenzione de l 1996. La quale vas invece intesa come concessione precareia, ben distinta dal diritto domnucale a.l rispetto delle distanze che non si prescrive.

<<La corte di merito non ha fatto corretta affermazione dei citati principi di diritto poiché ha ritenuto che l’azione volta al rispetto delle distanze legali fosse prescritta per decorrenza del termine decennale previsto per l’esercizio del diritto di credito del condominio ad ottenere la prestazione di cui alla convenzione conclusa nel 1966, con la quale i precedenti proprietari si erano accordati perché Ambrogio Angelo, dante causa del convenuto, potesse mantenere le finestre, il cornicione e la gronda ad una distanza inferiore a quella legale, corrispondendo la somma di £5000,00 annui fino alla vendita dell’immobile a terzi. Detta pattuizione non era costitutiva di servitù a carico del fondo concedente in quanto vincolava unicamente le parti che avevano sottoscritto l’accordo ed era soggetta a revoca se il concessionario avesse trasferito a terzi la proprietà. La convenzione del 1966, sottoscritta dalla Compagnia Santa Orsola, dante causa del Condominio, e Angelo Ambrosio, dante causa del convenuto Bortolani, è stata correttamente qualificata dalla corte di merito come “concessione precaria”, vincolante inter partes e, pertanto, inidonea ad imporre servitù prediali. Il diritto di credito nascente dalla convenzione, soggetto all’ordinario termine di prescrizione, non va confuso con il diritto del proprietario a non subire pesi che non siano imposti per legge o per contratto. Conseguentemente, il diritto all’accertamento della violazione delle distanze e della demolizione delle opere illegittimamente realizzate non nasce dalla concessione, ma è connessa alle facoltà relative al diritto di proprietà, che, quale diritto reale, è imprescrittibile, salvo gli effetti dell’usucapione. E’, quindi, errata l’affermazione contenuta a pag.14 della sentenza impugnata secondo cui il diritto di credito del concedente, soggetto a prescrizione, estinguerebbe anche il diritto di chiedere il rispetto delle distanze legali come se il diritto di proprietà traesse origine dalla convenzione >>, § 1.4.

E poi: <<Del resto, le convenzioni costitutive di servitù “personali” o “irregolari”, aventi come contenuto limitazioni della proprietà del fondo altrui a beneficio di un determinato soggetto e non di un diverso fondo, sono disconosciute dal codice vigente, in quanto si concretizzano in una utilità del tutto personale e non in un’utilità oggettiva del fondo dominante (Cass. Civ., Sez.II, 26.2.2019, n.5603)>>, § 1.6.

Il deepfake gode della libertà di parola protetta dal Primo Emendamento? No, secondo un recente studio

La risposta è negativa per Blitz, DEEPFAKES AND OTHER NONTESTIMONIAL FALSEHOODS:WHEN IS BELIEF MANIPULATION (NOT)FIRST AMENDMENT SPEECH?, Yale Journal of Law & TechnologyVolume 23, Fall 2020, p. 160 ss.

Conclusioni: <<Is all such deception protected by the First Amendment? If not, does it at least protect the deepfake video on the ground that video is now a recognized medium of expression? My argument in this article is that it does not. Video is, of course, in many circumstances, a medium of artistic expression, and deepfake technology can play a role in such artistic expression. Not only it is a tool for professional filmmakers to tell fictional stories. It is a means by which authors canvisually illustrate or embellish their arguments. But my argument here has been that video doesn’t always serve as a vessel for an author’s ideas. It has long served as a record of what a camera captured rather than as a picture and storyteller orargumentmaker wishes to show us. First Amendment law should leave government with room to preserve this nontestimonialfunction of video>>, p. 299-300.

Il che non significa che manchino di protezione ex 1st Em. in assoluto: <<The same deepfake that deceives an audience in one context, after all, can educate and entertain it in another. The same deepfake that is viewed as evidence external to a speaker might, at another time, be seen as a vessel for a speaker’sexpression. Deepfakes are thus in a First Amendment middle groundone where courts should seek to protect them when and to the extent they are expressive, but let government expose them as deepfakes when they pose as genuine camera footage.>>, ivi

Assignor estoppel: sulla buona fede negli atti dispositivi del diritto di brevetto

Ripasso della dottrina dell’assignor estoppel (AE) nel diritto brevettuale da parte della corte suprema USA (S.C., 29.06.2021, Minerva surgical c .Hologica e altri, n° 20-440).

L’AE è una difesa che impedisce di eccepire la invalidità del brevetto che si era in prcedenza ceduto (venduto).

Si tratta dunque di una preclusione del diritto di far valere fatti estintivi/modificativi della pretesa altrui, basata sul divieto di venire contra factum proprium.

E’ parte del più generale istituto dell’estoppel , tipico del common law.

La SC ribadisce la validità dell’istituto, fondato sulla necessità di coerenza nella condotta del dante causa: <<, we do not think, as Minerva claims, that contem-porary patent policy—specifically, the need to weed out bad patents—supports overthrowing assignor estoppel. In re-jecting that argument, we need not rely on stare decisis: “[C]orrect judgments have no need for that principle to prop them up.” Kimble v. Marvel Entertainment, LLC, 576 U. S. 446, 455 (2015). And we continue to think the core of as-signor estoppel justified on the fairness grounds that courts applying the doctrine have always given. Assignor estop-pel, like many estoppel rules, reflects a demand for con-sistency in dealing with others. See H. Herman, The Law of Estoppel §3 (1871) (“An estoppel is an obstruction or bar to one’s alleging or denying a fact contrary to his own pre-vious action, allegation or denial”). When a person sells his patent rights, he makes an (at least) implicit representation to the buyer that the patent at issue is valid—that it will actually give the buyer his sought-for monopoly.3 In later raising an invalidity defense, the assignor disavows that implied warranty. And he does so in service of regaining access to the invention he has just sold. As the Federal Cir-cuit put the point, the assignor wants to make a “represen-tation at the time of assignment (to his advantage) and later to repudiate it (again to his advantage).” DiamondScientific,848 F. 2d, at 1224; see supra, at 4. By saying one thing and then saying another, the assignor wants to profit doubly—by gaining both the price of assigning the patent and the continued right to use the invention it covers. That course of conduct by the assignor strikes us, as it has struck courts for many a year, as unfair dealing—enough to out-weigh any loss to the public from leaving an invalidity de-fense to someone other than the assignor.>>, p. 13-14.

In alcuni casi però non opera: precisamente quando non c’è ragione di ravvisare affidamento nell’avente causa: <<Still, our endorsement of assignor estoppel comes with limits—true to the doctrine’s reason for being. Just as we guarded the doctrine’s boundaries in the past, see supra, at 7– 8, 11–13, so too we do so today. Assignor estoppel should apply only when its underlying principle of fair dealing comes into play. That principle, as explained above, de-mands consistency in representations about a patent’s va-lidity: What creates the unfairness is contradiction. When an assignor warrants that a patent is valid, his later denial of validity breaches norms of equitable dealing. And the original warranty need not be express; as we have ex-plained, the assignment of specific patent claims carries with it an implied assurance. See supra, at 13. But when the assignor has made neither explicit nor implicit repre-sentations in conflict with an invalidity defense, then there is no unfairness in its assertion. And so there is no ground for applying assignor estoppel>>, p. 14-15.

L’affermazione della SC mi  pare esatta.

la Sc offre alcuni casi di non operatività dell’AE:

i) un esempio <<of non-contradiction is when the assign-ment occurs before an inventor can possibly make a war-ranty of validity as to specific patent claims>>.

ii) un secondo esempio è << when a later legal development ren-ders irrelevant the warranty given at the time of assign-ment. Suppose an inventor conveys a patent for value, with the warranty of validity that act implies. But the governing law then changes, so that previously valid patents become invalid>.

III) un terzo esempio (il più stimolante teoricamente) è la modifica delle rivendicaizoni: <<another post-assignment develop-ment—a change in patent claims—can remove the ra-tionale for applying assignor estoppel. Westinghouse itself anticipated this point, which arises most often when an in-ventor assigns a patent application, rather than an issued patent. As Westinghouse noted, “the scope of the right con-veyed in such an assignment” is “inchoate”—“less certainly defined than that of a granted patent.” 266 U. S., at 352–353; see supra, at 9. That is because the assignee, once he is the owner of the application, may return to the PTO to “enlarge[]” the patent’s claims. 266 U. S., at 353;see 35 U. S. C. §120; 37 CFR §1.53(b). And the new claims result-ing from that process may go beyond what “the assignor in-tended” to claim as patentable. 266 U. S., at 353. Westing-house did not need to resolve the effects of such a change, but its liberally dropped hints—and the equitable basis for assignor estoppel—point all in one direction. Assuming that the new claims are materially broader than the old claims, the assignor did not warrant to the new claims’ va-lidity. And if he made no such representation, then he can challenge the new claims in litigation: Because there is no inconsistency in his positions, there is no estoppel. The lim-its of the assignor’s estoppel go only so far as, and not be-yond, what he represented in assigning the patent applica-tion>>, p. 15-16.

Si v. la sintesi, sempre utile, presente nell’iniziale Syllabus , come costume per le pronunce della SC.

Azione contrattuale contro Youtube per discriminazione etnico/razziale respinta da una corte californiana

La corte del distretto nord della california, s. Josè division, 25.06.2021, KIMBERLY CARLESTE NEWMAN, e altri c. Google e altri, case No.20CV04011LHK, rigetta varie domande contrattuali di utenti contro Youtube, basate su pretese discrminazioni razziali.

Gli attori, gerenti canali su Youtube , ritengono di essere stati discriminati in vari modi: filtraggi ingiustificati, solo per la loro provenienza razziale, nella Restricted Mode; riduzione o impedimento delle chance di monetizzazine, non venendo agganciati ad advertisment; shadow banning e altre pratiche, ad es. qualificando i video come soggetti a Restricted Mode ( dettagli a p. 2-4).

La domanda di violazione ex sec- 1981 del 42 US CODE (Equal rights under the law: normativa antidiscriminatoria) è rigettata per assenza di prova dellelemenot intenzionaleò, p. 9 ss.

Ma qui interessa spt. il punto del Primo Ementamento, p. 15 ss: la condotta di Y,. non è state action nè tale diventa per la protezione di legge offerta dal safe harbour ex § 230 CDA (tesi alquanto astrusa, invero).

(notizia e link alla sentenza tratta dal blog di Eric Goldman)

Studente vs. ente scolastico: il diritto di critica nel campus arriva alla Suprema Corte USA

La Suprema corte statunitense si occupa di un singolare caso di diritto di parola di uno studente verso la propria scuola (Supreme Court MAHANOY AREA SCHOOL DISTRICT v. B. L., n. 20-255, 23.06.2021: vedila qui).

Era capitato che la studentessa BL fosse stata escluso dal ruolo ambito nella cheerleaders squad e che le fosse stato offerto un altro ruolo , non gradito e non accettato.

Sucessivamente, arrabbviata, BL aveva caricato su Snapchat dei post critici verso la scuola: <<that weekend, B. L. and a friend visited the Cocoa Hut, a local convenience store. There, B. L. used her smartphone to post two photos on Snapchat, a social media applicationthat allows users to post photos and videos that disappear after a set period of time. B. L. posted the images to herSnapchat “story,” a feature of the application that allowsany person in the user’s “friend” group (B. L. had about 250 “friends”) to view the images for a 24 hour period. The first image B. L. posted showed B. L. and a friend with middle fingers raised; it bore the caption: “Fuck schoolfuck softball fuck cheer fuck everything.” App. 20. The second image was blank but for a caption, which read: “Lovehow me and [another student] get told we need a year of jv before we make varsity but tha[t] doesn’t matter to anyone else?” The caption also contained an upside-down smiley-face emoji. Id., at 21. B. L.’s Snapchat “friends” included other Mahanoy AreaHigh School students, some of whom also belonged to the cheerleading squad. At least one of them, using a separatecellphone, took pictures of B. L.’s posts and shared them with other members of the cheerleading squad. One of the students who received these photos showed them to her mother (who was a cheerleading squad coach), and the images spread. That week, several cheerleaders and other students approached the cheerleading coaches “visibly upset” about B. L.’s posts. Id., at 83–84. Questions about the posts persisted during an Algebra class taught by one of thetwo coaches. Id., at 83>>

Segue sanzione da parte della scuola , consistente nella sospensione della sua partecipazione a tutte le attività di quel tipo.

La ragazza e la famiglia impugnano giudizialmente.

la SC dice che il diritto di parola esiste anche per lo studente e lo fa prevalere.

Tre sono le peculiarità del diritto di intervneto della scuola: <<First, a school will rarely stand in loco parentis when a student speaks off campus. Second, from the student speaker’s perspective, regulations of off-campus speech, when coupled with regulations of on-campus speech, include all the speech a student utters during the full 24-hour day.That means courts must be more skeptical of a school’s efforts to regulate off-campus speech, for doing so may mean the student cannot engage in that kind of speech at all. Third, the school itself has an interest in protecting a student’s unpopular expression, especially when the expression takes place off campus, because America’s public schools are the nurseries of democracy>>, p. 6-8

Applicando ciò al caso de quo, il diritto di parola e di critica della studentessa prevale: la sospensione dalla squadra è ingiustificata.

La volgarità delle espressioni di critica non è di ostacolo: << Putting aside the vulgar language, the listener would hear criticism, of the team, the team’s coaches, and the school—in a word or two, criticism of the rules of a community of which B. L. forms a part. This criticism did not involve features that would place it outside the First Amendment’s ordinary protection. B. L.’s posts, while crude, did not amount to fighting words. See Chaplinsky v. New Hampshire, 315 U. S. 568 (1942). And while B. L. used vulgarity, her speech was not obscene as thisCourt has understood that term. See Cohen v. California, 403 U. S. 15, 19–20 (1971). To the contrary, B. L. uttered the kind of pure speech to which, were she an adult, the First Amendment would provide strong protection. See id., at 24; cf. Snyder v. Phelps, 562 U. S. 443, 461 (2011) (First Amendment protects “even hurtful speech on public issuesto ensure that we do not stifle public debate”)…. Consider too when, where, and how B. L. spoke. Her posts appeared outside of school hours from a location outside the school. She did not identify the school in her postsor target any member of the school community with vulgaror abusive language. B. L. also transmitted her speechthrough a personal cellphone, to an audience consisting ofher private circle of Snapchat friends. These features of her speech, while risking transmission to the school itself, nonetheless (for reasons we have just explained, supra, at 7–8)diminish the school’s interest in punishing B. L.’s utterance>>, p. 8-9

E sul l’interesse della scuola a proibire l’uso di linguaggio volgare ? Ha tutela assai ridotta in condotte tenute al di fuori del campus: <<The school’s interest in teaching good manners and consequently in punishing the use of vulgar language aimed at part of the school community is weakened considerably by the fact that B. L. spoke outside the school on her own time. B. L. spoke under circumstances where the school did not stand in loco parentis. And the vulgarity in B. L.’s posts encompassed a message of criticism. In addition, the school has presented no evidence of any general effort to prevent students from using vulgarity outside the classroom. Pp. 9–10. (4)The school’s interest in preventing disruption is not supportedby the record, which shows that discussion of the matter took, at most,5 to 10 minutes of an Algebra class “for just a couple of days” and thatsome members of the cheerleading team were “upset” about the content of B. L.’s Snapchats. App. 82–83. This alone does not satisfy Tinker’s demanding standards. Pp. 10–11.(5)Likewise, there is little to suggest a substantial interferencein, or disruption of, the school’s efforts to maintain cohesion on theschool cheerleading squad. P. 11.>> (dal Syllabus)

Opinione dissenziente del giudice Thomas, che vede non rispettata -senza giustificazione- la regola giurisprudenziale, per cui <<A school can regulate speech when it occurs off campus, so long as ithas a proximate tendency to harm the school, its faculty or students, or its programs>>, p. 4.. Egli precis che è vero che certe corti hanno fatto affermazioni <<that, if read in isolation, could suggest that schools had no authority at all to regulate off-campus speech. E.g., Dritt v. Snodgrass, 66 Mo. 286, 297 (1877) (Norton, J., joined by a majority of the court, concurring) (“neither the teacher nor directors have the authority to follow [a student home], and govern his conduct while under the parental eye” because that would “supersede entirely parental authority”). But, these courts made it clear that the rule against regulating off-campus speechapplied only when that speech was “nowise connected with the management or successful operation of the school.” King v. Jefferson City School Bd., 71 Mo. 628, 630 (1880)(distinguishing Dritt); accord, Lander, 32 Vt., at 120–121 (similar)>>, ivi

Questione interessante. Nonostante l’apparentente banalità dei fatti (esclusione dai cheerleaders teams; bisognerebbe però calarsi nella realtà locale per capire l’importanza di ciò nella società statunitense) , il diritto di critica viene tutelato anche in relazione ad essi.