Safe harbour ex 230 CDA: un’applicazione semplice in una fattispecie di diffamazione

La Superior Court del Delaware, 11.02.2021, Page c. Oath inc., C.A. n° S20C-07-030-CAK,  decide una piana questione di safe harbour ex 230 CDA in una lite per diffamazione.

Carter Page (noto perchè legato all’affaire USA-Russia nell’amministrazione Trump) cita Oath inc. , capogruppo proprietaria di Yahoo e di theHuffington Post.com) per diffamzione circa  11 articoli lesivi, 4 di dipendenti e 7 ad opèera di collaboratori esterni, apparsi sulla seconda piattaforma.

Naturalmente Oath invoca il safe harbour.

Altrettanto naturalmente la Corte lo concede (pp. 17-19).

Pacificamente iatti ne ricorrono i tre requisiti:

1-che sia internet provider

2-che il provier non ne fosse l’autore

3-che l’azine svolta lo consideri come publisher/speaker.

Caso semplice, indubbiamente e lo dice pure la Corte: <<this is not a controversial application of sectine 230>, p. 19

Interruzione della gravidanza: solo per anomalie del feto già accertate o anche solo probabili?

Per l’art. 6 L. 194/1978, <<l’interruzione  volontaria  della  gravidanza, dopo i primi novanta giorni, puo’ essere praticata:     a)  quando  la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;     b)  quando  siano  accertati  processi patologici, tra cui quelli relativi  a  rilevanti  anomalie  o  malformazioni del nascituro, che determinino  un  grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna>>.

la SC ha dovuto affrontare la questione del <<se, al fine di ritenere consentita l’interruzione della gravidanza, rilevino solo i processi patologici che risultino già esitati in accertate anomalie o malformazioni del feto oppure anche i processi patologici che possano determinare (con alta probabilità) tali anomalie o malformazioni, a prescindere dal fatto che le medesime siano state accertate, ove comunque emerga l’idoneità della stessa esistenza di un processo patologico potenzialmente nocivo per il nascituro a provocare un grave pregiudizio per la salute della donna (tale da legittimarne il ricorso all’interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno e fino a quando non sussista possibilità di vita autonoma del feto).>> (Cass. , III, 653 del 15.01.2021, rel. Sestini, p. 8).

La Sc aderisce alla seconda alternativa.

L’adesione all’una o all’altra delle due opzioni è tale da comportare esiti opposti; è evidente – infatti – <<che la prima conduce a ritenere (così come ha fatto la Corte di Appello) che, pur in presenza di una patologia materna idonea a determinare, con rilevante grado di probabilità, gravi malformazioni del feto, la donna che abbia superato i novanta giorni di gestazione non possa effettuare la scelta abortiva anche a fronte di un grave pericolo per la sua salute psichica (quale potrebbe conseguire alla consapevolezza di portare in grembo un feto molto probabilmente menomato); l’adesione alla seconda consente viceversa – di accertare, caso per caso, se la stessa esistenza di una patologia potenzialmente produttiva di malformazioni fetali sia tale da determinare il grave pericolo per la salute della donna che giustifica il ricorso all’interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno (e fino al momento in cui il feto non abbia acquistato possibilità di vita autonoma).>>

Questa la motivaizone.

<<il legislatore ha dunque posto l’accento sull’esistenza di un “processo patologico” (che può anche non essere attinente ad anomalie o malformazioni fetali) e sul fatto che lo stesso possa cagionare un grave pericolo per la salute della donna;

a ciò deve aggiungersi la considerazione che l’aggettivo “relativi” (riferito a processi patologici e collegato a “rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro”) esprime, di per sè, un generico rapporto di inerenza fra la patologia e la malformazione che non postula necessariamente l’attualità della seconda e che consente di riconoscere rilevanza anche alla sola probabilità che il processo patologico determini il danno fetale;

deve pertanto ritenersi che, laddove si riferisce a processi patologici “relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del feto”, la L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), non richieda che la anomalia o la menomazione si sia già concretizzata in modo da essere strumentalmente o clinicamente accertabile, ma dia rilievo alla circostanza che il processo patologico possa sviluppare una relazione causale con una menomazione fetale;

deve sottolinearsi come lo stesso sintagma “processo patologico” individui una situazione biologica in divenire, che può assumere rilevanza per il solo fatto della sua esistenza e della sua attitudine a determinare ulteriori esiti patologici, a prescindere dal fatto che tale potenzialità si sia già concretamente tradotta in atto; cosicchè deve ritenersi, in relazione al caso in esame, che anche la sola circostanza dell’esistenza di un’infezione materna da citomegalovirus possa rilevare al fine di apprezzare l’idoneità di tale processo patologico a determinare nella S. -compiutamente edotta dei possibili sviluppi – il pericolo di un grave pregiudizio psichico in considerazione dei potenziali esiti menomanti;>>.

Nello stesso senso orienta la ratio della norma che, <<ponendo l’accento (come detto) sul processo patologico e sul grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, impone di riconoscere rilevanza alle situazioni in cui la patologia, ancorchè non ancora esitata in menomazione fetale accertata, risulti comunque tale da poter determinare nella donna – che sia stata informata dei rischi per il feto – un grave pericolo per la sua salute psichica;

deve pertanto ritenersi che un tale pericolo – da accertarsi, in ogni caso, in concreto – possa determinarsi non solo nella gestante che abbia contezza dell’esistenza di gravi malformazioni fetali, ma anche in quella che sappia di aver contratto una patologia atta a produrre, con apprezzabile grado di probabilità, anomalie o malformazioni del feto>>.

Ciò comporta, sotto il profilo dell’obbligo informativo, che il medico al quale la gestante si sia rivolta per conoscere i rischi correlati ad un processo patologico <<deve informarla compiutamente della natura della malattia e della sue eventuali potenzialità lesive del feto, onde prospettare alla stessa un quadro completo della situazione attuale e dei suoi possibili sviluppi; dal che consegue che l’omissione di un’informazione corretta e completa sulla pericolosità del processo patologico non consente alla gestante di acquisire elementi che – se conosciuti – potrebbero determinare nella stessa la situazione di pericolo per la salute psichica che potrebbe giustificarne la scelta abortiva>>.

Al social network non si applica la state action doctrine: altra decisione in tale senso

In Perez c. Linkedin,  la US DC Norther district of California, san Josè Division, 05.02.2021, caso n°  5:20-cv-07238-EJD,  affronta la ormai vechia questione del se esista un diritto dell’utente a non essere “zittito” da un social network (Linkedin, ne,l caso, che prima cancellò dei post e poi sospese l’account).

La risposta è negativa: il primo emendamento si applica solo a casi di <<state action>> e un social è un ente privato.

<< Tthe First Amendment provides that “Congress shall make no law . . . abridging the freedom of Speech. U.S. Const. amend. I. A fundamental precept of the First Amendment establishes “that the Free Speech Clause prohibits only governmental abridgment of speech.” Manhattan Cmty. Access Corp. v. Halleck, 139 S. Ct. 1921, 1928 (2019). The First Amendment does not prohibit a private entity’s abridgment of speech. Denver Area Educ. Telecommunications Consortium, Inc. v. F.C.C., 518 U.S. 727, 737 (1996). This separation of  constitutional enforcement between state actors and private individuals actually “protects a robust sphere of individual liberty.” Manhattan Cmty. Access Corp., 139 S. Ct. at 1928. Courts across the country have found social media companies are private, not state actors. See Young v. Facebook, Inc., No. 5:10-CV-03579-JF/PVT, 2010 WL 4169304, at *3 (N.D. Cal. Oct. 25, 2010); Shulman v. Facebook.com, No. CV 17-764 (JMV), 2017 WL 5129885, at *4 (D.N.J. Nov. 6, 2017).

Here, Perez has not put forth any facts or caselaw to suggest LinkedIn is a state actor subject to the First Amendment >>, p. 6.

La dottrina è divisa, invece: v. il mio <<La responsabilità civile degli internet service provider per i materiali caricati dagli utenti (con qualche considerazione sul ruolo di gatekeepers della comunicazione)>>,  alle note 379-380.

Strano che i giudici statunitensi non ragionino per analogia: come un tempo i pericoli alla libertà potevano provenire dallo Stato, oggi possono provenire (anche) da enti privati dotati di enormi dimensioni e poteri. In effetti impera (o imperava) la dottrina dell’originalism, per cui conta soprattutto l’intento del legislatore storico, portata avanto soprattuitto da Robert Bork (sulla cui figura v. ora Vinceti S.R., L’originalista: l’interpretazione costituzionale nel pensiero e nella vita di Robert Bork, Dirit. pubbl. comp. eur. online, 2020/4 .

(notizia e link alla sentenza dal blog di Eric Goldman)

Ruolo di Google nella vendita di app per videogiochi che violano la disciplina sulle scommesse: può invocare il safe harbour ex § 230 CDA?

In una class action si ritiene che un’applicazione per video giocbhi (Loot Boxes) costituisca vioalazione della disciplina consumeristica sulle scommesse (modalità di gamble).

L’app è venduta sul Google play store.

Gli attori dunque citano Google per violazione della disciplina consumeristica e perchè ne approfitta, percependo la sua quota sul prezzo di vendita (pari al 30%)

Il problema qui accennato è se Google (G.)  possa fruire del safe harbour (s.h.) ex § 230 CDA.

Secondo la U.S. D.C. Northern district court of Califonia San josè Division , Coffee e altri c. Google LLC, Case No. 20-cv-03901-BLF, 10.02.2021, la risposta è positiva:  G. ha diritto al s.h.

V.si sub III.B.2 Discussion, p. 9 ss.

Ne ricorrono infatti i tre requisiti, enucleati dalla sentenza Barnes v. Yahoo!, Inc., 570 F.3d 1096, 1099 (9th Cir. 2009):
1° che si tratti di internet service provider, sub a) p. 9;

2° che la domanda attorea qualifichi la condotta di G. come quella propria di publisher o speaker;

3° che si tratti di informazione ospitata ma prodotta in toto da terzo (cioè che non si tratti di content provider).

Per la corte ricorrono tutte e tre, sicchè il s.h. va concesso a G..

Non c’è contestazione sul primo.

Sul secondo requisitio , gli attori tentano di dire che il s.h. riguarda solo lo speech, non la vendita di app: ma la Corte dice che si tratta di affermazione non provata e che c’è un precedente in senso opposto, p. 10.

Nemmeno  serve dire che l’addebito consisterebbe nel ruolo facilitante di G. delle scommesse illegali: non è stato sufficientemente chiarito quale sia stata l’illiceità nella condotta di Goolgle, p. 11-12.

Sul terzo requisito, gli attori dicono che G. è coproduttore dell’informazione (l’app.), e duqnue content provider,  per tre motivi, che la Corte però partitamente respinge così:

<< First, Plaintiffs allege that Google requires app developers “to disclose the ‘odds of winning’ particular items in the Loot Boxes for the games it distributes.” Compl. ¶ 12. Plaintiffs do not explain how disclosure of odds contributes to the alleged illegality of Loot Boxes, and the Court is at a loss to understand how Google’s conduct in requiring such disclosure contributes to the alleged illegality. Plaintiffs also allege that Google provides “ESRB-based age-ratings for games in its Google Play store.” Compl. ¶ 94. Plaintiffs explain that “[i]n the United States, the videogame industry ‘self-regulates’ through the Entertainment Software Ratings Board (‘ESRB’).” Compl. ¶ 93. “According to the ESRB’s website, ESRB ratings provide information about what’s in a game or app so parents and consumers can make informed choices about which games are right for their family.” Id. “Ratings have 3 parts: Rating Categories, Content Descriptors, and Interactive Elements.” Id. Plaintiffs do not explain how providing industry-standard app ratings contributes materially to the illegality of Loot Boxes. Finally, Plaintiffs allege that while Google discloses that games allow inapp purchases, “there is no notice – and no requirement of any notice by Google – to the parent or the child that a game contains Loot Boxes or other gambling mechanisms.” Compl. ¶ 95. Plaintiffs cite no authority for the proposition that omission of information can constitute “development” of content.>>, p. 13.

Pertanto l’imminutà va concessa.

Anche se le Loot Boxes fossero illegali, e se G. -si badi!- lo sapesse, l’immunità si applicherebbe lo stesso perchè  il ruolo di G. rimarrebbe passivo, come nel noto precedente Fernando Valley v. Roommates.Com, 521 F.3d 1157 (9th Cir. 2008):

<< because Plaintiffs have alleged no more than Google’s “passive acquiescence in the misconduct of its users.” Roommates, 521 F.3d at 1169 n.24. Google cannot be held liable for merely allowing video game developers to provide apps to users through the Google Play store, as “providing third parties with neutral tools to create web content is considered to be squarely within the protections of § 230.” Goddard, 2008 WL 5245490, at *3.   “Moreover, even if a service provider knows that third parties are using such tools to create illegal content, the service’s provider’s failure to intervene is immunized.” Id. The Ninth Circuit emphasized the importance of these safeguards for websites in Roommates, stating that “close cases, we believe, must be resolved in favor of immunity, lest we cut the heart out of section 230 by forcing websites to face death by ten thousand duck-bites, fighting off claims that they promoted or encouraged – or at least tacitly assented to – the illegality of third parties.” Roommates, 521 F.3d at 1174 >>, p. 14

(notizia della sentenza dal blog di Eric Goldman)

Privacy, libertà di informazione e copyright nel caso Meghan Markle c. Daily Mail

Si pronuncia l’Alta Corte inglese sul caso Meghan Markle (MM) c. Daily Mail e Mail on Sunday (poi anche : l’Editore).

Precisamente si tratta di HIGH COURT OF JUSTICE CHANCERY DIVISION BUSINESS AND PROPERTY COURTS INTELLECTUAL PROPERTY LIST,  The Duchess of Sussex c. Associated Newspapers Limited, 11.02.2021, [2021] EWHC 273 (Ch) Case No: IL-2019-000110 .

Di fronte alla pubblicazione non autorizzata da parte del Mail della propria lettera al proprio genitore (i rapporti non erano facili) , MM cita l’editore per  violazione di privacy e di copyright., § 61

I fatti sono esposti ai §§ 1 ss.

PRIVACY

Le difese dell’Editore sono:
<<It maintains that the contents of the Letter were not private or confidential as alleged, and that the claimant had no reasonable expectation of privacy. Further or alternatively, any privacy interest she enjoyed was slight, and outweighed by the need to protect the rights of her father and the public at large. The defendant’s pleaded case is diffuse and hard to summarise. But prominent features are contentions that, even if the claimant might otherwise have had any privacy rights in respect of the Letter,

(1) such rights were (a) limited, given the legitimate public interest in the activities of the Royal family and the claimant’s status as a “high-ranking member” of that family, and (b) destroyed, weakened or compromised by (i) her knowledge of her father’s propensity to speak to the media about their relationship, (ii) the fact that publication of the existence and contents of the Letter was lawful in the US, (iii) her own conduct in causing, authorising, or intending publicity about the Letter and/or her relationship with her father more generally, and/or (iv) the publication of information about the Letter;

(2) the People Article gave a misleading account of the father-daughter relationship, the Letter and Mr Markle’s letter in response, such that (in all the circumstances) public disclosure of the contents of the Letter in the Mail Articles was justified to protect the rights and interests of Mr Markle and the public at large>> (§ 6).

Si noti sub 2) : il Mail pretende di fondare la liceità della pubblicazione di ampi brani (v. sotto) della lettera, per corregere l’errore in cui potrebbe cadere il pubblico in base a precedente pubblicazione (da parte di altro gionale: The People) di un articolo sul rapporto padre figlia, a suo dire distorcente la verità.

Ai §§ 28 ss i fondamenti del diritto alla privacy.

Al § 45 il testo integrale della lettera  e al § 46 di quello della replica (di tre righe) del padre a MM.

A § 47 ss trovi  la pubblicazione pretesamente distorcente del People.

Che esista un diritto alla privacy sulla lettera è esaminato a accertato ai §§ 64-95 <<Stage one: reasonable expectation of privacy>>).

Punto interessante è quello per chui è irrilevante l’inclinazione del padre (destinatario della missiva) a violare la privacy altrui: <<But even assuming the facts to be as pleaded, they are not capable of defeating the claimant’s case that, objectively speaking, she had a right to expect her father to keep the contents of the Letter private. A person’s rights against another are not defeated by the prospect that those rights may be ignored or violated. A high level of risk-taking might be capable of affecting the assessment of damages, but does not excuse an intrusion into privacy: see Mosley v News Group Newspapers Ltd [2008] EWHC 1777 (QB) [2008] EMLR 20 [225-226] (Eady J).>>, § 78.

Affermazione importante e condivisibile.

Al § 86 (e § 98) l’affermzione (scontata) per cui la pubblicizzazione di alcuni aspetti della propria vita non autorizza i terzi a pubblicizzarne altri: il controllo riamane in toto in capo all’interessato.

Lo stage 2 , § 96 ss, esamina il bilanciamento con la liberà di espressione, tra cui quella di correggere false impressioni nel pubblico (punto centrale: § 104).

La risposta è negativa nel caso de quo: la pretesa correzione tramite la pubblicazione di quasi metà lettera di un eventuale errore di minima entità  è sproporzionata (§ 120)

La conclusione è dunque questa:

<<The claimant [cioè MM] had a reasonable expectation that the contents of the Letter would remain private. The Mail Articles interfered with that reasonable expectation. The only tenable justification for any such interference was to correct some inaccuracies about the Letter contained in the People Article. On an objective review of the Articles in the light of the surrounding circumstances, the inescapable conclusion is that, save to the very limited extent I have identified, the disclosures made were not a necessary or proportionate means of serving that purpose. For the most part they did not serve that purpose at all. Taken as a whole the disclosures were manifestly excessive and hence unlawful. There is no prospect that a different judgment would be reached after a trial. The interference with freedom of expression which those conclusions represent is a necessary and proportionate means of pursuing the legitimate aim of protecting the claimant’s privacy.>>, § 128.

COPYRIGHT

Sul copyright la quesrtione più interssante è l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, dato che la lettera sarebbe stata scritta non da MM (o da lei sola) ma da quattro membri dell’Ufficio segretariale di  Kensington Palace Communications Team, (the “Palace Four”), in realtà poi da uno solo d iquesti, Mr. Knauf.

Resta invece assodato che ricorra la originnalità, § 139-149, ove riepilogo delle principali teorie e dei principali precedenti anche europei (si noti che le allegazioni processuali distinguono tra la lettera realmente inviata e una sua previa Electronic Draft, che  è quella in realtà azionata in causa, § 136)..

Pure la violazione del copyright è accertata, vista la copiatura di 585 parole su 1250 ( § 150).

Sono respinti due motivi di legittimuità della pubblicazione (fair dealing in news reporting, data la concorenza all’eventuale sfruttamento del diritto di autore da parte di MM, e  un altro, § 152-158).

Infine la titolarità, § 159 ss

Che dei quattro ve ne sia uno che collaborò, Mr Knauf, pare probabile (§ 135-138), anche se non in solitaria ma semmai come coautore.

Ma su questo proseguirà il processo, § 169-170.

Commento sostanzialmente favorevole da parte dell’ex direttore del Guardian, Alan Rusbridger, in It will come as a surprise to some, but even Meghan has a right to her privacy del 14.02.2021.

Piano d’azione per la democrazia europea

Qualche giorno prima di far uscire l bozze della legge sui servizi digitali e della legge mercati digitali , la Commissione UE ha fatto uscire il Programma (action plan) –niente po’ po’ di meno che-  per la democrazia europea.

Si tratta della COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO, AL CONSIGLIO, AL COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO E AL COMITATO DELLE REGIONI sul piano d’azione per la democrazia europea, COM(2020) 790 final, del 03.12.2020 .

L’obiettivo (§ 1) è quello di:

  1. promuovere elezioni libere e regolari e una forte partecipazione democratica;
  2. sostenere mezzi d’informazione liberi e indipendenti; nonché
  3. contrastare la disinformazione.

Circa il punto 1, i sottoargomenti sono:

Trasparenza della pubblicità e della comunicazione di natura politica: importante, visto che mirerà ad introdurre una < legislazione volta a garantire una maggiore trasparenza nel settore dei contenuti sponsorizzati in un contesto politico (“messaggi pubblicitari di natura politica”)>.

Regole più chiare sul finanziamento dei partiti politici europei;

Rafforzamento della cooperazione nell’UE per garantire elezioni libere e regolari;

Promozione dell’impegno democratico e della partecipazione attiva al di là delle elezioni;

Circa il punto 2, i sottoargomenti sono:

Sicurezza dei giornalisti;

Lotta al ricorso abusivo di azioni legali strategiche tese a bloccare la partecipazione pubblica;

Cooperazione più stretta per lo sviluppo e l’attuazione di standard professionali;

Ulteriori misure a sostegno del pluralismo dei media.

Circa il punto 3, i sottoargomenti sono:

Miglioramento delle capacità dell’UE e degli Stati membri di contrastare la disinformazione, con azioni che -a parole- sono assi importanti: *** Sviluppare il pacchetto di strumenti dell’UE per contrastare l’ingerenza straniera e le operazioni di influenza, compresi nuovi strumenti che consentono di imporre oneri ai responsabili e di rafforzare le attività e le task force di comunicazione strategica del SEAE; *** Istituire un nuovo protocollo per rafforzare le strutture di cooperazione esistenti per combattere la disinformazione, sia nell’UE che in ambito internazionale; *** Sviluppare un quadro e una metodologia comuni per raccogliere prove sistematiche sull’ingerenza straniera e un dialogo strutturale con la società civile, i soggetti del settore privato e con altri portatori di interessi al fine di riesaminare con regolarità la situazione di minaccia;  *** Aumentare il sostegno allo sviluppo delle capacità delle autorità nazionali, dei media indipendenti e della società civile nei paesi terzi al fine di individuare e rispondere alle operazioni di disinformazione e ingerenza straniera;

Ulteriori obblighi e responsabilità per le piattaforme online : spt. rafforzerà il Codice di buone pratiche sulla disinformazione del 2018 (ove anche l’elenco delle stesse in allegato) , ed altro;

Consentire ai cittadini di assumere decisioni informate.

Finalmente la bozza europea di regolamentazione delle superpiattaforme digitali (gatekeepers)

Il mese scorso avevo dato notizia della modifica europea della disciplina sui servizi digitali .

Ora riferisco brevemente dell’altro atto presentato assieme, quello sulla equità e concorrenzialità del mercato dei serivizi di piattaforma.

Si tratta della <<Proposta di REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale (legge sui mercati digitali) {SEC(2020) 437 final} – {SWD(2020) 363 final} – {SWD(2020) 364 final} >> del 15 dicembre 2020.

 (qui la pagina di presentazione sintetica nel sito della Commissione).

I doveri posti riguardano coloro che forniscono “servizi di piattaforma di base” (s.p.b.) e che assurgano alla dimensione di “gatekeeper”.

I s.p.b. son indicati dall’art. 2.2:

<<a) servizi di intermediazione online;

b) motori di ricerca online;

c) servizi di social network online;

d) servizi di piattaforma per la condivisione di video;

e) servizi di comunicazione interpersonale indipendenti dal numero;

f) sistemi operativi;

g) servizi di cloud computing;

h) servizi pubblicitari, compresi reti pubblicitarie, scambi di inserzioni pubblicitarie e qualsiasi altro servizio di intermediazione pubblicitaria, erogati da un fornitore di uno dei servizi di piattaforma di base elencati alle lettere da a) a g)>>.

Chi offre tali servizi  è gatekeeper se “a) ha un impatto significativo sul mercato interno; b) gestisce un servizio di piattaforma di base che costituisce un punto di accesso (gateway) importante affinché gli utenti commerciali raggiungano gli utenti finali;c) detiene una posizione consolidata e duratura nell’ambito delle proprie attività o è prevedibile che acquisisca siffatta posizione nel prossimo futuro>>

L’attribuzione di tale status (questo il termine usato, ad es. art. 4) avverrà con criteri quantitativi, indicati dal § seguente:

<<Si presume che un fornitore di servizi di piattaforma di base soddisfi:

a) il requisito di cui al paragrafo 1, lettera a), se l’impresa cui appartiene raggiunge un fatturato annuo nel SEE pari o superiore a 6,5 miliardi di EUR negli ultimi tre esercizi finanziari, o se la capitalizzazione di mercato media o il valore equo di mercato equivalente dell’impresa cui appartiene era quanto meno pari a 65 miliardi di EUR nell’ultimo esercizio finanziario, e se esso fornisce un servizio di piattaforma di base in almeno tre Stati membri;

b) il requisito di cui al paragrafo 1, lettera b), se fornisce un servizio di piattaforma di base che annovera nell’ultimo esercizio finanziario più di 45 milioni di utenti finali attivi mensilmente, stabiliti o situati nell’Unione, e oltre 10 000 utenti commerciali attivi annualmente stabiliti nell’Unione;

ai fini del primo comma, con utenti finali attivi mensilmente si fa riferimento al numero medio di utenti finali attivi mensilmente nel corso della maggior parte dell’ultimo esercizio finanziario;

c)il requisito di cui al paragrafo 1, lettera c), se le soglie di cui alla lettera b) sono state raggiunte in ciascuno degli ultimi tre esercizi finanziari>>.

Ciò accertato , i doveri conseguenti sono indicati nell’art. 5 <<Obblighi dei gatekeeper>>.

Ci sono poi quelli dell’art. 6 <<Obblighi dei gatekeeper che potranno essere oggetto di ulteriori specifiche >>.

Circa l’art. 6, si tratta di una strana situazione giuridica soggettiva, della quale sarebbe interessante accertare gli antecedenti nella storia giuridica (se ve ne sono).

Dai conss. 33-38 e soprattutto dall’art. 7 (§ 2 segg.) pare di intendere  che i doveri ex art. 6 (quelli suscettibili di ulteriori specifiche) possono essere dettagliati dalla Commisione se gli impegni o le prassi adottate non la soddisferanno. Il dettaglio (la specificazione) , si badi, pare avverà con atto non generale ed astratto, bensì concreto e cioè ritagliato su misura del singolo gatekeeper.

Si tratta di disposizioni decisamente interessanti sotto il profilo del drafting legislativo, con qualche ricaduta pure teorica (si tratta di un obbligo pieno o condizionato? cioè la relativa fattispecie normativa di produzione è a formazione progressiva?).

Non chiara poi è la disposizione di cui al § 1 dell’art. 7, che però riguarda sia gli obblighi ex art. 5 che quelli ex art. 6 : <<Le misure attuate dal gatekeeper per garantire l’osservanza degli obblighi sanciti dagli articoli 5 e 6 sono efficaci ai fini del conseguimento dell’obiettivo del pertinente obbligo. Il gatekeeper garantisce che tali misure siano attuate nel rispetto del regolamento (UE) 2016/679 e della direttiva 2002/58/CE, nonché della legislazione in materia di cibersicurezza, protezione dei consumatori e sicurezza dei prodotti>> (mentre invece, come detto, il potere di dettare specifiche , di cui ai §§ 2 segg., riguarda solo gli obblighi ex art. 6).

Parrebbe, in breve, che gli obblighi ex art. 5 fossero d’imperio ritenuti sufficientemente precisi (self executing) , mentre quelli ex art. 6 potrebbero esserlo come no,  in base alla valutazione che potrà dare la Commissione circa la loro attuazione da parte della singola piattaforma .

I due tipi di obblighi  (ex artt. 5 e 6) costitusicono la parte più importante (the core) del DMA, secondo Cabral, L., Haucap, J., Parker, G., Petropoulos, G., Valletti, T. and Van Alstyne, M., The EU Digital Markets Act, A Report from a Panel of Economic Experts, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2021, ISBN 978-92-76-29788-8 , p. 10.

L’inderogabilità è chiarita dalle regole antielusive ex art. 11.

Interessante  è l’obbligo di audit semestrale sulle tecniche di profilazione, art. 13.

In fine, l’enforcement (capo V, art. 18 ss.), basato sulla struttura normativa della legislazione antitrust.

L’inosservanza porta ad ammende significative, art. 25 e 26.

Sono previste penalità di mora, art. 27

La prescrizione per l’emissione di provvedimenti è di anni tre (dai fatti sub iudice),  mentre quella per il darvi esecuzuione è di anni cinque (dalla definitività del provvedimento).

Sulla legittimazione passiva dell’amministratore condominiale

La domanda di risarcimento danni provnienti da negligente manutenzione delle cose comuini può essere rivolta verso l’amminstratore solamente? cioè costui ha legittimazione passiva (e dunque può eventualmente anche proporre impugnazione)?

La risposta è positiva per Cass. 29.01.2021 n. 2127, Finrami srl c. Cond. Monti Maggiò, est. Scarpa, visto che l’art. 1130 n. 4 gli attribuisce il compito di conservare le parti comuni .

<<Corretta è la statuizione della Corte d’appello secondo cui sussiste la legittimazione passiva dell’amministratore (e quindi anche quella a proporre impugnazione avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio), senza necessità di autorizzazione dell’assemblea a costituirsi nel giudizio, rispetto alla controversia relativa alla domanda di risarcimento dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione di un bene condominiale, essendo l’amministratore comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1130 c.c., n. 4>>.

Il Collegio intende, invero, dare seguito all’orientamento interpretativo secondo cui <<il potere – dovere di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”, attribuito all’amministratore di condominio dall’art. 1130, n. 4, c.c., implica in capo allo stesso la correlata autonoma legittimazione processuale attiva e passiva, ex art. 1131 c.p.c., in ordine alle controversie in materia di risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa o conseguenziale, appunto, alla conservazione delle cose comuni (Cass. Sez. 2, 22/10/1998, n. 10474; Cass. Sez. 2, 18/06/1996, n. 5613; Cass. Sez. 2, 23/03/1995, n. 3366; Cass. Sez. 2, 22/04/1974, n. 1154; cfr. anche Cass. Sez. 2, 15/07/2002, n. 10233; Cass. Sez. 3, 21/02/2006, n. 3676; Cass. Sez. 2, 21/12/2006, n. 27447; Cass. Sez. 3, 25/08/2014, n. 18168; Cass. Sez. U, 10/05/2016, n. 9449).>>.

Nulla da osservare: affermazione logica e persuasiva.

Di conseguenza la clausola difforme del regolamento condominiale, prosegue la SC, è inefficace.

Anche qui nulla da obiettare, se non che la SC poteva specificare il tipo di inefficacia: quella data dalla nullità per violazione di norma imperativa.

Concorso in responsabilità tra società, amministratori e Consob verso i risparmiatori?

Interessante fattispecie (pur se non nuova) ma decisa in modo poco plausibile da Cass. , III, ord., 11.03.2020 n. 7016 rel. Fiecconi, Abbondi e altri c. Consob (Foro it., 2021/1).

Un gruppi di rispamiatori aveva citato in giudizio sia gli amministrori ex art. 2395 cc (costituendosi parte civile nel giudizo penale per bancarotta), sia Consob ex art. 2043 per non aver correttamente vigilato.

Pare avessero anche agito in sede di insinuazione al passivo facendo valere un credito restitutorio del capitale investito (per nullità del contratto, è da immaginare), § 13.

La Cass. critica la corte a quo per aver distinto il titolo restitutorio (capitale investito; azionato in sede di insiduazione al passivo del Fallimento) da quello risarcitorio e per aver su ciò fondato una affermazione di diverso termine prescrizionale.

<<Osserva la corte, infatti, che la diversità delle condotte illecite e dei soggetti che le hanno poste in essere, è circostanza del tutto indifferente alla integrazione della fattispecie di cui all’art. 2055 c.c., atteso che l’unica questione rilevante ai fini della responsabilità solidale dei soggetti che hanno contribuito alla produzione dell’eventus damni, attiene alla verifica del rapporto di causalità materiale, ex art. 41 c.p. (da intendersi in senso civilistico secondo il criterio del «più probabile che non») tale per cui tutte le cause concorrenti, preesistenti, simultanee o sopravvenute, debbono ritenersi parimenti determinanti, ove non accertata l’esclusiva efficienza causale di una di esse. Deve al proposito ribadirsi il consolidato principio di diritto, enunciato da questa corte, secondo cui «l’unicità del fatto dannoso richiesta dall’art. 2055 c.c. ai fini della configurabilità della responsabilità solidale degli autori dell’illecito va intesa in senso non assoluto, ma relativo, sicché ricorre tale responsabilità, volta a rafforzare la garanzia del danneggiato e non ad alleviare la responsabilità degli autori dell’illecito, pur se il fatto dannoso sia derivato da più azioni o omissioni, dolose o colpose, costituenti fatti illeciti distinti, e anche diversi, sempre che le singole azioni o omissioni, legate da un vincolo di interdipendenza, abbiano concorso in maniera efficiente alla produzione del danno, a nulla rilevando, a differenza di quanto accade nel campo penalistico, l’assenza di un collegamento psicologico tra le stesse>>, § 16 e poi § 18.

Sorprende l’uscita della SC.

E’ vero che per il 2055 ciò che conta è il concorso a produrre il medesimo evento di danno. Ma appunto se si tratta di azioni in responsbilità ex 2043 cc.

L’art. 2055 invece nulla dice quando siano azionate due causae petendi distinte (indebito e fatto illecito), che peraltro erano stati tenuti ben distinti poco prima dalla SC (§§ 9-10).

Il concorso sarebbe eventualmente tra amministratori e Consob, per entrambi i quali si trattarebbe di fatto illecito aquiliano.

Ma non tra indebito e fatto illecito:  che il secondo sia sostanzialmente stimabile in misura pari al primo, non significa nulla.

La pretesa restitutoria  da caducazione contrattuale  (qualunque ne sia la spiegazione dogmatica , variamente fornita dalla dottrina) va infatti tenuta distinta da quella risarcitoria.

La SC è dunque caduta in (non piccolo) errore concettuale (può capitare a tutti ..!).

La svista non sfugge all’attenta nota in  Foro it. di M. De Chiara , Solidarietà ardita.

Concorrenza sleale tra gestori ferroviari tramite contatto dei passeggeri in stazione

Trenitalia chiede l’accertamento della slealtà di Italo nella condotta che segue (come da allegazione Trenitalia): “gli addetti NTV (a) intercettano gli utenti, nella maggior parte dei casi di nazionalità straniera, mentre sono in procinto di acquistare il biglietto al DAB [Distributore Automatico  di  Biglietti]Trenitalia;  (b)  individuano  anzitutto  la  tratta  che  i  medesimi viaggiatori hanno selezionato; e poi (c) sottopongono ai viaggiatori l’offerta di NTV per il medesimo  servizio,  invitandoli  poi  a  recarsi  presso  il  DAB  Italo -fisicamente  adiacente  a uello di Trenitalia –e prestando altresì la propriaassistenza per coadiuvare i viaggiatori così adescati a completare il procedimento di acquisto del biglietto Italo”, § 2.

Rigetta però la domanda Trib. Roma 27.02.2019 a scioglimento di riserva assunta in ud. 27.02.2019, Trenitalia c. Italo, GU Carlomagno, RG 3140/19.

Infatti:

    • non c’è confusione, § 9
    • la proposta di acquisto è lecita, con mercato rilevante identificato nei <<viaggiatori già presenti in stazione>>, § 12.
    •  Le condizioni date del mercato di riferimento, in assenza di vincoli normativi, non possono per sé stesse costituire un vincolo all’attività concorrenziale degli operatori; nulla vieta in astratto che la condotta innovativa di uno di essi alteri il quadro in cui si svolge la competizione, ad esempio, introducendo nuove forme di comunicazione o tecniche innovative dimarketing; il fatto che i concorrenti non siano in grado o non abbiano interesse a reagire, ponendo in essere condotte analoghe, per sé stesso è irrilevante al fine di valutare la liceità della condotta dell’innovatore, § 17.
    • Trenitalia non ha indicato alcuna norma da cui si possa desumere un divieto di svolgere attività promozionale in stazione mediante l’approccio diretto del potenziale cliente, ritenendo, secondo quanto si desume dalla sua esposizione, che tale attività sia illecita perché rivolta nei confronti della sua clientela e perché diretta ad incidere su un processo di acquisto già avviato, § 18.
    • in concreto l’attività promozionale di Italo non è indirizzata in modo casuale ed indifferenziato nei confronti di tutti i viaggiatori presenti in stazione ma è rivolta in modo specifico ai viaggiatori in fila alle biglietterie automatiche o comunque presenti nelle aree in cui queste sono collocate. Si pone dunque la questione di quale rilevanza possa assumere, ai fini della sua valutazione, il fatto che essa si rivolga anche a viaggiatori in fila alle biglietterie di Trenitalia o che già stiano operando al terminale, § 20
    • A questo riguardo occorre considerare che l’acquisto self service per definizione si realizza, senza alcun intervento umano dal lato del venditore, con un’attività riferibile esclusivamente all’acquirente, il quale rimane libero di ritirarsi in qualunque momento sino al pagamento. Da ciò consegue che l’approccio diretto e personale ai viaggiatori presenti presso le biglietterie di Trenitalia, siano essi in attesa o stiano già operando al terminale, non si può considerare interferente con alcuna attività commerciale del concorrente, § 21
    • Nel contesto in esame la proposta di una alternativa al viaggiatore, con l’indicazione del prezzo, non fa che offrirgli la disponibilità di una informazione ulteriore, che questi è in grado di valutare secondo ilproprio personale metro di giudizio, ù 23.
    • Si intende che l’approccio diretto al cliente trova un limite nel rispetto dell’autodeterminazione di questo e nel divieto di effettuare turbative nei confronti di attività già avviate dal concorrente, siano anche esse promozionali o di assistenza alla clientela. Ma dalla relazione investigativa risulta la assoluta correttezza della condotta della resistente sotto entrambi i profili, § 24.